"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 30 maggio 2019

Memoriae. 10 «Sussurri, grida, chiacchiere e distintivi».


Questa “memoria” risale al venerdì 13 di agosto dell’anno 2010. Direte: altri gli scenari politico-elettorali a quel tempo! Ne siete certi? È che allora - come oggi - il nodo cruciale era e rimane l’appropriazione politico-temporale del controllo dei media. Oggi, forse, con le varianti sopravvenute con il web e la sua capillare diffusione. Non per nulla oggigiorno molti avvenimenti e le svolte relative ad essi conseguenti avvengono non già nei luoghi deputati alla politica, ma semplicemente cliccando o twittando forsennatamente da mane a sera, notte fonda compresa.
Tanto per dire che, all’indomani del 26 di maggio e delle europee con i loro mirabolanti risultati, la sarabanda che ne deriverà non potrà non fare uso ed abuso dei media per tirare al massimo il vantaggio acquisito. Leggasi per l’appunto la “memoria” per non essere poi colti – ohibò, cosa accade? - dall’imperdonabile sgomento: Siamo al punto cruciale. Centrale. Nella richiesta dei soliti furbi del politichese, vecchio o nuovo di conio che sia, della messinscena delle elezioni politiche anticipate, che in tanti anche tra gli sprovveduti della sinistra si affannano ad auspicare, c’è da non sottovalutare e/o da fare i conti, da parte dei tanti cittadini riflessivi, con i due “imbrogli” ingombranti assai: ovvero, la legge elettorale ed il possesso o il controllo dei moderni mezzi di comunicazione di massa da parte di notori personaggi della politica del bel paese. Anche gli illuminati dell’opposizione, quelli che si autodefiniscono di sinistra, hanno concorso, negli anni, a minimizzare gli effetti perversi, ai fini elettorali, del possesso/controllo dei piccoli mostri che inconsapevolmente deteniamo nelle nostre linde ed asettiche case. Ha scritto Giorgio Bocca, nella Sua consueta rubrica settimanale su “il Venerdì di Repubblica”, un pezzo che ha per titolo “La presunzione della bontà che genera mostri.” Tra le Sue riflessioni riporta: “(…). «Con molta pazienza» spiega il direttore «ho ricordato alle due collaboratrici che la loro insistenza a occuparsi di problemi veri, di non facile soluzione, preoccupanti le persone reali, da affrontare seriamente perché non risolvibili con le chiacchiere o con i desideri, andava contro le direttive dell'ufficio vendite del giornale. Le avevo avvertite che la crescita delle vendite non è affidata alla discussione dei problemi veri, ma alla fabbrica dei sogni e dei desideri delle lettrici». (…).”  La fabbrica dei sogni, per l’appunto. L’illusione propalata di un paese che semplicemente non c’è, non esiste. Un modo subdolo e perverso per far sentire i più beoti dei ferianti, al momento ciabattanti sulle italiche coste, come arrivati nel salotto buono, gomito a gomito con quelli che contano, i ricchi di sempre, i vip di turno. I ladri impuniti, spesso e volentieri. Poveri illusi! Ed allora, per far funzionare la fabbrica dei sogni, si licenzino in tronco le due incaute collaboratrici. Licenziate da “CHI”? O bella questa, ma dal direttore di “CHI”! Sui miracoli di certa carta stampata ne ha scritto brillantemente Giacomo Papi su di un supplemento del quotidiano “la Repubblica” con un pezzo illuminante che ha per titolo “Sussurri, grida, chiacchiere e distintivi”. Di seguito lo trascrivo in parte. Illuminante assai, nelle fosche tenebre dell’oggi solatio e canicolare: (…). L'intercettazione è la lingua della Seconda Repubblica. Un genere narrativo ibrido, ma ormai canonizzato, sulla soglia tra parlato e scritto, pubblico e privato. Mafia, sesso, corruzione. Politica, calcio, spettacolo. Nulla sfugge al nuovo linguaggio. Per questo, oggi, le intercettazioni sono diventate cruciali. Per questo, da mesi, il Presidente del Consiglio è impegnato a cercare di vietarle e l'opinione pubblica a cercare di impedirlo. La parola gossip deriva dall'inglese god-sib o sibling (parente). (…). Negli anni del primo sorridentissimo berlusconismo, è un'altra funzione a trionfare. Quella celebrativa. Nel 1994 la Mondadori lancia Chi di Silvana Giacobini. L'idea è di un candore disarmante: ammettere il popolo nelle dimore dei vip, sbirciare nei loro armadi, applaudire i loro amori e sorridere dei loro peccatucci. Il racconto è intonato allo spirito dei tempi. È un'apoteosi. Il modello sono i rotocalchi del dopoguerra, solo che al posto di Umberto di Savoia a Cascais c'è Milly Carlucci. I lettori si sentono privilegiati di guardare chi sembra felice. (…). Negli anni Novanta la politica entra nello star-system. I primi sono i reali, creature da sempre in bilico tra politica e spettacolo. La morte di Lady Diana, inseguita dai paparazzi a Parigi, inaugura la nuova epoca. L'Unità deve al vicedirettore Piero Sansonetti un titolo di cui, forse, perfino Silvana Giacobini si sarebbe vergognata: - Scusaci, principessa -. Il fantasma di Antonio Gramsci ulula da allora. Panorama di Giuliano Ferrara risponde con la foto dell'incidente e un titolo filo paparazzi: - Clic -. (…). L'importanza politica dei giornale scandalistici cresce. La narrazione edulcorata di Chi è il modo in cui Berlusconi racconta se stesso al paese. Così, per le elezioni del 2001, 12 milioni di italiani ricevono a casa per posta Una storia italiana, celebrazione patinata del nuovo sovrano e famiglia. La curatela è di Sandro Bondi, oggi ministro dei Beni culturali. - È quello il punto di non ritorno -, commenta Candida Morvillo, - Prima, D'Alema non sarebbe mai andato a cucinare risotti in tv -. Il ruolo del direttore di Chi diventa strategico perché è quello, il laboratorio dell'estetica del nuovo potere. Che oggi tracima nel Tg1 di Arturo Minzolini, dopo essere stato sperimentato per anni sulle reti del padrone. Quando scoppia il caso Noemi, Signorini, che è in vacanza dalle Maldive, viene prelevato da un aereo Mediaset e riportato in patria a gestire con fantasiosi servizi posati la controinformazione. - Sceglie la parola illibata, l'unica che capirebbe anche l'ultimo analfabeta italiano -, commenta Morvillo. Signorini diventa il ministro della Propaganda. Brindani (ex direttore del gossiparo di casa padronale “CHI” n.d.r.) ride: - Direi, più che altro, un capo ufficio stampa -. Davanti al video di Marrazzo con i trans, però, preferisce avvisare Berlusconi che informa la vittima. Gli scandali creano legami, e nel mondo rosa di Chi non c'è spazio per il brutto. (…). Brindani: - Chi non celebra più i vip, ma un intero sistema. Non può bastonare, stonerebbe con la linea del va tutto bene madama la marchesa -. Per la clava ci sono i quotidiani. Per la clava c'è Vittorio Feltri -. (…). Le intercettazioni spezzano il monologo. Sono voci dissonanti attraverso cui emerge l'Italia reale, il suo linguaggio, i suoi traffici, i suoi affari. Incrinano il coro angelico. Sono pericolose, perché intaccano la fonte stessa del potere attuale: la libertà incontrastata di mettersi in scena. Anche in questo senso, Berlusconi è vecchio. La sua estetica e ideologia sono moderne. Cioè, decrepite. Il re deve mantenere il controllo della narrazione che vorrebbe fosse creduta. Il potere, però, non è più fondato sullo sguardo centrale, tecnologico e pervasivo, del sovrano sui sudditi. Lo schema di Marcel Foucault si è ribaltato. Il Grande fratello di Orwell, oggi, preferisce farsi guardare. Non si governa più soltanto spiando e origliando, ma catturando occhi e orecchie, occupando l'orizzonte con il possesso dei mezzi di rappresentazione di massa. L'illusionista ripete: - A me gli occhi -. E da vent'anni, siamo tutti occupati a guardarlo. Nel Seicento Gottfried Leibniz, grande filosofo tedesco, immaginò un palazzo percorso da condotti segreti grazie a cui il padrone di casa potesse ascoltare le conversazioni degli ospiti. L'essenziale, anche qui, era che l'orecchio fosse uno solo. Invece, da vent'anni, siamo tutti occupati a sentirlo. Il controllo delle voci e delle immagini è il cuore del populismo mediatico. L'intercettazione, che moltiplica le voci, fa irrompere la realtà sulla scena. Non c'è mentina che possa profumarle l'alito. Nella realtà si gioca e parla sporco, e nessuno impreca dicendo: - Cribbio -. Chi rappresenta l'ultimo avamposto del nuovo Miracolo italiano. Una storia italiana l'ultimo ruggito della calza di nylon nel video della discesa in campo. È la caricatura di un rotocalco sui Savoia del 1960 uscito con cinquant'anni di ritardo. Il trionfo della buona apparenza, l'ideale estetico della piccola borghesia anni Cinquanta. (…). Anche le intercettazioni vanno nella direzione della visibilità dispiegata. Svolgono un ruolo vicario: per il giornalismo e per la magistratura, sempre più lenta nell'arrivare a sentenza. Svolgono, però, anche un insostituibile ruolo epico e narrativo. Ci spiegano chi siamo. E ci racconteranno agli uomini futuri. (…). Le intercettazioni sono una spontanea Commedia umana di Balzac, il mondo visto attraverso una portineria di Proust, l'utopia ottocentesca di restituire, nella sua ammaliante, orrenda complessità, l'infinito intrecciarsi e l'instancabile lavorio del pettegolezzo, il rumore di fondo della civiltà.

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