Quadro primo. Da Il
sacrificio con il trucco di Curzio Maltese, pubblicato sul quotidiano la
Repubblica.
(…). Il primo trucco consiste nel
creare una commissione ad hoc per controllare le spese dei partiti, togliendo
il compito all’organo naturale di controllo, la Corte dei Conti. Si tratta, per
cominciare, di un espediente anticostituzionale, come ha rilevato la stessa Corte in una lettera letta in
Parlamento dal radicale Maurizio Turco. In secondo luogo, è un modo di fingere di non capire che la causa
principale di scandalo non è solo o
tanto l’entità del danaro pubblico
ricevuto, ma il modo in cui è stato impiegato dai partiti, dalla Margherita alla Lega. I
controlli dunque andrebbero aumentati al
massimo livello e non dirottati verso
una commissione di dubbia competenza e
autorità. Il secondo trucco
consiste nella trovata di compensare il
dimezzamento dei fondi pubblici rendendo
molto convenienti i finanziamenti privati, attraverso una serie di favori fiscali. In pratica, da
domani chi darà soldi ai partiti godrà di esenzioni maggiori di chi oggi offre
danaro a una onlus, a un’associazione di volontari o alla ricerca contro il
cancro. Si pongono alcune domande
(retoriche). Perché, i partiti sono più importanti della lotta ai tumori? E chi ne approfitterà,
i militanti, ormai in via di estinzione,
oppure i soliti noti, le banche, i
costruttori, gli appaltatori pubblici? In cambio di che cosa? Siamo, come si
vede, a un passo dal legalizzare la
mazzetta. Fra i battimani del populismo
“anticasta”. Un terzo trucco, (…) per cui i soldi andrebbero soltanto ai
partiti dotati di uno statuto. Ovvero
tutti, tranne uno, (…). (…). Con maggiore onestà, i leader dei partiti
del Parlamento dovrebbe occuparsi di
quello che c’è scritto nei loro statuti,
confrontarlo con la Costituzione e
notare alcune contraddizioni. La più colossale è che soltanto in Italia i partiti sono
associazioni private e non soggetti di
diritto pubblico, com’è nel resto d’Europa.
Il vero problema sta proprio qui, anche se
nessuno lo dice. Perché non conviene a nessuno sollevare la questione, non alla nomenclatura
ufficiale, ma neppure ai moralisti Di
Pietro e Grillo, che sono proprietari
dei rispettivi partiti. (…). In quanto associazioni private, i partiti possono
disporre del danaro che ricevono, dal
pubblico o dal privato, come vogliono,
senza controlli e senza incorrere in
reati. Con questo scudo legale sarà infatti assai complicato, nei processi per le vicende della Margherita
e della Lega, provare i reati di
appropriazione indebita e truffa ai
danni dello Stato, perfino sulla «paghetta» ai
figli di Bossi. Esiste anzi il rischio concreto che tutto finisca in nulla e i corrotti festeggino un’altra
finta assoluzione. (…). L’autentica riforma oggi non è abolire il
finanziamento pubblico, che esiste in
molte democrazie, sia pure con cifre più
ridotte e controlli assai maggiori, ma
cambiare lo status giuridico dei partiti. L’Unione europea lo ha chiesto con una norma del 2004,
formalmente accolta dal Parlamento
italiano nel 2006, mai applicata. A
parte questo, ci sarebbe la vecchia cara
Costituzione con l’articolo 49, dove i partiti sono chiamati a concorrere alla politica nazionale “con
metodo democratico”. Ora, quale metodo
democratico applicano i nostri partiti
padronali, blindati all’esterno come
associazioni private? Certo sostenere che bisogna cambiare lo status giuridico non è adatto a
strappare l’applauso come dire «basta soldi ai partiti». Il gioco del populismo è sempre lo stesso: dare al
popolo soluzioni semplici. Che con il
tempo naturalmente si riveleranno
catastrofiche. (…). In questo
modo si conserva il terreno sul quale è cresciuta in questi anni la mala pianta della corruzione.
Quadro secondo. Da Il
peccato originale dello scandalo Lusi di Gad Lerner, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 6 di febbraio dell’anno 2012.
Ora che lo scandalo dei
bilanci-fantasma le ha rese evidenti, sarà bene ricordare le indicibili
motivazioni patrimoniali che suggerirono nel 2006 ai dirigenti della Margherita
e della Quercia la scelta autolesionistica di presentarsi uniti alla Camera, ma
separati al Senato, a costo di disorientare gli elettori e mutilare così la
vittoria del centrosinistra: lo fecero per ragioni di cassa. L´unità del
nascente Pd, ma soprattutto il progetto di rinnovamento del Paese dopo una
fallimentare legislatura berlusconiana, furono sacrificati al vil denaro. Vil
denaro ritenuto indispensabile alla conservazione di strutture organizzative
separate. Come andò a finire, lo ricordiamo bene: l´astruso marchingegno dei
simboli differenziati fra le due schede, determinò com´era prevedibile un calo
di voti al Senato, trasformando l´aula di Palazzo Madama in un campo minato per
la risicata maggioranza di centrosinistra. Il governo Prodi nasceva già
azzoppato e durò solo due anni. Ad approfittare dell´insperato regalo fu
Berlusconi che sopravvisse alla probabile fine del suo ciclo politico e nel
2008 ritornò al governo per tre lunghi, inutili anni. Costati assai cari al
Paese. Nessuno seppe spiegarci perché la lista unitaria dell´Ulivo dovesse
andar bene alla Camera ma non al Senato, contro ogni logica di marketing
elettorale oltre che di linea politica. “Tanto vinciamo lo stesso”, era la miope
risposta fornita in privato dai tesorieri Luigi Lusi e Ugo Sposetti a chi gli
chiedeva di destinare maggiori risorse alla campagna unitaria. E difatti,
l´anno successivo, lo stesso Partito democratico fu concepito (con esiziale
ritardo) in regime di “separazione dei beni”: i partiti fondatori venivano
“sospesi” e non disciolti, di modo che i rispettivi dirigenti potessero
usufruire fino a oggi non di due, ma addirittura di tre bilanci separati. (…). Non
basta che la magistratura faccia giustizia dell´appropriazione indebita di
tredici milioni perpetrata da Luigi Lusi (eventualmente con il concorso di
altri) ai danni della fu Margherita. Gli elettori del Partito democratico hanno
il diritto di sapere se le risorse accantonate grazie ai simboli dei partiti
“sospesi” vengano oggi usufruite con una discrezionalità che, seppure non
determini infrazioni di legge, risulta gravemente impropria. Opaca. Nascosta
nelle pieghe di bilanci alimentati in ogni caso da troppo denaro pubblico.
Naturalmente ciò vale anche per i partiti della destra; quanti cittadini sono
al corrente della lucrosa sopravvivenza di Forza Italia e Alleanza nazionale
con i loro tesoretti scaturiti dai rimborsi elettorali? E i fondi esteri
costituiti dal “cerchio magico” della Lega Nord non sono forse la
rappresentazione plastica di come l´attuale normativa favorisca la creazione di
invisibili centri di potere, detentori di risorse che assegnano un controllo
sempiterno a pochi capipartito? Che dire, poi, dei partitini personali in cui
il denaro pubblico è soggetto a una gestione para-familiare? La somma micidiale
fra la legge vigente sui rimborsi elettorali e la legge “porcellum” che riserva
a pochi oligarchi il potere di scelta sulle candidature, sembra fatta apposta
per screditare la nostra democrazia parlamentare. (…). La storia non si fa con
i “se”, ma resta l´amarezza per quella scelta del 2006 che tanti danni ha
procurato all´Italia; senza la quale forse ci saremmo risparmiati l´ultimo
colpo di coda del regime berlusconiano. La perpetuazione di strutture
rispettabili ma obsolete, funzionali solo al mantenimento di centrali di potere
correntizio, fu fatta letteralmente pagare ai cittadini. Il denaro si è
mangiato la politica?
Al tempo – febbraio 2012 - ben
poca cosa si sapeva dello scandalo delle “paghette” della Lega. E delle
lauree del figli del Bossi. E di tutto il resto. È un paese strano e disastrato
il nostro, nel quale si grida spesso e volentieri “al lupo al lupo”, anzi “al
ladro al ladro”, senza che ne sortisca cosa nuova alcuna. È che in
tanti ambirebbero a trovarsi dalla parte del “ladro”. Colpa della
Controriforma, che ha fatto dei cittadini del bel paese solamente degli
impenitenti “peccatori” e non dei “rei”?
Ché tanto, con la devozione dovuta, il lavaggio dei peccati è assicurato al
chiuso del confessionale. E per il tale motivo si torna, impenitentemente, a
peccare.
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