"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 18 maggio 2012

Capitalismoedemocrazia. 24 La fine della civiltà capitalistica?


L’interrogativo del titolo è mio. Ha scritto Alfredo Reichlin sul quotidiano l’Unità, in un pezzo che ha per titolo Il compito della sinistra: (…). Il capitalismo, dopotutto, è stato una civiltà, si è retto anche su un compromesso sociale. Certo, è stato lo sfruttamento del lavoro ma, insieme con esso, la formazione della società del benessere. È stato la più grande macchina per la ricchezza che ha consentito in due secoli di fare molto di più che nei ventimila anni precedenti. Questo è stato, con tutte le sue ingiustizie ma anche le sue conquiste di libertà. Adesso siamo di fronte a un’altra cosa. Siamo alla crisi di questa civiltà: la civiltà del lavoro umano e della valorizzazione delle capacità creative dell’imprenditore. Siamo alla riduzione della ricchezza al denaro. Ma un denaro fasullo fatto col denaro. Siamo al fatto che il mondo è stato inondato da una moneta fittizia la cui massa è ormai diventata tale da superare di nove volte la produzione della ricchezza mondiale. Chi paga? Devo ripeterlo perché è proprio così: l’economia di carta si sta mangiando l’economia reale. (…). Fine della lunga citazione. Che mi serve come “necssario” prologo alla interessante riflessione che Massimo Giannini ha pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 27 di febbraio 2012 col titolo La fine della civiltà capitalistica, che di seguito trascrivo in parte. Sostiene l’economista Jean Paul Fitoussi che “lo scandalo del capitalismo sta nella mondializzazione della povertà, perfino nei Paesi più ricchi. E ancora di più in quel circolo di illegalità insostenibile nei Paesi democratici”. Quindi, “povertà” e “illegalità insostenibile”. Un binomio inscindibile. Laddove dilaghi la “povertà” è l’”illegalità insostenibile” a divenire costume diffuso del vivere. Era scritto nelle cose. La fuga continua del capitale finanziario dai luoghi della Terra nei quali i diritti del lavoro erano stati faticosamente conquistati e si erano storicamente radicati e diffusi, erroneamente etichettata come “delocalizzazione”, per il massimo del tornaconto del capitale, è stata la miopia epocale ed il segnale allarmante, ma non debitamente considerato e valutato, che alla base della rampante, vorace attività finanziaria globale era scritto l’imperativo unico ed assoluto della ricerca del “tutto e subito”, senza neppure l’ombra di una responsabilità sociale del capitale, senza un’etica della equità e della riduzione delle enormi, vergognose differenze sociali che quell’azione avrebbe inevitabilmente innescato. Quale modello di economia andrà a sostituire il capitalismo del “denaro fasullo fatto col denaro”? Aspettando gli eventi.

(…). Per capire il fenomeno capitalistico non basta più una sola dimensione, l'economia. Servono invece tutte le dimensioni del vivere: filosofia e politica, scienza e religione. Perché dal XII secolo in poi, tutte le sfere della società occidentale ricevono l'impronta del capitale, che le marchia a fuoco. (…). …il capitalismo, per questa parte di mondo, è molto più che un sistema di governo (o "sgoverno"?) dell'economia. Molto più del mercato, della libera competizione, del conflitto tra le forze concorrenti. Molto più della stessa democrazia. È una vera e propria forma di "civilizzazione". Può sembrare un'ovvietà, mutuata magari proprio dalla valutazione "quantitativa" di Bloch, quando scrive che "tutte le fasi più lunghe della storia si chiamano civilizzazioni". Otto secoli filati di egemonia capitalista sono abbastanza, per confortare questa teoria. Ma è sul piano "qualitativo" che l'operazione si fa più audace e suggestiva. Riconoscere fino in fondo l'equazione capitalismo=civiltà ha implicazioni illuminanti, e soprattutto inquietanti, nella rilettura della vicenda umana che ci porta alla cosiddetta "modernità". (…). Ai suoi albori, il pre-capitalismo è una versione basica dell'economia di mercato: vendere per comprare, scambiando per soddisfare i bisogni di sostentamento e di consumo. Poi muta, si sofistica: comprare per vendere, trasformando il denaro in merce e ritrasformando la merce in denaro. Così l'economia di mercato diventa circolazione capitalista. La nuova "civiltà" non è più ottimale soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi, ma perseguimento e accumulazione del massimo dei profitti. (…). …la metamorfosi comincia molto prima di quanto si pensi. Almeno cinque secoli in anticipo, rispetto alla Rivoluzione Industriale. Già nella Venezia dei borghesi del 1200, come poi nell'Olanda dei mercanti, la "potenza" del capitale contiene in nuce l'embrione delle sue evoluzioni/involuzioni successive. Un filo rosso (o nero, fate voi) unisce quei primordi al meglio e al peggio dei secoli a venire. C'è "potenza" (la prima "leva") nei Padri Pellegrini che nel 1620 sbarcano con il Mayflower nel Nuovo Mondo, propiziando il primo Boston Tea Party del 1773 e la Dichiarazione d'Indipendenza del 4 luglio del 1776. C'è "potenza" nella Rivoluzione Francese e nella Dichiarazione dei Diritti del 1789. La "scoperta" dei diritti genera democrazia, la democrazia genera libertà, la libertà genera "accumulazione". Questa "leva" (la seconda) getta le basi per le future tragedie novecentesche. La società massificata, nei consumi e nei costumi, è alla radice dei fascismi europei. (…). Anche in Urss, in quell'abisso di Terrore, la logica del capitalismo "era in agguato", e il socialismo occultamente e inconsciamente era assoggettato a una logica dell'industrializzazione tecnicamente imposta dal capitalismo occidentale. (…). La storia del capitalismo, (…), è anche storia di commerci di rapina, di guerre sanguinose, conquiste coloniali, schiavitù e sfruttamento. Spinta dalla "potenza", giustificata dalla "religione" (scrive Max Weber che "il capitalismo è una pratica religiosa di vita") e accelerata dalla "scienza" e dall'innovazione tecnica e tecnologica, l'"accumulazione" ad ogni costo permea le menti individuali e i comportamenti collettivi. Così il capitalismo storico genera dentro se stesso la barbarie e la violenza. Fino al nazismo e all'Olocausto. Fino alle mafie e alle criminalità organizzate. Più banalmente, il capitalismo contemporaneo compie l'ultima mutazione, e si fa "inciviltà". Sconfitte le avventure totalitarie, "domina oggi un mondo diviso tra sprechi di ricchi e privazioni di poveri, un'etica cieca del profitto acuisce il conflitto tra capitale e lavoro, e non colmerà l'abisso tra la sazietà e la fame". (…). Weber si sbagliava, quando immaginava che la "brama immoderata" non fosse l'essenza del capitalismo, e sognava che quest'ultimo ne fosse il "razionale temperamento". "Greed is good", è il motto di Wall Street, mentre a Main Street si soffre e di piange. "Solo la forza della democrazia può imporre limiti all'avidità di oligarchie affariste e promuovere una crescita più equa". Verissimo. Ma oggi c'è un problema, gigantesco: le democrazie per il popolo hanno lasciato il campo alle tecnocrazie senza popolo. E il vero scontro di civiltà, ormai, non è più tra Islam e Occidente, e nemmeno più tra politica ed economia. È tra economia e democrazia. (…). Per Francis Fukuyama la crisi del comunismo coincise con la fine della storia. Da quel saggio famoso, uscito nel 1992, le cose sono andate un po' diversamente. Oggi, con un criterio valutativo uguale e contrario, possiamo azzardare che la crisi del capitalismo coincide con la fine di una civiltà? Non so dirlo. Ma so che il capitalismo finanziario di questi anni (per parafrasare i Balcani di Churchill) consuma molta più storia di quanta ne produce. Così non può reggere. Fosse vivo, lo direbbe anche Schumpeter.

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