"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 27 maggio 2012

Storiedallitalia. 14 Abuso di potere.

È tornata sul proscenio del bel paese la nobile e benemerita compagnia della “commedia dell’arte all’italiana”. All’italiana. Sono i tardi seguaci di Melpemone e Talìa. Che all’italiana divagano, saltimbancano, con stupefacente facilità, dalla prima, che è la musa della tragedia, alla seconda, che è la musa della commedia. Della commedia all’italiana però, nella variante della farsa. Con l’ultima boutade del signor B, della benemerita corporation B&G. Con l’epocale scelta resa nota al popolo colto ed incolto di fare del bel paese un paese del presidente. Come dire: sino a che il dottore “studìa”, il malato l’è bello e morto. Il malato in questione è il bel paese. E così ci si ritroverà, alla primavera dell’anno 2013, con il “porcellum” come legge elettorale. Ché del resto sta bene assai alla corporation B&G, con i loro partiti, partiti tra virgolette, padronale o personale. Entro i quali si entra o dai quali si esce secondo l’umore tragicomico del duo B&G. Intanto avviene che nel bel paese si trasformi la Carta sotto il naso dell’ignaro uomo della strada. Anzi, senza che all’uomo della strada se ne sia dato un minimo di sapere. Scrive Stefano Rodotà sul quotidiano la Repubblica un pezzo che ha tutta l’aria di un “appello all’attenzione democratica”. Ché “vigilanza” sarebbe stato dire troppo, come in una condizione pre-rivoluzionaria o golpista. Titolo del pezzo/appello “La maschera del populista”: (…). Stiamo vivendo una fase costituente senza averne adeguata consapevolezza, senza la necessaria discussione pubblica, senza la capacità di guardare oltre l´emergenza. Per comprendere quel che sta accadendo, è un intero contesto a dover essere considerato. È stato modificato l´articolo 81 della Costituzione, introducendo il pareggio di bilancio con pregiudizio grave per la tutela dei diritti sociali e per la stessa azione di governo. Un decreto legge dell´agosto dell´anno scorso e uno del gennaio di quest´anno hanno illegittimamente messo tra parentesi l´articolo 41. E il Senato sta discutendo una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento, governo, ruolo del presidente della Repubblica. Non siamo di fronte alla buona “manutenzione” della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono sopraffatte da richiami all´emergenza così perentori che ogni invito alla riflessione configura il delitto di lesa economia. In tutto questo non è arbitrario cogliere un altro segno della incapacità delle forze politiche di intrattenere un giusto rapporto con i cittadini che, negli ultimi tempi, sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione e non possono essere messi di fronte a fatti compiuti. Proprio perché s´invocano condivisione e coesione, non si può poi procedere come se la revisione costituzionale fosse affare di pochi, da chiudere negli spazi ristretti d´una commissione del Senato, senza che i partiti promuovano essi stessi quella indispensabile discussione pubblica che, finora, è mancata. E invece siamo di nuovo a un continuo cambiare le carte in tavola, ai segnali di fumo tra oligarchie, alla considerazione della Costituzione come oggetto manipolabile secondo le convenienze.(…). Quanto basta per dire della scarsa considerazione che la “casta” della politica ha del cosiddetto “uomo della strada”. Che concorre a formare la pubblica opinione. Che risulta, secondo i populisti di sempre, essere il “popolo sovrano”. Sovrano di cosa? Sarei tentato di dire che la “casta” si stia rendendo responsabile di quell’”abuso di potere”  del quale ha scritto, molto dottamente, Nadia Urbinati in una Sua riflessione del 4 di novembre dell’anno 2010 col titolo, per l’appunto, di “Abuso di potere”, riflessione pubblicata sul quotidiano la Repubblica che di seguito trascrivo in parte. Giusto per non far cadere nel vuoto il pezzo/appello di Stefano Rodotà. Per rifletterci con forza e serenità.

(…). L'abuso di potere è un fatto gravissimo perché distrugge una comunità politica trasformando i cittadini in sudditi, facendone oggetto di raggiro, mettendoli nella condizione di non sapere e quindi di non poter giudicare con competenza, lasciando chi governa nella straordinaria libertà di fare ciò che vuole. L'abuso mina alla radice la fiducia senza la quale non si danno relazioni politiche in una società fondata sul diritto. Il liberalismo ha colto al meglio questo problema, poiché ha da un lato assunto che il potere è necessario, e dall'altro che il suo esercizio stimola negli uomini la propensione a non averne mai abbastanza e quindi ad abusarne. Il potere alimenta la passione per il potere con un'escalation fatale verso il monopolio. Le costituzioni moderne partono tutte dalla premessa che ci si debba sempre attendere la violazione e l'abuso da parte di chi esercita il potere e per questo istituzionalizzano le funzioni pubbliche e stringono il potere politico dentro norme rigide e chiare. Da questa concezione liberale ha preso forma l'idea che l'unica legittimità che il potere politico può acquisire è quella che viene dal rispetto delle garanzie di libertà individuale e, quindi, dalla limitazione e dal controllo del potere (limitazione nella durata e nell'intensità grazie alle elezioni, ai controlli di costituzionalità e alla divisione dei poteri) attraverso vincoli che chi governa non può manomettere. Violare i limiti che la difesa di questa libertà impone equivale a mettersi fuori della legge (un fatto di sedizione che indusse John Locke a giustificare la disobbedienza e la ribellione, aggiungendo con toni sconsolati che purtroppo i popoli hanno più capacità a subire gli abusi che a ribellarsi ad essi). Il potere che opera d'arbitrio non è più potere politico, quindi, ma é dominio assoluto e dunque nuda forza che fa di chi lo subisce un servo a tutti gli effetti. La differenza fra dominio e governo sta tutta qui. (…). In una democrazia costituzionale il Presidente del Consiglio e i ministri (il potere esecutivo) ricevono legittimità dal patto fondativo che detta le regole della loro designazione e della loro durata e, se necessario, della loro destituzione per la possibilità di essere sottoposti alla giustizia ordinaria "per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni" in seguito all'autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati (Art. 96, il quale nella formulazione originaria del 1947, poi sottoposta a revisione nel 1989, era molto più severo e prevedeva la possibilitá della messa in "stato d'accusa", una formula simile all'impeachment americano). Queste regole e questi limiti definiscono quello politico come agire pubblico, stabilendo che esso appartiene alla comunità politica e non a chi lo esercita, il quale non può sostituire il suo personale giudizio su come relazionarsi alle istituzioni a quello definito dalla legge, dalla quale egli dipende. L'abuso blocca proprio la dimensione pubblica del potere rendendone l'esercizio un fatto tutto privato; è a questo punto che il potere si fa nuda forza, discrezione nella mani di chi lo maneggia, come strumento di privilegio. Il governante che viola le norme che regolano il suo operato si impossessa del potere e lo piega ai suoi interessi.

Nessun commento:

Posta un commento