"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 25 maggio 2012

Storiedallitalia. 13 Cronache di ordinaria furbizia.


Quadro primo. Da Il sacrificio con il trucco di Curzio Maltese, pubblicato sul quotidiano la Repubblica.

(…). Il primo trucco consiste nel creare una commissione ad hoc per controllare le spese dei partiti, togliendo il compito all’organo naturale di controllo, la Corte dei Conti. Si tratta, per cominciare, di un espediente anticostituzionale, come ha rilevato  la stessa Corte in una lettera letta in Parlamento dal radicale Maurizio Turco. In secondo luogo, è un  modo di fingere di non capire che la causa principale  di scandalo non è solo o tanto l’entità del danaro pubblico  ricevuto, ma il modo in cui è stato impiegato dai  partiti, dalla Margherita alla Lega. I controlli dunque  andrebbero aumentati al massimo livello e non dirottati  verso una commissione di dubbia competenza e  autorità.  Il secondo trucco consiste nella trovata di compensare  il dimezzamento dei fondi pubblici rendendo  molto convenienti i finanziamenti privati, attraverso  una serie di favori fiscali. In pratica, da domani chi darà soldi ai partiti godrà di esenzioni maggiori di chi oggi offre danaro a una onlus, a un’associazione di volontari o alla ricerca contro il cancro. Si pongono alcune  domande (retoriche). Perché, i partiti sono più importanti  della lotta ai tumori? E chi ne approfitterà, i  militanti, ormai in via di estinzione, oppure i soliti noti,  le banche, i costruttori, gli appaltatori pubblici? In cambio di che cosa? Siamo, come si vede, a un passo  dal legalizzare la mazzetta. Fra i battimani del populismo  “anticasta”. Un terzo trucco, (…) per cui i soldi andrebbero soltanto ai partiti dotati di uno statuto. Ovvero  tutti, tranne uno, (…). (…). Con maggiore onestà, i leader dei partiti del  Parlamento dovrebbe occuparsi di quello che c’è  scritto nei loro statuti, confrontarlo con la Costituzione  e notare alcune contraddizioni. La più colossale è  che soltanto in Italia i partiti sono associazioni private  e non soggetti di diritto pubblico, com’è nel resto  d’Europa. Il vero problema sta proprio qui, anche se  nessuno lo dice. Perché non conviene a nessuno sollevare  la questione, non alla nomenclatura ufficiale,  ma neppure ai moralisti Di Pietro e Grillo, che sono  proprietari dei rispettivi partiti. (…). In quanto associazioni private, i partiti possono disporre  del danaro che ricevono, dal pubblico o dal privato,  come vogliono, senza controlli e senza incorrere  in reati. Con questo scudo legale sarà infatti assai complicato,  nei processi per le vicende della Margherita e  della Lega, provare i reati di appropriazione indebita  e truffa ai danni dello Stato, perfino sulla «paghetta» ai  figli di Bossi. Esiste anzi il rischio concreto che tutto finisca  in nulla e i corrotti festeggino un’altra finta assoluzione. (…). L’autentica riforma oggi non è abolire il finanziamento  pubblico, che esiste in molte democrazie, sia  pure con cifre più ridotte e controlli assai maggiori, ma  cambiare lo status giuridico dei partiti. L’Unione europea  lo ha chiesto con una norma del 2004, formalmente  accolta dal Parlamento italiano nel 2006, mai  applicata. A parte questo, ci sarebbe la vecchia cara  Costituzione con l’articolo 49, dove i partiti sono chiamati  a concorrere alla politica nazionale “con metodo  democratico”. Ora, quale metodo democratico applicano  i nostri partiti padronali, blindati all’esterno come  associazioni private? Certo sostenere che bisogna  cambiare lo status giuridico non è adatto a strappare l’applauso come dire «basta soldi ai partiti». Il gioco  del populismo è sempre lo stesso: dare al popolo soluzioni  semplici. Che con il tempo naturalmente si riveleranno  catastrofiche. (…). In questo  modo si conserva il terreno sul quale è cresciuta in  questi anni la mala pianta della corruzione.

Quadro secondo. Da Il peccato originale dello scandalo Lusi di Gad Lerner, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 6 di febbraio dell’anno 2012.

Ora che lo scandalo dei bilanci-fantasma le ha rese evidenti, sarà bene ricordare le indicibili motivazioni patrimoniali che suggerirono nel 2006 ai dirigenti della Margherita e della Quercia la scelta autolesionistica di presentarsi uniti alla Camera, ma separati al Senato, a costo di disorientare gli elettori e mutilare così la vittoria del centrosinistra: lo fecero per ragioni di cassa. L´unità del nascente Pd, ma soprattutto il progetto di rinnovamento del Paese dopo una fallimentare legislatura berlusconiana, furono sacrificati al vil denaro. Vil denaro ritenuto indispensabile alla conservazione di strutture organizzative separate. Come andò a finire, lo ricordiamo bene: l´astruso marchingegno dei simboli differenziati fra le due schede, determinò com´era prevedibile un calo di voti al Senato, trasformando l´aula di Palazzo Madama in un campo minato per la risicata maggioranza di centrosinistra. Il governo Prodi nasceva già azzoppato e durò solo due anni. Ad approfittare dell´insperato regalo fu Berlusconi che sopravvisse alla probabile fine del suo ciclo politico e nel 2008 ritornò al governo per tre lunghi, inutili anni. Costati assai cari al Paese. Nessuno seppe spiegarci perché la lista unitaria dell´Ulivo dovesse andar bene alla Camera ma non al Senato, contro ogni logica di marketing elettorale oltre che di linea politica. “Tanto vinciamo lo stesso”, era la miope risposta fornita in privato dai tesorieri Luigi Lusi e Ugo Sposetti a chi gli chiedeva di destinare maggiori risorse alla campagna unitaria. E difatti, l´anno successivo, lo stesso Partito democratico fu concepito (con esiziale ritardo) in regime di “separazione dei beni”: i partiti fondatori venivano “sospesi” e non disciolti, di modo che i rispettivi dirigenti potessero usufruire fino a oggi non di due, ma addirittura di tre bilanci separati. (…). Non basta che la magistratura faccia giustizia dell´appropriazione indebita di tredici milioni perpetrata da Luigi Lusi (eventualmente con il concorso di altri) ai danni della fu Margherita. Gli elettori del Partito democratico hanno il diritto di sapere se le risorse accantonate grazie ai simboli dei partiti “sospesi” vengano oggi usufruite con una discrezionalità che, seppure non determini infrazioni di legge, risulta gravemente impropria. Opaca. Nascosta nelle pieghe di bilanci alimentati in ogni caso da troppo denaro pubblico. Naturalmente ciò vale anche per i partiti della destra; quanti cittadini sono al corrente della lucrosa sopravvivenza di Forza Italia e Alleanza nazionale con i loro tesoretti scaturiti dai rimborsi elettorali? E i fondi esteri costituiti dal “cerchio magico” della Lega Nord non sono forse la rappresentazione plastica di come l´attuale normativa favorisca la creazione di invisibili centri di potere, detentori di risorse che assegnano un controllo sempiterno a pochi capipartito? Che dire, poi, dei partitini personali in cui il denaro pubblico è soggetto a una gestione para-familiare? La somma micidiale fra la legge vigente sui rimborsi elettorali e la legge “porcellum” che riserva a pochi oligarchi il potere di scelta sulle candidature, sembra fatta apposta per screditare la nostra democrazia parlamentare. (…). La storia non si fa con i “se”, ma resta l´amarezza per quella scelta del 2006 che tanti danni ha procurato all´Italia; senza la quale forse ci saremmo risparmiati l´ultimo colpo di coda del regime berlusconiano. La perpetuazione di strutture rispettabili ma obsolete, funzionali solo al mantenimento di centrali di potere correntizio, fu fatta letteralmente pagare ai cittadini. Il denaro si è mangiato la politica?

Al tempo – febbraio 2012 - ben poca cosa si sapeva dello scandalo delle “paghette” della Lega. E delle lauree del figli del Bossi. E di tutto il resto. È un paese strano e disastrato il nostro, nel quale si grida spesso e volentieri “al lupo al lupo”, anzi “al ladro al ladro”, senza che ne sortisca cosa nuova alcuna. È che in tanti ambirebbero a trovarsi dalla parte del “ladro”. Colpa della Controriforma, che ha fatto dei cittadini del bel paese solamente degli impenitenti “peccatori”  e non dei “rei”? Ché tanto, con la devozione dovuta, il lavaggio dei peccati è assicurato al chiuso del confessionale. E per il tale motivo si torna, impenitentemente, a peccare.

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