Da “È tempo
di massacri” di Giovanni Torres La Torre. Dal sito dell’Autore: Giovanni
Torres La Torre è nato a San Piero Patti(ME) nel 1937. Vive a Capo d'Orlando
dove, oltre che per l' attività artistica in campo figurativo - pittura e
scultura -, si distingue come operatore culturale. Ha esordito nel 1963 con “Il Gioco si corregge” edito da Guanda. Altre opere: “Per i bambini uccisi nel
Vietnam”, Tip. Progresso, 1966; “Bandiere di fili di paglia”, Arci- Sicilia,
1978; “Sicilianze”, Il Vertice/Libri, 1981; “Fanfara di silenzio”, Il
Vertice/Libri, 1986; “Girotondo di farfalle”, Prova d'Autore, 1989; “Carta
randagia”, Prova d'Autore, 1991;“Il bosco della memoria”, Prova d'Autore, 2005;
“Con patir di cuore”, Pungitopo, 2008; “Teatro viaggiante”, Pungitopo, 2009; “Luna
visionaria”, Prova d'Autore, 2015.
P. Neruda
Drappeggiano
i boschi velluti di castagni,
altri grumi gentili di ruggine e sangue
in silenzio si accecano di ombra
nel cadere di una foglia morta.
Anche a occhi lontani è dato conoscere
la storia del lutto
ma non restano segnali di zolla
né pietra di pietà di sepolcro
ove lasciare memoria di fiore.
Le fanciulle si ornavano il collo
con gioiello d’ambra donato dalle Eliadi*
ora pioppi di solitudine in fertilità di
lacrime.
Ovunque, sulla terra
è tempo di foglie morte
di frutti fertili alle labbra
e rubati all’avventura della stagione.
II
È tempo
di massacri
nelle città e deserti e mari e ghetti
e frontiere di fili spinati.
Non si sono estinti nell’ordine naturale di
vita e di morte
gli incappucciati in riti di sangue
del Khu Klux Klan.
I figli dei figli sparsi per il mondo
discendenti della caverna e della clava,
gente comune con arma sottocamicia
terroristi adoratori del coltello e della
scimitarra
briganti d’ogni risma
impazzano nelle scuole nelle chiese nei
musei
nelle sinagoghe e nelle feste consacrate.
Ovunque, sulla terra
è tempo di foglie morte
e la poesia è testimonianza dell’orrore del
mondo.
Venite a vedere i morti per le strade.
III
La lusinga
di un idillio
si era spenta nella quiete sepolcrale.
Cullavano ali sparute uccelli insicuri
che folate d’autunno inquietavano,
ondivaghi a profili di colline
e in sogno di fuggire
affidavano la loro storia avvilita
in memoria a merletti di bel velo
laggiuso rimasto in solitudine
a vegliare l’ombra degli scomparsi
nei regni eterni dei deserti e dei mari.
IV
Tu
pure, sorriso d’argento in cerca di testimoni
o luna premurosa su cumuli di macerie!
affacciandoti in visita ad antichi nidi
e alle finestre di morenti giardini,
salutavi col tuo fiasco di vino
a consolazione della notte insicura
e allontanavi, seppur per inganno
gli spettri di tanta triste sorte.
Ovunque, sulla terra
è tempo di foglie morte.
V
Fiore
e pietra della bellezza,
albero fruttifero di voli
a noi giunti dalla civiltà ellenica,
addio!
Addio alle splendide fanciulle
del regno di Zenobia
– la
più nobile e bella donna d’Oriente –
ora prese alla gola dalla barbarie dei
coltelli
e in lacrime tra le acque del Tigri
e il Mar di Levante,
addio alla vostra luce e ai vostri custodi.
Addio Palmira,
stella polare delle carovane della seta
dei profumi e delle gemme,
addio via della speranza smarrita
e all’eternità del tuo nome e dei tuoi
tesori
nelle splendide forme
delle pietre e delle somiglianze.
Addio bocca amorosa dei sapori dei datteri,
oasi di sogni e fatiche.
Non è più luce il volto degli antenati
e degli uccelli
delle parole sulle lapidi funerarie
della geometria e della matematica.
Venezia di Sabbia
addio.
*Eliadi, figlie del dio Elio e sorelle di Fetonte;
alla morte di questo furono trasformate in pioppi e le loro lacrime in ambra.
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