Tratto da “Scene
di un collasso che dura 30 anni” di Massimo Cacciari, pubblicato sul settimanale L’Espresso del 6 di gennaio 2019: (…). Il processo surrettizio di svuotamento
del parlamento a favore dell’esecutivo è in atto anche da prima di
Tangentopoli. Il crollo della prima Repubblica - “sostituita” soltanto dalla
crisi della medesima, cui nessuna riforma delle nostre istituzioni è seguita -
ha reso semplicemente inarrestabile il processo. Alla catastrofe si sarebbe
potuto rispondere secondo diverse prospettive: con un ridisegno completo della
struttura del nostro Stato, ridistribuendo poteri e funzioni tra centro,
regioni e enti locali; con un rafforzamento delle assemblee legislative,
riducendo drasticamente il numero dei rappresentanti, eliminando il senato,
rivedendo i regolamenti cosi da rendere ancora più rapide le procedure,ma
limitando a un tempo radicalmente la possibilità di ricorrere alla fiducia;
oppure ancora in un senso decisamente e coerentemente presidenzialista. Potevano
esserci proposte serie sia “da destra” sia “da sinistra”. E invece nulla.
Tentativi penosi, abborracciati, dilettanteschi, privi di ogni sistematicità. E
oggi ecco il risultato: un governo retto da forze politiche che o ignorano la
profondità della crisi che investe la democrazia rappresentativa, o fanno della
sua fine,nei fatti, il loro obbiettivo. Qui sta la svolta: dalla crisi della
democrazia alla quale si assisteva, magari ignorandone le cause e nulla
combinando per uscirne, tuttavia deprecandola, all’azione, consapevole o no
poco importa, per distruggerla definitivamente. Per costoro democrazia deve
diventare l’universale chiacchiera in rete, organizzata, diretta e decisa nei
suoi esiti dai padroni della stessa, senza partiti, senza corpi intermedi,
senza sindacati che disturbino la linea diretta, in tempo reale e interattiva,
come recita il loro verbo, tra il Popolo e il Capo, espressione della volontà
generale. Magari si trattasse soltanto dei Salvini e dei Di Maio e delle loro
compiacenti foglie di fico! È un collasso che minaccia, in forme diverse, le
democrazie occidentali tutte. Temo si sia giunti al bivio: o da parte delle
culture liberali, popolari, socialdemocratiche che hanno fatto il Welfare e
l’Europa del secondo dopoguerra vi sarà un contraccolpo netto alla colpevole
inerzia con cui da un trentennio hanno ”accompagnato” i sintomi sempre più
evidenti di tale collasso, o esso diventerà inarrestabile. Diventerà,cioè,
senso comune presso tutti coloro che sono nati dopo la caduta del Muro
l’inutilità delle istituzioni rappresentative, ogni forma di rappresentanza
sarà a priori considerata come “casta”, ogni minuto speso a discutere al di
fuori dei social sarà ritenuto buttato. Ritornare all’antico è utopistico oltre
che reazionario; si risponde alla situazione solo mostrando che è possibile
dare inizio a riforme di sistema, dalle istituzioni centrali a quelle
periferiche, dall’amministrazione dello Stato in tutti i suoi aspetti alle
politiche di welfare, solo organizzando soggetti concreti che hanno interesse e
lottano per queste riforme. La “svolta”, poiché tale è, che il nostro governo
rappresenta (e che può davvero significare un esperimento europeo) sarà
altrimenti ricordata come la prima esplicita dichiarazione di fallimento della
stagione democratica conosciuta dai paesi europei dopo la Seconda grande
guerra.
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