Tratto da “Non
diamo un futuro al fascismo” di Carlo Ginzburg, pubblicato sul quotidiano
la Repubblica del 10 di maggio 2019: (…). Leggevo su Repubblica di mercoledì
scorso che Salvini avrebbe reagito alla domanda "ma lei è
antifascista?" rispondendo: "Io sono antifascista, anticomunista,
antirazzista, antinazista, tutto l'anti possibile". Ma questa è una citazione tronca, che lascia
fuori la conclusione: "E di calcio non parlo". Queste parole danno
senso a tutto il resto. Ancora una volta lo scontro politico su questioni
fondamentali viene equiparato da Salvini (come già nella famigerata
dichiarazione sul 25 aprile) a un derby calcistico. Questa scelta di deliberata
volgarità, di trivializzazione, di diseducazione dell'opinione pubblica
riprende per certi versi un costume (un malcostume) che risale a Berlusconi,
qui però messo al servizio di un programma politico diverso, perseguito con un
uso molto efficace dei mezzi di comunicazione. Che in esso si intreccino
elementi vecchi e nuovi è un'ovvietà. Ma di qui bisogna partire. È stato spesso
ricordato in questo contesto la conferenza pronunciata da Umberto Eco alla
Columbia University nel 1995, intitolata Il fascismo eterno. A mio parere la
nozione di "fascismo eterno" o "Ur-fascismo" è, da un punto
di vista sia storico sia concettuale, inconsistente e fuorviante. Le
caratteristiche di questo "fascismo eterno" scrive Eco "sono
tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Ma è sufficiente che una
di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista". Con ciò la
specificità storica del fascismo si dissolve in una nebbia, che lo rende
indistinguibile da qualunque forma di autoritarismo - e non solo, visto che la
prima delle caratteristiche elencate da Eco è la nozione, quanto mai generica e
onnicomprensiva, di "culto della tradizione". Lasciamo dunque da
parte queste genericità. Che Salvini abbia ripetutamente ripreso parole
d'ordine mussoliniane è noto: in questo senso c'è un elemento deliberato di
continuità col fascismo. Ma il contesto internazionale è oggi profondamente
diverso. Basterà elencarne pochi elementi essenziali: a) crescente
globalizzazione (di cui le migrazioni di massa sono un aspetto; b)
trasformazione dei mezzi di comunicazione; c) deperimento o scomparsa degli
organi di partecipazione politica, a cominciare dai partiti (e forse, in
prospettiva, le istituzioni parlamentari). Di questi elementi, il primo era
assente quando il fascismo storico (quello italiano) prese il potere; il
secondo era in atto, in forme diverse (la radio) e il fascismo seppe
approfittarne; al terzo il fascismo contribuì, com'è noto, in maniera
esemplare. Anni fa, in un'intervista, mi capitò di dire , con amarezza,
"il fascismo ha un futuro". Ho l'impressione che l'immediato futuro
mi abbia dato ragione. Certo, la storia non si ripete (anche questo è ovvio).
Ma pronunciando quelle parole pensavo a quello che mi disse, forse mezzo secolo
fa, Italo Calvino : e cioè che l'esperienza peronista suggeriva una definizione
diversa, più ampia (non però generica) del fenomeno fascista. Direi che in
quella definizione l'ambiguità ha un posto centrale (si pensi alla traiettoria
di Mussolini dal fascismo all'ultranazionalismo, o all'apparente ossimoro
"nazional-socialismo"). Quello che viene oggi malamente definito
"populismo" (un insulto ai populisti russi) riformula in un contesto
nuovo quell'ambiguità: un elemento assente nell'autoritarismo classico. In
pagine indimenticabili Palmiro Togliatti definì il fascismo "regime
reazionario di massa": un fenomeno nuovo, che implica l'uso di nuovi mezzi
di comunicazione (ieri la radio, oggi Internet). Che quello della comunicazione
sia un terreno di scontro deciso, è ancora una volta ovvio. E ancora una volta,
le parole sono pietre, o peggio. Senza dubbio in Italia i conti col fascismo
sono stati fatti in maniera incompleta, e perciò inadeguata. Un caso clamoroso
è la rimozione dell'uso dei gas asfissianti in Etiopia. A Milano un parco è
intitolato a Indro Montanelli, che l'uso di quei gas negò pervicacemente (in
Etiopia aveva preso parte come volontario alla guerra che allora paragonò, come
apprendo dalla voce di Wikipedia che gli è dedicata, a "una bella lunga
vacanza dataci dal Gran Babbo", cioè Mussolini). In Italia esisteva un
potenziale razzista che oggi vediamo esploso, nella cronaca di tutti i giorni,
nelle aggressioni, fisiche o verbali, contro rom e immigrati di varia
provenienza. Il razzismo che sta emergendo in Italia è certo, anche,
l'espressione immediata di tensioni sociali - ma non sempre e non solo. Della
produzione libraria di Altaforte (…) conosco solo qualche copertina e qualche
titolo. Ma quando vedo titoli come Il burattinaio sotto la faccia di George
Soros, o L'invisibile sotto la faccia di Carlo De Benedetti, avverto il puzzo
inconfondibile della leggenda sanguinosa (antica, non eterna) del complotto
ebraico. Anche questo è un segnale che il contesto sta cambiando. Discorsi,
immagini, comportamenti un tempo inammissibili sono ora di fatto tollerati. È
tempo di dire basta: le leggi esistenti lo consentono.
Nessun commento:
Posta un commento