"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 31 maggio 2019

Riletture. 95 «Solo chi ha lasciato la sua terra ha allargato i suoi orizzonti».


Tratto da “La nostalgia è il prezzo del proprio futuro” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 31 di maggio dell’anno 2014: La terra natìa e le radici sono rassicuranti, ma non è dei giovani la capacità di osare, invece di acquietarsi nella rassicurazione?

giovedì 30 maggio 2019

Memoriae. 10 «Sussurri, grida, chiacchiere e distintivi».


Questa “memoria” risale al venerdì 13 di agosto dell’anno 2010. Direte: altri gli scenari politico-elettorali a quel tempo! Ne siete certi? È che allora - come oggi - il nodo cruciale era e rimane l’appropriazione politico-temporale del controllo dei media. Oggi, forse, con le varianti sopravvenute con il web e la sua capillare diffusione. Non per nulla oggigiorno molti avvenimenti e le svolte relative ad essi conseguenti avvengono non già nei luoghi deputati alla politica, ma semplicemente cliccando o twittando forsennatamente da mane a sera, notte fonda compresa.

mercoledì 29 maggio 2019

Terzapagina. 85 «Un super-ministro affetto da sindrome d’onnipotenza».


Tratto da “I sovranisti onnipotenti” di Gustavo Zagrebelsky, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 25 di maggio 2019: (…). Tocchiamo con mano una verità che i giuristi conoscono bene: si moltiplicano le norme, per di più in modo scoordinato e occasionale, e si confondono le acque, le acque in cui non solo i migranti perdono o rischiano la vita, ma anche quelle in cui opera il governo e spesso sguazzano i politicanti che speculano su quelle vite.

martedì 28 maggio 2019

Riletture. 94 «La differenza tra gli uomini e gli animali non è l'anima».


Tratto da “Liberi dagli istinti dobbiamo inventarci la vita” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 28 di maggio dell’anno 2016: La differenza tra gli uomini e gli animali non è l'anima. È la necessità di creare un ambiente adatto a noi. Perché non c'è un posto prestabilito che ci spetti, sulla Terra. Da dove venga l'uomo non lo so. Quel che so è che non può essere definito un "animale ragionevole" perché non possiede la caratteristica tipica di tutti gli animali, cioè l'istinto. Questo infatti, è una risposta "rigida" agli stimoli, per cui se per esempio offro della carne a un erbivoro, questi non la percepisce come cibo. Lo stesso "istinto sessuale" nell'uomo è così poco "istintivo" che può esprimersi nelle più svariate perversioni (cosa che non sembra concessa agli animali), o, come dice Freud, si può "sublimare" in espressioni non sessuali, come una creazione poetica o artistica. Nel Protagora, Platone ci racconta che Zeus aveva dato a Epimeteo l'incarico di consegnare a tutti i viventi le loro qualità, ma Epimeteo, il cui nome significa "colui che pensa dopo, l'improvvido", essendo stato troppo generoso nella distribuzione, giunto all'uomo non aveva più nulla da dare. Allora Zeus incaricò il fratello di Epimeteo, Prometeo (il cui nome significa "colui che pensa in anticipo") di dare all'uomo, oltre al fuoco e alle tecniche, la virtù di prevedere per quel che è possibile il futuro e quindi provvedervi. Il motivo è ripreso da Hobbes là dove dice che mentre gli animali mangiano quando hanno fame, «l'uomo è affamato anche dalla fame futura», per cui, anche a stomaco pieno, provvede a procurarsi il necessario per quando avrà fame. Che l'uomo non abbia istinti è una tesi sostenuta, oltre che da Platone, da Tommaso d'Aquino, Kant, Herder, Nietzsche e persino da Freud, che nel corso degli anni abbandona l'espressione tedesca Istinkt, per sostituirla con Trieb, che, a differenza dell'istinto diretto a una meta, è una semplice "spinta" o una "pulsione a meta indeterminata".

lunedì 27 maggio 2019

Sullaprimaoggi. 83 «L’adultescenza diventa un pericolo per la stessa sopravvivenza della comunità sociale».


Devo alla carissima amica A.A. la segnalazione del “pezzo” di Massimo Ammaniti. E sì che mi considero (forse impropriamente) un attento lettore del settimanale Robinson sul quale il testo è stato rinvenuto, ma l’interessante testo mi era proprio sfuggito. La carissima amica, cortesissima ed attentissima visitatrice di questo blog, aveva avuto modo di leggere il post del 23 di maggio ultimo scorso contenente una riflessione a firma dello stesso Autore - “La politica sul lettino dello psicoanalista” – per la qualcosa ha ritenuto necessario darmene graditissima e provvidenziale segnalazione. L’orizzonte si allarga; la ringrazio. Tratto da “Adultescenti al governo, rischi e pericoli” di Massimo Ammaniti, pubblicato sul settimanale Robinson del 14 di gennaio 2019: (…). È diventata ormai un’abitudine diffusa dei politici utilizzare la Rete per trasmettere parole, giudizi e immagini che tradiscono sensazioni ed emozioni immediate, che saltano la corteccia cerebrale secondo l’insegnamento del famoso neurobiologo LeDoux che lavora negli Stati Uniti. E sono proprio queste comunicazioni più viscerali a suscitare il contagio virale nella Rete, provocando risonanze, corti circuiti emotivi, adesioni o rifiuti che si muovono nella sequenza stimolo-risposta che non prevede un vero processing razionale. Questo modo di procedere ricorda inevitabilmente le impulsività e le sventatezze tipiche degli adolescenti che si fanno influenzare dal cervello emotivo attivato dagli ormoni della pubertà. Nello scenario sociale attuale sta prendendo corpo la figura dell’adultescente, un neologismo che secondo l’Oxford Dictionary designa «una persona di mezza età, i cui vestiti, interessi ed attività sono tipicamente associati alla cultura giovanile». Ma cerchiamo di descrivere la figura e la mentalità degli adultescenti. Sono persone condizionate dall’apparire piuttosto che assumere responsabilità personali, alla ricerca continua di approvazioni e di like da parte degli altri che servono ad alimentare il senso grandioso di sé, che copre un’identità immatura. Ciò che contraddistingue i loro comportamenti quotidiani è il velleitarismo che li spinge a fare dichiarazioni avventate o ad intraprendere azioni e progetti che non hanno le gambe per realizzarsi, perché non sono il frutto di studi e di approfondite analisi per valutare i pro e/o i contro e soprattutto le conseguenze e i possibili esiti delle proprie decisioni.

domenica 26 maggio 2019

Terzapagina. 84 «Il meccanismo del comfort food, del cibo che conforta, consola, seduce, accarezza, soddisfa».


L’ultima Sua corrispondenza dagli Stati Uniti d’America è stata l’11 di maggio. Il 18 di maggio ho cercato inutilmente la Sua rubrica sul settimanale “D”. Oggi Vittorio Zucconi ci ha lasciati. Per un Suo ricordo, tratto da “Un amore di sandwich” pubblicato sul settimanale “D” del 21 di gennaio dell’anno 2012: Calda e insinuante come una brezza notturna su una spiaggia estiva, la voce maschile dagli speakers dell'autoradio ci ricorda quanto sia emozionante innamorarsi. Soprattutto innamorarsi di nuovo, quando sembra che ormai non possa più accadere. L'avvertimento sembra ovvio, addirittura banale, fino a quando si scopre di cosa dovremmo, uomini ma soprattutto donne, vista la scelta di quella voce così virilmente sexy, innamorarci. Non di un nuovo deodorante capace di scatenare tempeste ormonali o di un capo di biancheria concepito per essere esibito e poi tolto. Si tratta di un panino. Dell'ultimo pagnottone turgido di roastbeef, fetta di pomodoro, foglia di lattuga e maionese, creato e messo in vendita dall'impero mondiale dell'hamburger e dintorni, inutile nominarlo. Il nuovo amore arriva, per tutte le età, le tasche (appena un euro e mezzo) e l'aspetto fisico sotto forma di un sandwich. "Che bello - carezza la voce - innamorarsi ancora". Non è una novità che l'industria dell'alimentazione e soprattutto quella del "fast food" associ un prodotto al sesso (eufemisticamente chiamato "amore") e insinui nel consumatore di porcheriole commestibili l'idea che mangiare sia un surrogato di altri piaceri, ma senza i rischi e le complicazioni. È il meccanismo del comfort food, del cibo che conforta, consola, seduce, accarezza, soddisfa, un classico della psicologia, anche in tempi lontani dall'industrializzazione alimentare di oggi. Negli Stati Uniti la torta di mele, proprio la specialità di Nonna Papera, è la regina incontrastata, seguita dal "brodo di pollo", raccomandato da mamme e nonne da quando esistono l'acqua, il fuoco e i polli, per affrontare ogni malanno o inquietudine. Invece il cioccolato, specialmente se confezionato in forma di gelato, è l'amante prediletto per le femmine. Ogni nazione, e ogni cultura, ha il proprio cibo di sicurezza, da allacciarsi allo stomaco in caso di turbolenza. Indicano le analisi, comprese le psicoanalisi, che i giapponesi sorseggiano la zuppa di miso, meglio se vi navigano dentro le tagliatelle, la soba. I tedeschi si aggrappano al bratwurst, il salsiccione, e per gli inglesi il numero uno sono i fagioli, ennesima testimonianza del perché nel mondo non esistano "ristoranti inglesi" (i pub, oggi tanto popolari, sono luoghi nei quali il cibo è soltanto un pretesto per bere). Tanto i maschi quanto le femmine si fiondano sul cibo quando la vita propone stress e ansie forti, ma con una differenza fondamentale, dicono le ricerche. Gli uomini si strafogano di mangiare quando sono contenti, e cercano nella gratificazione alimentare il coronamento positivo del proprio successo, di un buon momento, sia la vittoria della propria squadra preferita, una promozione, o anche un nuovo amore. Le donne tendono invece a ridurre il consumo di comfort food e controllarsi quando sono più serene, ma eccedono nel mangiare in negativo per consolarsi di delusioni, ansie, amarezze. In quei momenti diete, buon propositi, regimi salutisti vengono soffocati nelle scatole di cioccolatini o nel secchiello del gelato, e il 33% delle donne patologicamente sovrappeso confessa di esserci cadute dopo un amore finito male. Così rendendo ancora più difficile il "rimbalzo" dalla delusione o dal tradimento con un nuovo amore. è a questo umanissimo meccanismo, essendo il cibo una delle due o tre cose più importanti nella vita umana, che la voce del panino amoroso fa malignamente appello, esondando dagli altoparlanti in automobile, con uno spot che non posso tradurre per iscritto non perché sia osceno, ma perché la descrizione accaldata e sensuale di ogni singolo ingrediente è fatta con toni da audioporno. Se mancano le grida dell'orgasmo da sandwich è soltanto perché l'agenzia pubblicitaria non voleva evidentemente rendere troppo esplicito il messaggio, e quindi privarlo del richiamo subliminale. Ma il riferimento all'amor perduto e ritrovato è forte, e la tentazione mi raggiunge ogni volta che guido passando accanto alle due simboliche mammelle dorate della grande "M", che furono disegnate così proprio per evocare la rassicurante immagine del seno materno. Ma resisto. Se proprio dovessi distruggere decenni di matrimonio con un nuovo amore, preferirei farlo con qualcosa di meglio di un panino.

sabato 25 maggio 2019

Sullaprimaoggi. 82 «Poi, purtroppo, l’Era Zingaretti è cominciata».


Tratto da “Tafazzetti” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di maggio 2019: (...). L’elezione di Nicola Zingaretti a segretario aveva fatto ben sperare quel popolo, che ancora una volta si era trascinato alle primarie, persino nel gazebo dove c’era Calenda. Zinga è anche lui un brav’uomo che l’estate scorsa aveva addirittura osato lanciare uno slogan ragionevole: “Meno Macron e più sinistra”. E tanto era bastato per farlo amare da chi non ne poteva più di vedere Renzi abbracciato ai peggiori nemici dell’Italia, della sinistra e della legalità. E masticava amaro dinanzi ai 5Stelle che rubavano alla sinistra, l’una dopo l’altra, tutte le sue bandiere storiche: la lotta al precariato, alla povertà, ai salari e alle pensioni da fame, alla corruzione, alla prescrizione, alla privatizzazione dell’acqua, alle grandi opere inutili e inquinanti come il Tav, ai vitalizi e agli altri privilegi della casta. Poi, purtroppo, l’Era Zingaretti è cominciata. E per l’Elettore Ignoto è ricominciato il calvario. Zanda “nuovo” tesoriere, che propone subito di aumentare lo stipendio ai parlamentari e di ripristinare il finanziamento pubblico diretto ai partiti (poi ritirati, ma solo per finta). L’ex lettiana e poi renziana De Micheli vicesegretaria. L’ex renziana Serracchiani vicepresidente. I renziani Delrio e Marcucci confermati capigruppo. Le marcette Pro Tav a braccetto con FI e Lega. Le candidature in Europa di vecchi dinosauri come Toia, Cozzolino, Bresso, di pasionarie turborenziane come la Bonafè e la Picierno, di personaggi incompatibili come Pisapia e Calenda. Per non parlare della strepitosa accoppiata in Campania fra l’ex pm Roberti alle Europee e dell’indagato Alfieri “Mr Fritture” alle Comunali. E poi l’accordo con Miccichè in Sicilia, da Gela a Mazara del Vallo. L’abbraccio con Cirino Pomicino. Lo scandalo del marchettificio sanitario in Umbria, con le dimissioni retrattili della Marini. L’ennesima indagine sui ras calabresi Oliverio, Adamo e Bruno Bossio, che non si dimettono neanche per finta. La nomina dell’ex magistrato berlusconiano Arcibaldo Miller a capo dell’Ipab del Lazio. L’arruolamento di Moscovici come testimonial per far perdere qualche altro voto. E poi l’ideona di candidare come futuro premier (ma di quale maggioranza?) il sindaco milanese Beppe Sala alla vigilia della richiesta di condanna a 13 mesi di carcere per falso documentale. L’assenza in luoghi e momenti cruciali, come l’assalto fascista ai rom di Casal Bruciato, con gli applausi postumi e imbarazzati all’arcinemica Virginia Raggi, sola e unica a metterci la faccia. L’incredibile battaglia parlamentare contro la riforma, finalmente efficace, del voto di scambio politico-mafioso, votata da M5S, Lega, FdI e LeU e avversata da Pd e Forza Italia. L’assurda ostilità alla proposta di salario minimo lanciata da Di Maio e molto vicina a quella dei sindacati. E il mantra quotidiano “Mai con i 5Stelle” che risponde a una domanda al momento insensata (in questa legislatura non c’è spazio per maggioranze diverse) e serve solo a rafforzare Salvini (lui un’alternativa alla coalizione giallo-verde ce l’ha). (…). Intanto, come ai tempi del Popolo dei Fax e dei Girotondi, la società civile progressista organizza l’opposizione (soprattutto a Salvini) per conto suo: la rivolta degli striscioni del Popolo dei Balconi è nata a prescindere da quel che accade al Nazareno. Come se il Pd non esistesse. Ma esiste ancora, il Pd? E quali peccati atavici devono ancora espiare i suoi elettori?

giovedì 23 maggio 2019

Terzapagina. 83 «La seduzione del potere altera spesso la percezione personale del capo».


Tratto da “La politica sul lettino dello psicoanalista” di Massimo Ammaniti, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 20 di luglio dell’anno 2018: È quasi impossibile rispondere alla domanda su come e soprattutto chi può diventare un grande capo o un leader politico carismatico. Il carattere del leader è fondamentale, come anche la sua capacità e la sua determinazione nel prendere decisioni necessarie per la vita del Paese. E poi deve essere in grado di mediare quando è necessario. Tutto questo non è sufficiente, sono importanti anche i suoi gesti, il suo modo di parlare e di rivolgersi ai cittadini, le sue pause, le sue espressioni facciali, la sua postura, in altri termini la fenomenologia corporea che viene ad incarnare il senso del potere e l’intima convinzione di essere un predestinato. Ma quello che sancisce definitivamente la leadership è l’investitura popolare. Come nella dinamica che lega il predatore alla preda anche il leader è tale in quanto viene riconosciuto nel suo ruolo dai cittadini e dall’opinione pubblica. La natura di questo rapporto è stata indagata da Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, nel suo scritto del 1921 Psicologia delle masse e analisi dell’Io. È un’attrazione fatale quella fra la massa e il capo, difficile da spiegare in termini razionali e che può offuscare le capacità critiche dei cittadini. La possiamo visualizzare come un’onda sismica che si sprigiona dalla psicologia collettiva dei cittadini ed investe la figura del leader, attribuendogli qualità ideali, addirittura sovrannaturali. E questa identificazione inconscia a volte dura dalla sera alla mattina, perché il capo in breve tempo perde il suo carisma non sapendo gestire il potere, mentre altre volte il capo è in grado di incarnare anche per un lungo periodo gli investimenti ideali dei suoi ammiratori. La seduzione del potere altera spesso la percezione personale del capo, è quasi inevitabile che provi un orgoglio smisurato e un senso di sé grandioso che mette alla prova il suo giudizio di realtà. Giulio Andreotti aveva coniato la famosa frase «il potere logora chi non ce l’ha», rifacendosi al grande politico francese Charles Maurice de Talleyrand, ma si era dimenticato di aggiungere l’affermazione simmetrica «il potere fa impazzire chi ce l’ha». Ci si può chiedere se il potere non possa addirittura provocare un disturbo di personalità. Non è un interrogativo banale se una Rivista Scientifica di grande prestigio come Brain della Oxford University Press ha pubblicato un articolo su questo tema a nome di due autori apparentemente molto lontani, David Owen della Camera dei Lord britannica e Jonathan Davidson, professore di Psichiatria della Duke University negli Stati Uniti. I due autori si interrogano se la sindrome della hybris che può colpire i capi e i leader politici non sia un disturbo di personalità che si sviluppa nella gestione del potere. Pur riconoscendo che spesso la leadership si associa al carisma, alla capacità di ispirare e di persuadere, all’ampiezza della visione, alle aspirazioni grandiose e alla fiducia in se stessi può succedere che possa prendere il sopravvento la faccia più oscura del potere. Si cede agli impulsi col rischio di lanciarsi in comportamenti e decisioni spericolate e non si è più in grado di ascoltare i pareri degli altri, perdendo di vista la complessità e i dettagli delle situazioni. Quello che lega tutto questo è la hybris, ossia una tracotanza eccessiva e un’arroganza con una fiducia spropositata di sé e un disprezzo nei confronti degli altri. Questa sindrome della hybris è generata dal potere che corrompe la mente ma anche il cervello del capo. Una ricerca ha documentato che quando si ricorda un episodio della propria vita, in cui si è esercitato un particolare potere nei confronti degli altri, si perde la capacità cerebrale di entrare in risonanza con gli altri e di provare empatia verso di loro. In altri termini i neuroni specchio si disattivano perché probabilmente si è troppo concentrati su se stessi e sulla propria potenza per prestare attenzione agli altri.

mercoledì 22 maggio 2019

Riletture. 93 «Il silenzio di Pannella» e la morte voluta di “Radio radicale”.


Tratto da “Gli ordini sono ordini: Pannella no” di Furio Colombo, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 22 di maggio dell’anno 2016: Cari concittadini, lo so che molti di voi si stanno domandando quando e dove questo Marco Pannella, adesso al colmo della celebrazione, abbia mai messo mano alle vicende, leggi o cambiamenti della vita italiana. Il suo caso è di estremo interesse non per ciò che di lui è stato detto con concitato fervore in questi giorni di celebrazione, ma per ciò che è avvenuto in vita. Pannella non doveva apparire nei mezzi di comunicazione di massa, e non è mai apparso. Pannella non doveva parlare, benché fosse il più prolifico e sorprendente oratore politico del Paese, e non ha mai parlato, salvo frammenti di frasi isolate dal contesto. Gli ascoltatori di Radio Radicale ricordano le meticolose ricerche nella mattutina rassegna della stampa di Bordin. Dopo un evento a cui Pannella aveva inteso dedicare una rivoluzione culturale (come “il diritto alla conoscenza” oppure “lo Stato di diritto” invece del “diritto di Stato”, oppure l’invocazione per la salvezza di un popolo) il giornalista accantonava una dopo l’altra le grandi testate, e doveva quasi sempre concludere che no, sui radicali oggi non c’è alcuna notizia. Impossibile non pensarci vedendo sfilare direttori e colleghi giornalisti di fronte alla salma dell’appena defunto leader radicale, dicendo al microfono, subito disponibile, almeno qualcuna delle cose che in 40 anni non sono mai state dette, e anzi fingendo che gli eventi a cui quelle parole si riferivano non fossero mai avvenuti. Gli ordini sono ordini, ora da destra e ora da sinistra. Ma Pannella deve stare fuori. E il vero successo che oggi stiamo celebrando e che merita attenzione, perché è un fenomeno ben radicato, non sono tutte le cose (diritti, difese, rivelazioni, affermazioni, impegni internazionali) che Pannella è riuscito a realizzare nonostante tutto. Ma il fatto che, nonostante tutto, un enorme richiamo politico, una straordinaria capacità di toccare il punto in anticipo, una vena profetica e una di naturale e fortissima empatia per il mondo estraneo al potere a cui si rivolgeva (ma anche una straordinaria inclinazione pedagogica per i capi partito che il leader radicale si ostinava a tentare di salvare), Pannella è stato lasciato fuori da ogni canale di comunicazione del Paese e privato di ogni contatto con la grandissima maggioranza degli italiani. Il vero capolavoro è che ci siano riusciti. Sempre. Per ogni decennio del lavoro instancabile di un grande politico ricco di intuizione istantanea, di abilità strategica, di anticipazione del dopo, di una straordinaria visione del contesto, Pannella ha avuto le sue rivincite, e in molti casi impossibili è riuscito a imporre quella che lui vedeva (e che era) la sola strada possibile. Un modo di vendicarsi di coloro che subivano la visione di Pannella, era di guardarsi dal parlarne, mai, facendo pensare a una trovata del caso. O appropriandosi senza imbarazzo dell’idea. Però il vero capolavoro non è il plagio. È la sistematica eliminazione di voce, presenza e azione nella vita di un grande Paese. Un espediente è stato l’uso della caricatura, profittando di digiuni, di marce, di altre eterodosse iniziative che potevano essere definite, fingendo benevolenza, come “stranezze”. Il fenomeno ha due aspetti che riguardano entrambi le condizioni della nostra democrazia: il silenzio di Pannella è stato ordinato (Chiesa, Stato, interessi organizzati, necessità di eliminare l’obiezione intelligente). Il silenzio di Pannella è stato eseguito, nel senso che praticamente tutti, nella vita pubblica italiana, hanno osservato quel silenzio come se si trattasse di un normale dovere civico. Non si ricordano importanti violazioni del comandamento. Ma si sono visti rendere omaggio, anche con dichiarazioni vibranti davanti alla salma, coloro (tutti) che hanno eseguito scrupolosamente la linea di partito del silenzio su ogni iniziativa radicale. Pannella è stato un grande e nuovo uomo politico italiano. Perciò conta molto l’operazione della perfetta esclusione della vita pubblica. È una operazione fondata sulla disciplina, senza se e senza ma, di direttori, commentatori, cronisti, che scrivono volentieri solo ciò che si può scrivere. (…).

martedì 21 maggio 2019

Riletture. 92 «La Chiesa cattolica giunse a pronunciarsi contro l’abolizione della schiavitù».


Tratto da “Un uomo solo è schiavo due amici sono liberi” del teologo Vito Mancuso, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 21 di maggio dell’anno 2016: (…). La questione del grado di libertà della nostra esistenza diviene (…) più complessa se si prendono in esame i diversi livelli di cui si compone la vita, e oltre al livello economico-sociale e a quello politico si considera quell’intricato labirinto che chiamiamo coscienza individuale. Ognuno di noi rispetto a se stesso (rispetto al codice genetico, alle determinazioni familiari e ambientali, alle esigenze corporee, al carattere, alla psiche, all’inconscio…) è libero o schiavo? Siamo veramente dotati di libero arbitrio oppure si tratta di un’illusione, come sembrano suggerire i dati delle neuroscienze e della microbiologia? (…). Né si può evitare un’altra domanda: gli esseri umani vogliono davvero esseri liberi? Oppure in realtà non cercano altro che una grande potenza a cui consegnare tutti insieme questa scomoda e inquietante condizione detta libertà? (…). Secondo questa prospettiva la schiavitù non è una prigione in cui gli uomini, originariamente liberi, sono stati condotti, ma è un’oscura quanto originaria condizione dell’esistenza fisica e psichica. La questione a questo punto diviene di natura squisitamente filosofico-teologica: lo scopo della vita è di essere liberi in quanto autonomi e indipendenti, oppure è di legarsi a qualcosa di più grande di noi che ci libererà veramente da noi stessi e dalle nostre angosce? E in questo secondo caso, come far sì che tale legame, di natura inevitabilmente asimmetrica, non si trasformi in schiavitù ma generi liberazione e vera libertà? Questo è lo sfondo teoretico su cui porre la questione del rapporto religione-schiavitù, a proposito del quale la situazione è alquanto contraddittoria. Che la religione abbia incrementato la schiavitù non vi sono dubbi, la cosa appare evidente già nella Bibbia a partire da una delle sue pagine più note, il cosiddetto sacrificio di Abramo. Perché Dio chiede ad Abramo di uccidere il piccolo Isacco, generando nell’intimo del bambino un tale terrore da cui mai più sarebbe guarito (non a caso due volte nella Genesi Dio è designato “Terrore di Isacco”)? La risposta è una sola: per ottenere la più assoluta sottomissione. Non c’è nulla infatti per un uomo di più prezioso di un figlio, e Dio proprio quello richiede ad Abramo. Come denominare il comportamento di Abramo? Fede? Se lo è, lo è nella forma della più totale schiavitù. Questa fede, se può portare a uccidere il proprio figlio, chissà quale violenza può generare verso i presunti nemici della propria religione. Se la religione ha versato, e continua a versare, tanto sangue, è a causa di questo modello di fede, un’obbedienza così totale e sottomessa da essere in realtà schiavitù. È a questa prospettiva che a mio avviso sono riconducibili i fenomeni degenerativi e violenti che hanno a lungo accompagnato il cammino delle religioni, per la Chiesa cattolica si pensi all’Inquisizione, all’Index librorum prohibitorum e alla sistematica opposizione contro l’affermarsi dei diritti umani, tra cui libertà di coscienza e di stampa, suffragio universale, emancipazione femminile, laicità dello Stato.  

lunedì 20 maggio 2019

Sullaprimaoggi. 81 «La Lega cresce perché lui è in onda».


Tratto da “Salvini, è la stampa bellezza!”  di Furio Colombo, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 14 di gennaio dell’anno 2015: Ciò che c'è da dire su Salvini è già stato detto, se non altro riportando negli anni le sue incedibili dichiarazioni da parlamentare europeo. È stato a lungo considerato  un personaggio minore della banda della lega, persino minore di Belsito (ricordate, il tesoriere della Lega che investiva in Tanzania?) . Improvvisamente è assurto a dimensioni nazionali  non a causa di una sua speciale svolta di vita e di attività politica. Ma per una ricerca affannosa delle televisioni, dei talk show, e della parte spiritosa (e crescente) dei commentatori di quotidiani che avevano disperatamente bisogno di qualcuno disposto a dire le cose che dice Salvini. Però la improvvisa e forte esposizione  del ragazzo Salvini gli ha giovato, e la Lega, nel vuoto in cui viviamo, con la saldatura sinistra- destra, l'invasione dei renziani (escluso, finora, solo il bollettino meteorologico) e dominatori della scena come Angelino Alfano,  ha cominciato a crescere. Infatti Salvini è sempre in onda, facendo credere che lo è perché, la Lega cresce. Ma la Lega cresce perché lui è in onda. E non perché l’ha fatta  risorgere la  formidabile guida di Salvini. C'è chi  ci cascherà anche al momento del voto, data a ferrea disciplina del Pd che resta strenuamente fedele a Berlusconi . E così il vero beneficiario del pasticcio che ha fatto fuori il partito dei lavoratori finisce per essere la peggiore aggregazione politica che l'Italia abbia conosciuto dal 1945, manipoli di fascistoidi che tentano di spingere l'Italia a compiere  due delitti: affogare i migranti (ci hanno già provato in grandi numeri, quando si utilizzavano per il respingimento in mare  motovedette italiane affidate al comando di gente di Gheddafi).

domenica 19 maggio 2019

Terzapagina. 82 «Ritornare all’antico è utopistico oltre che reazionario».


Tratto da “Scene di un collasso che dura 30 anni” di Massimo Cacciari, pubblicato sul settimanale L’Espresso del 6 di gennaio 2019: (…). Il processo surrettizio di svuotamento del parlamento a favore dell’esecutivo è in atto anche da prima di Tangentopoli. Il crollo della prima Repubblica - “sostituita” soltanto dalla crisi della medesima, cui nessuna riforma delle nostre istituzioni è seguita - ha reso semplicemente inarrestabile il processo. Alla catastrofe si sarebbe potuto rispondere secondo diverse prospettive: con un ridisegno completo della struttura del nostro Stato, ridistribuendo poteri e funzioni tra centro, regioni e enti locali; con un rafforzamento delle assemblee legislative, riducendo drasticamente il numero dei rappresentanti, eliminando il senato, rivedendo i regolamenti cosi da rendere ancora più rapide le procedure,ma limitando a un tempo radicalmente la possibilità di ricorrere alla fiducia; oppure ancora in un senso decisamente e coerentemente presidenzialista. Potevano esserci proposte serie sia “da destra” sia “da sinistra”. E invece nulla. Tentativi penosi, abborracciati, dilettanteschi, privi di ogni sistematicità. E oggi ecco il risultato: un governo retto da forze politiche che o ignorano la profondità della crisi che investe la democrazia rappresentativa, o fanno della sua fine,nei fatti, il loro obbiettivo. Qui sta la svolta: dalla crisi della democrazia alla quale si assisteva, magari ignorandone le cause e nulla combinando per uscirne, tuttavia deprecandola, all’azione, consapevole o no poco importa, per distruggerla definitivamente. Per costoro democrazia deve diventare l’universale chiacchiera in rete, organizzata, diretta e decisa nei suoi esiti dai padroni della stessa, senza partiti, senza corpi intermedi, senza sindacati che disturbino la linea diretta, in tempo reale e interattiva, come recita il loro verbo, tra il Popolo e il Capo, espressione della volontà generale. Magari si trattasse soltanto dei Salvini e dei Di Maio e delle loro compiacenti foglie di fico! È un collasso che minaccia, in forme diverse, le democrazie occidentali tutte. Temo si sia giunti al bivio: o da parte delle culture liberali, popolari, socialdemocratiche che hanno fatto il Welfare e l’Europa del secondo dopoguerra vi sarà un contraccolpo netto alla colpevole inerzia con cui da un trentennio hanno ”accompagnato” i sintomi sempre più evidenti di tale collasso, o esso diventerà inarrestabile. Diventerà,cioè, senso comune presso tutti coloro che sono nati dopo la caduta del Muro l’inutilità delle istituzioni rappresentative, ogni forma di rappresentanza sarà a priori considerata come “casta”, ogni minuto speso a discutere al di fuori dei social sarà ritenuto buttato. Ritornare all’antico è utopistico oltre che reazionario; si risponde alla situazione solo mostrando che è possibile dare inizio a riforme di sistema, dalle istituzioni centrali a quelle periferiche, dall’amministrazione dello Stato in tutti i suoi aspetti alle politiche di welfare, solo organizzando soggetti concreti che hanno interesse e lottano per queste riforme. La “svolta”, poiché tale è, che il nostro governo rappresenta (e che può davvero significare un esperimento europeo) sarà altrimenti ricordata come la prima esplicita dichiarazione di fallimento della stagione democratica conosciuta dai paesi europei dopo la Seconda grande guerra.