L’interrogativo del titolo è mio.
Ha scritto Alfredo Reichlin sul quotidiano l’Unità, in un pezzo che ha per
titolo Il compito della sinistra: (…).
Il capitalismo, dopotutto, è stato una civiltà, si è retto anche su un
compromesso sociale. Certo, è stato lo sfruttamento del lavoro ma, insieme con
esso, la formazione della società del benessere. È stato la più grande macchina
per la ricchezza che ha consentito in due secoli di fare molto di più che nei
ventimila anni precedenti. Questo è stato, con tutte le sue ingiustizie ma
anche le sue conquiste di libertà. Adesso siamo di fronte a un’altra cosa.
Siamo alla crisi di questa civiltà: la civiltà del lavoro umano e della
valorizzazione delle capacità creative dell’imprenditore. Siamo alla riduzione
della ricchezza al denaro. Ma un denaro fasullo fatto col denaro. Siamo al
fatto che il mondo è stato inondato da una moneta fittizia la cui massa è ormai
diventata tale da superare di nove volte la produzione della ricchezza
mondiale. Chi paga? Devo ripeterlo perché è proprio così: l’economia di carta
si sta mangiando l’economia reale. (…). Fine della lunga citazione. Che
mi serve come “necssario” prologo alla interessante riflessione che Massimo
Giannini ha pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 27 di febbraio 2012 col
titolo La fine della civiltà
capitalistica, che di seguito trascrivo in parte. Sostiene l’economista Jean
Paul Fitoussi che “lo scandalo del capitalismo sta nella mondializzazione della povertà,
perfino nei Paesi più ricchi. E ancora di più in quel circolo di illegalità
insostenibile nei Paesi democratici”. Quindi, “povertà” e “illegalità
insostenibile”. Un binomio inscindibile. Laddove dilaghi la “povertà”
è l’”illegalità
insostenibile” a divenire costume diffuso del vivere. Era scritto nelle
cose. La fuga continua del capitale finanziario dai luoghi della Terra nei
quali i diritti del lavoro erano stati faticosamente conquistati e si erano
storicamente radicati e diffusi, erroneamente etichettata come “delocalizzazione”,
per il massimo del tornaconto del capitale, è stata la miopia epocale ed il
segnale allarmante, ma non debitamente considerato e valutato, che alla base
della rampante, vorace attività finanziaria globale era scritto l’imperativo
unico ed assoluto della ricerca del “tutto e subito”, senza neppure l’ombra
di una responsabilità sociale del capitale, senza un’etica della equità e della
riduzione delle enormi, vergognose differenze sociali che quell’azione avrebbe
inevitabilmente innescato. Quale modello di economia andrà a sostituire il
capitalismo del “denaro fasullo fatto col denaro”? Aspettando gli eventi.
(…). Per capire il fenomeno
capitalistico non basta più una sola dimensione, l'economia. Servono invece
tutte le dimensioni del vivere: filosofia e politica, scienza e religione.
Perché dal XII secolo in poi, tutte le sfere della società occidentale ricevono
l'impronta del capitale, che le marchia a fuoco. (…). …il capitalismo, per
questa parte di mondo, è molto più che un sistema di governo (o
"sgoverno"?) dell'economia. Molto più del mercato, della libera
competizione, del conflitto tra le forze concorrenti. Molto più della stessa
democrazia. È una vera e propria forma di "civilizzazione". Può
sembrare un'ovvietà, mutuata magari proprio dalla valutazione
"quantitativa" di Bloch, quando scrive che "tutte le fasi più
lunghe della storia si chiamano civilizzazioni". Otto secoli filati di
egemonia capitalista sono abbastanza, per confortare questa teoria. Ma è sul
piano "qualitativo" che l'operazione si fa più audace e suggestiva. Riconoscere
fino in fondo l'equazione capitalismo=civiltà ha implicazioni illuminanti, e
soprattutto inquietanti, nella rilettura della vicenda umana che ci porta alla
cosiddetta "modernità". (…). Ai suoi albori, il pre-capitalismo è una
versione basica dell'economia di mercato: vendere per comprare, scambiando per
soddisfare i bisogni di sostentamento e di consumo. Poi muta, si sofistica:
comprare per vendere, trasformando il denaro in merce e ritrasformando la merce
in denaro. Così l'economia di mercato diventa circolazione capitalista. La
nuova "civiltà" non è più ottimale soddisfazione dei bisogni
individuali e collettivi, ma perseguimento e accumulazione del massimo dei
profitti. (…). …la metamorfosi comincia molto prima di quanto si pensi. Almeno
cinque secoli in anticipo, rispetto alla Rivoluzione Industriale. Già nella
Venezia dei borghesi del 1200, come poi nell'Olanda dei mercanti, la
"potenza" del capitale contiene in nuce l'embrione delle sue
evoluzioni/involuzioni successive. Un filo rosso (o nero, fate voi) unisce quei
primordi al meglio e al peggio dei secoli a venire. C'è "potenza" (la
prima "leva") nei Padri Pellegrini che nel 1620 sbarcano con il
Mayflower nel Nuovo Mondo, propiziando il primo Boston Tea Party del 1773 e la
Dichiarazione d'Indipendenza del 4 luglio del 1776. C'è
"potenza" nella Rivoluzione Francese e nella Dichiarazione dei
Diritti del 1789. La "scoperta" dei diritti genera democrazia, la
democrazia genera libertà, la libertà genera "accumulazione". Questa
"leva" (la seconda) getta le basi per le future tragedie
novecentesche. La società massificata, nei consumi e nei costumi, è alla radice
dei fascismi europei. (…). Anche in Urss, in quell'abisso di Terrore, la logica
del capitalismo "era in agguato", e il socialismo occultamente e
inconsciamente era assoggettato a una logica dell'industrializzazione
tecnicamente imposta dal capitalismo occidentale. (…). La storia del
capitalismo, (…), è anche storia di commerci di rapina, di guerre sanguinose,
conquiste coloniali, schiavitù e sfruttamento. Spinta dalla
"potenza", giustificata dalla "religione" (scrive Max Weber
che "il capitalismo è una pratica religiosa di vita") e accelerata
dalla "scienza" e dall'innovazione tecnica e tecnologica, l'"accumulazione"
ad ogni costo permea le menti individuali e i comportamenti collettivi. Così il
capitalismo storico genera dentro se stesso la barbarie e la violenza. Fino al
nazismo e all'Olocausto. Fino alle mafie e alle criminalità organizzate. Più
banalmente, il capitalismo contemporaneo compie l'ultima mutazione, e si fa
"inciviltà". Sconfitte le avventure totalitarie, "domina oggi un
mondo diviso tra sprechi di ricchi e privazioni di poveri, un'etica cieca del
profitto acuisce il conflitto tra capitale e lavoro, e non colmerà l'abisso tra
la sazietà e la fame". (…). Weber si sbagliava, quando immaginava che la "brama
immoderata" non fosse l'essenza del capitalismo, e sognava che quest'ultimo
ne fosse il "razionale temperamento". "Greed is good", è il
motto di Wall Street, mentre a Main Street si soffre e di piange. "Solo la
forza della democrazia può imporre limiti all'avidità di oligarchie affariste e
promuovere una crescita più equa". Verissimo. Ma oggi c'è un problema,
gigantesco: le democrazie per il popolo hanno lasciato il campo alle
tecnocrazie senza popolo. E il vero scontro di civiltà, ormai, non è più tra
Islam e Occidente, e nemmeno più tra politica ed economia. È tra economia e
democrazia. (…). Per Francis Fukuyama la crisi del comunismo coincise con la
fine della storia. Da quel saggio famoso, uscito nel 1992, le cose sono andate
un po' diversamente. Oggi, con un criterio valutativo uguale e contrario,
possiamo azzardare che la crisi del capitalismo coincide con la fine di una
civiltà? Non so dirlo. Ma so che il capitalismo finanziario di questi anni (per
parafrasare i Balcani di Churchill) consuma molta più storia di quanta ne
produce. Così non può reggere. Fosse vivo, lo direbbe anche Schumpeter.
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