Tratto da “La
politica sul lettino dello psicoanalista” di Massimo Ammaniti, pubblicato
sul quotidiano la Repubblica del 20 di luglio dell’anno 2018: È
quasi impossibile rispondere alla domanda su come e soprattutto chi può
diventare un grande capo o un leader politico carismatico. Il carattere del
leader è fondamentale, come anche la sua capacità e la sua determinazione nel
prendere decisioni necessarie per la vita del Paese. E poi deve essere in grado
di mediare quando è necessario. Tutto questo non è sufficiente, sono importanti
anche i suoi gesti, il suo modo di parlare e di rivolgersi ai cittadini, le sue
pause, le sue espressioni facciali, la sua postura, in altri termini la
fenomenologia corporea che viene ad incarnare il senso del potere e l’intima
convinzione di essere un predestinato. Ma quello che sancisce definitivamente
la leadership è l’investitura popolare. Come nella dinamica che lega il
predatore alla preda anche il leader è tale in quanto viene riconosciuto nel
suo ruolo dai cittadini e dall’opinione pubblica. La natura di questo rapporto
è stata indagata da Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, nel suo scritto
del 1921 Psicologia delle masse e analisi dell’Io. È un’attrazione fatale
quella fra la massa e il capo, difficile da spiegare in termini razionali e che
può offuscare le capacità critiche dei cittadini. La possiamo visualizzare come
un’onda sismica che si sprigiona dalla psicologia collettiva dei cittadini ed
investe la figura del leader, attribuendogli qualità ideali, addirittura
sovrannaturali. E questa identificazione inconscia a volte dura dalla sera alla
mattina, perché il capo in breve tempo perde il suo carisma non sapendo gestire
il potere, mentre altre volte il capo è in grado di incarnare anche per un
lungo periodo gli investimenti ideali dei suoi ammiratori. La seduzione del
potere altera spesso la percezione personale del capo, è quasi inevitabile che
provi un orgoglio smisurato e un senso di sé grandioso che mette alla prova il
suo giudizio di realtà. Giulio Andreotti aveva coniato la famosa frase «il
potere logora chi non ce l’ha», rifacendosi al grande politico francese Charles
Maurice de Talleyrand, ma si era dimenticato di aggiungere l’affermazione
simmetrica «il potere fa impazzire chi ce l’ha». Ci si può chiedere se il
potere non possa addirittura provocare un disturbo di personalità. Non è un
interrogativo banale se una Rivista Scientifica di grande prestigio come Brain
della Oxford University Press ha pubblicato un articolo su questo tema a nome
di due autori apparentemente molto lontani, David Owen della Camera dei Lord
britannica e Jonathan Davidson, professore di Psichiatria della Duke University
negli Stati Uniti. I due autori si interrogano se la sindrome della hybris che
può colpire i capi e i leader politici non sia un disturbo di personalità che
si sviluppa nella gestione del potere. Pur riconoscendo che spesso la
leadership si associa al carisma, alla capacità di ispirare e di persuadere,
all’ampiezza della visione, alle aspirazioni grandiose e alla fiducia in se
stessi può succedere che possa prendere il sopravvento la faccia più oscura del
potere. Si cede agli impulsi col rischio di lanciarsi in comportamenti e
decisioni spericolate e non si è più in grado di ascoltare i pareri degli
altri, perdendo di vista la complessità e i dettagli delle situazioni. Quello
che lega tutto questo è la hybris, ossia una tracotanza eccessiva e
un’arroganza con una fiducia spropositata di sé e un disprezzo nei confronti
degli altri. Questa sindrome della hybris è generata dal potere che corrompe la
mente ma anche il cervello del capo. Una ricerca ha documentato che quando si
ricorda un episodio della propria vita, in cui si è esercitato un particolare
potere nei confronti degli altri, si perde la capacità cerebrale di entrare in
risonanza con gli altri e di provare empatia verso di loro. In altri termini i
neuroni specchio si disattivano perché probabilmente si è troppo concentrati su
se stessi e sulla propria potenza per prestare attenzione agli altri.
La storia ha ampiamente confermato queste osservazioni. Questa sindrome del potere può insorgere sia che il leader ottenga grandi successi, sia che vada incontro a sconfitte e fallimenti. Probabilmente quando non ci si guarda più allo specchio e si perde il contatto con se stessi è più facile che ci si faccia sedurre dall’ammirazione dei propri seguaci. Ma anche l’allontanamento dei consiglieri può rendere ancora più solo il leader, come successe anche al primo ministro britannico Margaret Thatcher quando fu lasciata dal suo consigliere Willie Whitelaw. Fece approvare in seguito leggi impopolari e alla fine fu costretta dal suo stesso partito a dimettersi. Ma non è un esito inevitabile, vale la pena di ricordare quello che scrisse il grande economista John Maynard Keynes dopo aver cenato con Winston Churchill nel 1941, all’apice della sua popolarità: «L’ho trovato assolutamente in perfette condizioni, molto bene, sereno, ricco di sentimenti umani e non gonfiato. Forse in questo momento è al massimo del suo potere e della sua gloria e non ho mai visto nessuno meno contagiato da arie dittatoriali e dalla hybris».
La storia ha ampiamente confermato queste osservazioni. Questa sindrome del potere può insorgere sia che il leader ottenga grandi successi, sia che vada incontro a sconfitte e fallimenti. Probabilmente quando non ci si guarda più allo specchio e si perde il contatto con se stessi è più facile che ci si faccia sedurre dall’ammirazione dei propri seguaci. Ma anche l’allontanamento dei consiglieri può rendere ancora più solo il leader, come successe anche al primo ministro britannico Margaret Thatcher quando fu lasciata dal suo consigliere Willie Whitelaw. Fece approvare in seguito leggi impopolari e alla fine fu costretta dal suo stesso partito a dimettersi. Ma non è un esito inevitabile, vale la pena di ricordare quello che scrisse il grande economista John Maynard Keynes dopo aver cenato con Winston Churchill nel 1941, all’apice della sua popolarità: «L’ho trovato assolutamente in perfette condizioni, molto bene, sereno, ricco di sentimenti umani e non gonfiato. Forse in questo momento è al massimo del suo potere e della sua gloria e non ho mai visto nessuno meno contagiato da arie dittatoriali e dalla hybris».
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