Tratto da “Il
mancato lavoro della memoria” di Massimo Novelli, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 10 di maggio 2019: “Se l’Italia avesse compiuto il suo lavoro
della memoria, oggi ci sarebbero così tanti cittadini pronti a giustificare e a
relativizzare il fascismo? (…) Forse, in fondo, se in Italia il potere politico
finora ha preferito evitare di illuminare la popolazione sul passato è per
timore di forgiare uno spirito democratico che rischierebbe di metterlo in
difficoltà”. Con I senza memoria. Storia di una famiglia europea, appena
pubblicato da Einaudi, la giornalista franco-tedesca Géraldine Schwarz ha
compiuto un’indagine accurata, prendendo spunto da vicende della sua famiglia,
sulle responsabilità e sulle amnesie di varie nazioni europee rispetto ai
totalitarismi nazifascisti. È un viaggio giornalistico e storico, ed è
un esame di coscienza, che da noi nessuno ha fatto, almeno in questo modo.
Magari perché, come osserva la Schwarz, “riflette un pensiero che in Italia si
è fatto strada dagli anni di Berlusconi in poi: che le leggi razziali sono
intollerabili, ma che senza di loro il fascismo sarebbe accettabile”. Del resto
“Salvini fa parte – aggiunge – di quanti difendono il Duce. ‘Che nel periodo
del fascismo Mussolini abbia costruito tante cose (…) è un’evidenza’, ha
dichiarato nel gennaio 2018”. Lo dimostrano le recenti vicende, dal Salone del
Libro alla presenza di Salvini al balcone di Forlì da dove parlava Mussolini.
Partendo
dal nonno paterno, che per pochi marchi nel 1938, nella Germania nazista,
comprò l’azienda di un imprenditore ebreo, che nel dopoguerra a lungo cercò di
non risarcire, la giornalista di Strasburgo scandaglia intanto il mondo di quei
milioni di mitläufer, “persone che seguono la corrente”, che, pur non essendo
né nazisti né antinazisti, costituirono la base del consenso al regime e agli
orrori di Hitler. Più o meno come la nostra “zona grigia”, né fascisti né
antifascisti: come in Germania, non si ribellarono alla dittatura, alle leggi
razziali, alla guerra d’aggressione in Africa e poi al fianco del nazismo. Che
cosa sarebbe successo se si fossero rivoltati? “All’indomani della guerra – scrive
la Schwarz – in Germania nessuno o quasi si chiedeva che cosa sarebbe accaduto
se la maggioranza, invece di seguire la corrente, avesse contrastato una
politica che aveva rivelato abbastanza presto l’intenzione di calpestare la
dignità umana come si schiaccia uno scarafaggio”. Poi, però, in Germania le
giovani generazioni hanno fatto i conti con la storia nazista. In
Italia il “lavoro della memoria”, come lo chiama Géraldine Schwarz, rispetto al
fascismo, fu opera minoritaria, in gran parte delle sinistre. Ma proprio da
sinistra venne l’amnistia Togliatti del 1946, che consentì non solo di non
epurare i fascisti, a cominciare da quelli di Salò, ma di rimetterli ai loro
posti nei gangli vitali dello Stato. Così, nel compromesso, dice la Schwarz
citando Angelo Del Boca, si creò una “comoda leggenda”: “quella degli italiani
che non fanno male a una mosca, ma sono un tantino ingenui e si sono lasciati
manipolare da Benito Mussolini e dai nazisti”. Il mancato “lavoro della
memoria”, e l’esame di coscienza con il nazifascismo, hanno prodotto ciò che,
oggi, abbiamo sotto gli occhi: non tanto il neofascismo di gruppi e
gruppuscoli, che forse non morirà mai, ma quel “rozzo populismo” che “attinge
dall’eurofobia, dalla xenofobia, dal razzismo e dalle promesse economico-sociali
irrealizzabili”, che furono il sale del nazifascismo. Non avere fatto i conti
con il fascismo, però, non è un peccato mortale che trae origine da Berlusconi
o Salvini. “Il blocco che la Democrazia cristiana – sostiene ancora la Schwarz
– oppose a un onesto confronto con il passato fascista non favorì nemmeno il
radicamento democratico della società italiana”. I fatti di questi giorni ne
sono testimonianza inequivocabile. Il fascismo, per dirla con Piero Gobetti,
resta autobiografia della nazione.
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