Da “Il
Califfo se la ride” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 25 di
novembre 2015: (…). …le vittime del terrorismo islamista sono quasi tutte di religione
islamica (24.517 su 32 mila) e gli attentati colpiscono prevalentemente paesi a
maggioranza musulmana. Nel solo 2014 sono morte ammazzate 9929 persone in Iraq,
7512 in Nigeria, 4505 in Afghanistan, 1760 in Pakistan, 1698 in Siria, 654
nello Yemen, 429 in Libia. I paesi occidentali (Europa e America del Nord) sono
buoni ultimi con il 2,6% delle vittime. Nel 2015 i morti islamici per mano dei
terroristi islamisti sono 23 mila, contro i 148 europei (Parigi, Copenaghen e
di nuovo Parigi), i 224 russi (sull’aereo in volo sul Sinai) e i 59 trucidati
in Tunisia fra il museo del Bardo e la spiaggia di Sousse. Pochi capiscono che
il terrorismo jihadista – da al Qaeda all’Isis – usa il pretesto della religione
per perseguire strategie e obiettivi politici. Il Califfo, intanto, se la ride.
Dicono che le stragi di Parigi sono il punto di non ritorno, ma a Parigi sono
morte molte meno persone che nel mercato di Beirut o sull’aereo russo nel
Sinai, due attentati che non hanno destato la stessa reazione in Occidente.
Delle vittime di Parigi conosciamo tutto, volti, storie, parenti, funerali,
mentre delle 44 vittime di Beirut –anche lì bambini, studentesse, padri di
famiglia – non sappiamo nulla: eppure sono morte ammazzate solo il giorno prima
di quelle di Parigi, uccise da kamikaze armati nello stesso identico modo di
quelli di Parigi. Nulla sappiamo neppure dei sette Hazara sciiti decapitati
dall’Isis il 30 settembre scorso in Afghanistan, compresa una bambina di 9
anni. Né dei 145 fra studenti e bambini trucidati a Peshawar, in Pakistan, nel
dicembre scorso. Ci sono dunque morti di serie A (i “nostri”) e di serie B (i
“loro”), e molti islamici nelle nostre periferie-ghetto penseranno che i valori
della civiltà occidentale non valgono per tutti, e i foreign fighters che
corrono ad arruolarsi nell’Isis aumenteranno. Il Califfo, intanto, se la ride.
Dicono che l’Occidente è compattamente schierato contro l’Isis, ma pochissimi
paesi occidentali accolgono i profughi siriani che fuggono dalle mattanze
dell’Isis, accomunati a noi dallo stesso nemico. Anzi, i politici e i
commentatori di destra che paiono i più intransigenti contro l’Isis lo sono poi
altrettanto contro i profughi che fuggono dall’Isis: li accusano di nascondere
o di appoggiare terroristi, o di non dissociarsi da essi, creando un
cortocircuito che regala altri adepti e simpatizzanti all’Isis. Il Califfo,
intanto, se la ride.
Da “Più li
bombardiamo più ci colpiscono” di Massimo Fini, su “il Fatto Quotidiano”
del 18 di novembre 2015: (…). …noi vediamo, rabbrividendo, i nostri
morti, ma non vediamo i loro. Sono almeno quindici anni che siamo in guerra
contro i Paesi musulmani, ma non ce ne siamo accorti perché, in Europa, la
guerra ci ha toccati in anni ormai lontani e dimenticati (attentati ai treni a
Madrid nel 2004 e alla metropolitana a Londra nel 2005) o, più recentemente,
per episodi circoscritti e limitati (Charlie Hebdo e supermercato ebraico).
Così abbiamo continuato a vivere la nostra vita come se quelle guerre non ci
riguardassero. Gli attentati di venerdì a Parigi sembrano meno mirati di quelli
di un anno fa al settimanale francese, invece, in un certo senso, lo sono di
più. Colpendo una discoteca, ristorantini alla moda, lo stadio di calcio, cioè
i luoghi dei nostri divertimenti, è come se i jihadisti ci dicessero: adesso
avete finito di divertirvi mentre noi, a causa vostra, moriamo. E noi dobbiamo
accettare lo scandalo, da cui la superiorità tecnologica ci aveva tenuti
lontani, che la guerra, la vera guerra, organizzata, sistematica e non
episodica, può entrare nei nostri territori. Ma non ci siamo preparati. Decenni
di cosiddetto benessere ci hanno infiacchiti, indeboliti, rammolliti,
svirilizzati. Le reazioni agli attentati di Parigi sono state isteriche o
grottesche. Quando si grida, come ha fatto ripetutamente Hollande, che non si
ha paura vuol dire solo che si ha paura. E infatti sono bastati tre petardi per
mandare i parigini nel panico. Si combatte il nemico illuminando i monumenti
con i colori della Francia o spegnendo le luci della Tour Eiffel o della
fontana di Trevi o cantando, come ha fatto Madonna, sciogliendosi in lacrime,
Like a Prayer. Ma questa non è più un’epoca di Beatles, di Rolling Stones e
Gianni Morandi. Cerchiamo di salvarci l’anima portando dei fiori sui luoghi
degli attentati, commuovendoci della nostra commozione. Cerchiamo almeno di
essere più seri e composti. La forza dell’Isis sta nella nostra debolezza. Di
là uomini con valori fortissimi, sbagliati che siano, disposti ad andare a
morire con la disinvoltura con cui si accende una sigaretta, di qua una società
svuotata di ogni valore, a cominciare dal coraggio. L’errore capitale degli
occidentali, in particolare degli americani e dei francesi, sempre ammalati di
una ridicola grandeur, è stato quello di andare a mettere il dito, o per essere
più precisi i bombardieri e i droni, in una guerra civile, quella fra sunniti e
sciiti, iracheni e siriani, che peraltro noi stessi avevamo provocato
abbattendo Saddam Hussein, di cui eravamo stati surrettiziamente alleati in
funzione anticurda e antiiraniana. E oggi a combattere sul campo non ci andiamo
noi ma ci affidiamo proprio ai curdi, del cui massacro siamo stati complici, e
ai pasdaran dell’Iran uscito improvvisamente da quell’ “Asse del Male” in cui
era stato ficcato, non si è mai capito bene perché, per trent’anni. Se i
francesi vogliono recuperare un minimo di decenza, invece di continuare a
bombardare più o meno alla cieca, mandino i loro soldati sul terreno. Anche se
temo che sarebbe una nuova Dien Bien Phu. Detto questo io penso che in realtà
non ci sia solo la religione nella guerra che l’Isis combatte in Medio Oriente.
È anche il tentativo di ridefinire confini disegnati soprattutto dagli inglesi
fra il 1920 e il 1930. Tentativo più che legittimo in cui, appunto, noi
occidentali non avremmo dovuto entrare. Ma c’è anche una lettura più
inquietante che si può dare di ciò che sta accadendo in Medio Oriente,
nell’Africa subsahariana e in Occidente. Potrebbe essere il tentativo dei
poveri dei Paesi poveri del Terzo mondo di muover guerra, con le armi e con le
migrazioni, ai Paesi ricchissimi ma squartati all’interno da disuguaglianze
spaventose. Se questa ipotesi fosse vera ai poveri del Terzo mondo potrebbero
aggiungersi, prima o poi, marxianamente, quelli del Primo mondo. E questo immenso
mare di miseria finirebbe per sommergere e decretare la fine di quello che
chiamiamo Occidente.
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