A lato: Catanzaro (10 di maggio 2019) e la "Rivolta dei balconi". Tratto da “I
guardiani del baro” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano”
dell’11 di maggio 2019: (…). …come si affronta il pallone gonfiato
del momento. Noi restiamo della nostra idea: meglio sgonfiarlo con i fatti (e
soprattutto, in questo caso, i non fatti) che con le campagne ideologiche (tipo
il ritorno del nazifascismo), senza prenderlo troppo sul serio né abbandonare
il registro dell’ironia. Come i ragazzi che lo fregano con i selfie, come gli
animatori della scanzonata rivolta dei balconi ieri a Catanzaro. Lui, non a
caso, teme più la cronaca e la satira che le prediche e le invettive con la
bava alla bocca e il ditino alzato. Come tutti i palloni gonfiati di cui
ciclicamente una certa Italia s’infatua (Montanelli li chiamava “guappi di
cartone”): da Mussolini a Craxi, da B. a Renzi. I più abili a comunicare – o
per padronanza o per possesso dei mezzi di comunicazione – durano lustri.
Quelli più scarsi si sgonfiano presto. Per ora non sappiamo a quale categoria appartenga Salvini, protagonista di una parabola tecnicamente strepitosa. Nel 2013, dopo 33 anni di militanza, prese la Lega al 5%, ancora tramortita dagli scandali, e l’ha portata al 17,4% nel 2018 e al 30% negli ultimi sondaggi. (...). Ma ormai la politica si confonde con la psicologia (o con la psichiatria) e scambia i sondaggi per voti veri. Dunque, fino a qualche giorno fa, la forza di Salvini, puramente virtuale, era stimata oltre il 35% in marcia verso il 40, con i 5Stelle quasi doppiati poco sopra il 20, a un passo dal Pd che qualcuno dava in fase di sorpasso. Ora invece, secondo il sondaggio Ipsos di Nando Pagnoncelli sul Corriere, la Lega ha perso 6 punti in tre settimane e naviga sul 30-31. E il M5S risale al 25, distanziando un Pd stagnante al 20. Tecnicamente, questi dati sarebbero un trionfo per Salvini e uno smacco per Di Maio, visto che il primo guadagnerebbe 13 punti e l’altro ne perderebbe 7 in 15 mesi. Ma psicologicamente sarebbe una brusca discesa per chi da mesi se la tira da padrone e annuncia la resa dei conti post-voto. Il sondaggio, fra l’altro, s’è chiuso l’8 maggio, dunque include la fase iniziale del caso Siri. Ma non la cacciata del sottosegretario per mano di Conte e Di Maio, né l’ulteriore schiacciamento a destra di Salvini col libro edito da un fascista, né la nuova Tangentopoli lombarda col leghista Fontana indagato. E lo scandalo Siri e lo spostamento a destra sono, secondo Pagnoncelli, le cause principali della brusca retromarcia leghista. Fatto il pieno di voti leghisti e di destra prima e dopo le elezioni del 2018, Salvini si era spostato su posizioni meno estreme, attirando voti da FI e dal M5S. (…). Ora invece il ritorno di Salvini all’estrema destra ha messo in fuga un bel po’ di moderati, verso l’astensione, il M5S e FdI (la Meloni è meno connotata – a dispetto di certi compagni di strada – sul nostalgismo fascista e più sul conservatorismo vecchio stampo, infatti è ormai a un passo da FI). Siccome Salvini, da ministro, non ha combinato quasi nulla, è sulla comunicazione che s’è giocato tutto: le risalite e le discese ardite. E proprio lì, da un paio di mesi, ha infilato una serie impressionante, quasi inspiegabile, di errori: la foto pasquale col mitra, il flirt con Casa Pound, il comizio con gli ultrà cattolici a Verona, la banalizzazione del fascismo il 25 Aprile, la difesa di una causa persa in partenza come Siri (se l’avesse cacciato subito, come Di Maio con De Vito, lo scandalo sarebbe sparito dalle prime pagine: invece è durato 20 giorni, fino allo smacco finale), le parole inutili e truculente tipo “castrazione chimica”, la plateale assenza da Napoli dopo il ferimento della piccola Noemi, la strampalata campagna contro l’innocua cannabis legale che dà lavoro a 10 mila persone. Tutte mosse che non gli han fatto guadagnare nuovi elettori (quelli di destra-destra già votano per lui) e gliene han fatti perdere parecchi, fra i leghisti doc refrattari al malaffare e gli orfani di B. allergici a estremismi e fibrillazioni. Questi settori flottanti dell’elettorato si fidavano del Salvini che, l’8 dicembre in piazza del Popolo, citava De Gasperi, Luther King e papa Wojtyla. Ma, ora che torna a rintanarsi negli angoli più neri e bui della storia, si rifugiano nell’astensione. Ed è proprio a loro che parla Conte, col suo stile pacato, rassicurante e ora anche decisionista, su temi più cari ai 5Stelle che alla Lega. Intanto Di Maio incassa i frutti delle leggi più demonizzate dai profeti di sventura: l’avvio ordinato del reddito di cittadinanza e l’aumento di posti di lavoro stabili dopo il dl Dignità, a dispetto di chi vaticinava caos e licenziamenti di massa. Smette di inseguire Salvini sui temi leghisti, imponendo quelli del M5S senza più il timore che la Lega apra la crisi. E va a riprendersi i voti ceduti al Pd e all’astensione, che poi sono gli unici recuperabili (anche se sbaglia a dissociarsi dalla Raggi che mette la faccia a Casal Bruciato, osannata dalla sinistra). Del resto, in questo governo, il M5S ha un senso solo se svolge il ruolo che Bossi rivendicava per sé nel 1994, da alleato-rivale di B.: “il guardiano del baro”. Almeno finché il pallone non si sgonfia un altro po’.
Quelli più scarsi si sgonfiano presto. Per ora non sappiamo a quale categoria appartenga Salvini, protagonista di una parabola tecnicamente strepitosa. Nel 2013, dopo 33 anni di militanza, prese la Lega al 5%, ancora tramortita dagli scandali, e l’ha portata al 17,4% nel 2018 e al 30% negli ultimi sondaggi. (...). Ma ormai la politica si confonde con la psicologia (o con la psichiatria) e scambia i sondaggi per voti veri. Dunque, fino a qualche giorno fa, la forza di Salvini, puramente virtuale, era stimata oltre il 35% in marcia verso il 40, con i 5Stelle quasi doppiati poco sopra il 20, a un passo dal Pd che qualcuno dava in fase di sorpasso. Ora invece, secondo il sondaggio Ipsos di Nando Pagnoncelli sul Corriere, la Lega ha perso 6 punti in tre settimane e naviga sul 30-31. E il M5S risale al 25, distanziando un Pd stagnante al 20. Tecnicamente, questi dati sarebbero un trionfo per Salvini e uno smacco per Di Maio, visto che il primo guadagnerebbe 13 punti e l’altro ne perderebbe 7 in 15 mesi. Ma psicologicamente sarebbe una brusca discesa per chi da mesi se la tira da padrone e annuncia la resa dei conti post-voto. Il sondaggio, fra l’altro, s’è chiuso l’8 maggio, dunque include la fase iniziale del caso Siri. Ma non la cacciata del sottosegretario per mano di Conte e Di Maio, né l’ulteriore schiacciamento a destra di Salvini col libro edito da un fascista, né la nuova Tangentopoli lombarda col leghista Fontana indagato. E lo scandalo Siri e lo spostamento a destra sono, secondo Pagnoncelli, le cause principali della brusca retromarcia leghista. Fatto il pieno di voti leghisti e di destra prima e dopo le elezioni del 2018, Salvini si era spostato su posizioni meno estreme, attirando voti da FI e dal M5S. (…). Ora invece il ritorno di Salvini all’estrema destra ha messo in fuga un bel po’ di moderati, verso l’astensione, il M5S e FdI (la Meloni è meno connotata – a dispetto di certi compagni di strada – sul nostalgismo fascista e più sul conservatorismo vecchio stampo, infatti è ormai a un passo da FI). Siccome Salvini, da ministro, non ha combinato quasi nulla, è sulla comunicazione che s’è giocato tutto: le risalite e le discese ardite. E proprio lì, da un paio di mesi, ha infilato una serie impressionante, quasi inspiegabile, di errori: la foto pasquale col mitra, il flirt con Casa Pound, il comizio con gli ultrà cattolici a Verona, la banalizzazione del fascismo il 25 Aprile, la difesa di una causa persa in partenza come Siri (se l’avesse cacciato subito, come Di Maio con De Vito, lo scandalo sarebbe sparito dalle prime pagine: invece è durato 20 giorni, fino allo smacco finale), le parole inutili e truculente tipo “castrazione chimica”, la plateale assenza da Napoli dopo il ferimento della piccola Noemi, la strampalata campagna contro l’innocua cannabis legale che dà lavoro a 10 mila persone. Tutte mosse che non gli han fatto guadagnare nuovi elettori (quelli di destra-destra già votano per lui) e gliene han fatti perdere parecchi, fra i leghisti doc refrattari al malaffare e gli orfani di B. allergici a estremismi e fibrillazioni. Questi settori flottanti dell’elettorato si fidavano del Salvini che, l’8 dicembre in piazza del Popolo, citava De Gasperi, Luther King e papa Wojtyla. Ma, ora che torna a rintanarsi negli angoli più neri e bui della storia, si rifugiano nell’astensione. Ed è proprio a loro che parla Conte, col suo stile pacato, rassicurante e ora anche decisionista, su temi più cari ai 5Stelle che alla Lega. Intanto Di Maio incassa i frutti delle leggi più demonizzate dai profeti di sventura: l’avvio ordinato del reddito di cittadinanza e l’aumento di posti di lavoro stabili dopo il dl Dignità, a dispetto di chi vaticinava caos e licenziamenti di massa. Smette di inseguire Salvini sui temi leghisti, imponendo quelli del M5S senza più il timore che la Lega apra la crisi. E va a riprendersi i voti ceduti al Pd e all’astensione, che poi sono gli unici recuperabili (anche se sbaglia a dissociarsi dalla Raggi che mette la faccia a Casal Bruciato, osannata dalla sinistra). Del resto, in questo governo, il M5S ha un senso solo se svolge il ruolo che Bossi rivendicava per sé nel 1994, da alleato-rivale di B.: “il guardiano del baro”. Almeno finché il pallone non si sgonfia un altro po’.
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