"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 17 novembre 2015

Oltrelenews. 69 “La risposta è la guerra?”.



Da “Tocca a noi dire a chi governa come si può battere la paura” di Edwy Plenel – giornalista francese, già capo redattore del quotidiano “Le Monde”, fondatore del quotidiano on-line “Mediapart” -, riportato su “il Fatto Quotidiano” del 16 di novembre 2015: (…). …ognuno di noi, i nostri figli, i nostri genitori, i nostri amici, i nostri vicini, noi stessi, eravamo tutti nel mirino degli assassini. (…). Armati di un’ideologia totalitaria, che usa la religione come pretesto per uccidere ogni forma di pluralità, cancellare ogni diversità, negare l’individualità, avevano una missione: spaventare una società che incarna l’ambizione opposta. È questa società aperta che i terroristi vogliono chiudere. (…). …il loro obiettivo era l’ideale democratico di una società libera, perché fondata sul diritto. Il diritto di avere diritti; la parità di diritti, senza distinzione di origine, aspetto, credo; il diritto di farsi strada nella vita senza essere inchiodati alla propria nascita o appartenenza. Una società di individui, in cui il “noi” è fatto di infiniti “io” in relazione tra di loro. Una società di libertà individuali e diritti collettivi. È questa società aperta che i terroristi vogliono chiudere. Il loro obiettivo è che la società si chiuda, si ripieghi su se stessa, si divida, si rannicchi, si abbassi e si perda. È il nostro vivere insieme che vogliono trasformare in una guerra intestina, una guerra contro noi stessi. Quali che siano le circostanze, le epoche o le latitudini, il terrorismo scommette sempre sulla paura. Non solo la paura che diffonde nella società, ma la politica della paura con cui lo stato reagisce: una fuga in avanti dove al terrorismo segue la sospensione dei diritti democratici in una guerra senza fine, senza fronti e senza limiti, senza altro obiettivo strategico che il suo perpetuarsi, in cui gli attacchi e le risposte si alimentano a vicenda, le cause e gli effetti s’intrecciano all’infinito senza che mai emerga una soluzione pacifica. Quali che siano le epoche o le latitudini il terrorismo scommette sempre sulla paura.
(…). …dobbiamo cercare di capire le ragioni del terrorismo. Per combatterlo meglio, per non cadere nella sua trappola, per non dargli mai ragione, fosse pure per incoscienza o cecità. Le profezie che si autoavverano sono il meccanismo su cui si basa la sua logica omicida: provocare attraverso il terrore un caos ancora maggiore da cui trarre ulteriore rabbia, risentimento, ingiustizia. Lo sappiamo per esperienza, abbiamo visto come la fuga in avanti statunitense dopo gli attacchi del 2001 sia stata all’origine del disastro in Iraq, che ha generato il gruppo Stato islamico, nato dalle macerie di uno stato distrutto e dalla disgregazione di una società violentata. Riusciremo a imparare da questi errori catastrofici, o finiremo per ripeterli? Davanti a un pericolo che riguarda tutti noi, non possiamo abbandonare il nostro futuro e la nostra sicurezza a chi ci governa. Se è loro compito proteggerci, non dobbiamo però accettare che lo facciano contro di noi, nonostante noi, senza di noi. Far fronte al terrorismo significa fare società. È sempre difficile formulare delle domande scomode all’indomani di eventi che colpiscono un popolo intero, unito nella commozione e nello sgomento. Ma, collettivamente, non riusciremo a resistere sul lungo periodo al terrore che ci sfida se non saremo padroni delle risposte che gli verranno date. Se non siamo informati, consultati, mobilitati. Se ci viene negato il diritto di mettere in discussione una politica estera di alleanze con regimi dittatoriali o oscurantisti (Egitto, Arabia Saudita), una serie di avventure militari senza visione strategica (in particolare nel Sahel), le innumerevoli norme di sicurezza che si moltiplicano inutilmente (e al tempo stesso minacciano le nostre libertà), i discorsi politici miopi e di infimo livello (sull’islam in particolare) che dividono invece di unire, che alimentano l’odio invece di rassicurare, che esprimono le paure dall’alto senza mobilitare la società dal basso. Far fronte al terrorismo significa fare società, fare muro con tutto ciò che vogliono abbattere. Difendere la nostra Francia arcobaleno, forte della sua diversità e della sua pluralità, questa Francia capace di unirsi nel rifiuto del capro espiatorio e delle comode semplificazioni. Questa Francia che nel 2015 ha tra i suoi eroi anche musulmani, così come atei, cristiani, ebrei, massoni, agnostici, di tutte le provenienze, culture o fedi. La Francia di Ahmed Merabet, il poliziotto di origine algerina ucciso di fronte alla sede di Charlie Hebdo. La Francia di Lassana Bathily, l’ex immigrato irregolare originario del Mali che ha salvato molti ostaggi nell’Hyper Cacher. Questa Francia rappresentata, nella lunga notte parigina del 13 novembre, dai tanti soccorritori, operatori sanitari, medici, poliziotti, soldati, vigili del fuoco, dai tanti gesti di buona volontà, dalle mille solidarietà figlie di questa diversità che fa la ricchezza della Francia. E anche la sua forza. (…). No, non abbiamo paura. Tranne di noi stessi, se ci arrendiamo alla paura. Tranne dei nostri politici, se ci inducono in errore e ci ignorano. Gli assassini vorrebbero chiudere la nostra società, noi ci batteremo perché resti aperta, più che mai. Il simbolo di questo rifiuto potrebbero essere due mani che si incontrano, si stringono e si fondono, tendendosi l’una verso l’altra. Due mani incrociate.

Da “Una grande guerra troppo piccola” di  Furio Colombo, su “il Fatto Quotidiano” del 15 di novembre 2015: (…). …tutte le parole che abbiamo ascoltato durante una notte angosciosa, ma anche misteriosa, dalle tv italiane e da quelle che abbiamo visto nel mondo, erano parole usate, erano scorte avanzate da mille dibattiti su Medio Oriente, islamismo, terrorismo, jihadismo, identità e civiltà. Parigi era vicinissima nelle immagini, lontana, contraddittoria, confusa, nelle informazioni, quasi solo un uso senza freni di ciò che crediamo di sapere e non sappiamo. Non sul loro mondo (i probabili mandanti), non sul nostro (ragazzi francesi delle banlieue?).   (…). Per l’Italia subito si è fatta sentire il ministro della Difesa Pinotti:“Noi siamo pronti”, ha detto. Pronti per che cosa? Abbiamo una vaga idea dell’avversario, nessuna dei luoghi e dei modi in cui rischiamo di essere colpiti, nessuna dei luoghi e dei modi in cui dovremmo o potremmo difenderci. (…). Dunque, chi è pronto, con chi, o contro chi, per fare che cosa? Colpisce la sconnessione fra fatti veri e piani militari, che sono a volte di difesa e a volte di attacco. Colpisce l’obiettivo da colpire, che sono a volte “i clandestini” o chi li trasporti (come se l’ideale fosse il mare chiuso) e a volte i jihadisti di una confessione o dell’altra. Si alternano allusioni (però il più delle volte caute, generiche, per poter dire subito “non sono stato io”) di attacco in forze, e tutti uniti, contro la nuova centrale del male (Isis).Tutti uniti non lo siamo mai. E se la notte di Parigi è stata pianificata da strateghi intorno a un tavolo, come i generali di Hitler prima della Polonia, quegli strateghi avevano capito bene. Devi colpire ognuno da solo. Grande solidarietà, ma resterà solo. Non esiste un punto di vista o una politica europea o un legame di pronto e reciproco soccorso, come ai tempi della Nato. Del resto non sarebbe gradito, perché lega le mani a eventuali imprese future (anche se vanno male,vedi Libia, vedi Siria). Nella notte di Parigi, però, emerge con chiarezza, oltre alla solitudine delle vittime (i cittadini colpiti in una sera di festa,in luoghi di festa, ma anche la città di Parigi, anche la Francia), la asimmetria di ciò che possiamo cominciare a chiamare guerra. Da una parte una grande potenza stordita e fuori equilibrio. Dall’altra una gang di giovanissimi a viso scoperto che,dopo il dovuto addestramento (non all’uso di nuove armi ma del proprio corpo e della propria vita) fanno saltare, in pochi punti della periferia di Parigi,i nervi alla grande potenza e al mondo.(…).

Nessun commento:

Posta un commento