A fianco. L'arte figurativa di Giovanni Torres La Torre.
Ha scritto il professor Umberto
Galimberti nella Sua corrispondenza che ha per titolo La deformazione allucinatoria della realtà, corrispondenza pubblicata sul settimanale “D” del
quotidiano la Repubblica: Scriveva Einstein a proposito della crisi
del 1929: "Non pretendere che le cose cambino continuando a fare le cose
che facevi prima". (…). …Freud definisce il sogno come "un
appagamento allucinatorio di un desiderio" non solo erotico, ma anche di
autoaffermazione e di successo. Quello che è interessante è quell'aggettivo
"allucinatorio", che, in un breve saggio del 1907 che ha per titolo
Il poeta e la fantasia, Freud riconduce a "una deformazione della
realtà". E in che modo noi occidentali abbiamo deformato la realtà nel
tentativo di realizzare i nostri sogni, fino a trovarci in questa
"allucinante" crisi economica (…)? A mio parere la spiegazione va
cercata nel fatto che abbiamo capovolto il rapporto che esiste tra i mezzi e i
fini. Ai tempi di Freud (…), (…), il denaro era un "mezzo" per
soddisfare quei "fini" che sono la produzione dei beni e la
soddisfazione dei bisogni. Oggi il denaro è diventato il primo e supremo fine,
per realizzare il quale si vedrà se soddisfare i bisogni e in qual misura
produrre i beni. Bisogni e beni, da fini quali erano, sono diventati
"mezzi" per realizzare quel "fine" che è l'accumulo di
denaro. In ciò consiste il tratto "allucinatorio" di una palese
"deformazione della realtà". Ne è prova il fatto che noi occidentali,
dopo aver soddisfatto fondamentalmente tutti i nostri bisogni primari, oggi
peraltro messi paurosamente a rischio dalla crisi, abbiamo incanalato la
produzione non solo in ordine ai beni, ma soprattutto in ordine ai bisogni,
perché se il denaro si accumula attraverso il consumo, e di certi beni non si
sente il bisogno, occorre, come nel caso della pubblicità, che questo bisogno
sia "prodotto". Seconda "deformazione della realtà". In
questa corsa "allucinatoria" che chiamiamo "crescita",
Freud continua ad aver ragione, (…) perché abbiamo "deformato la
realtà". Ma nella sua profezia c'è anche l'indicazione della via da
seguire per uscire dalla crisi, se appena ci rendiamo conto che la realtà non è
quella che abbiamo "deformato". Sembrano scontate, se non
ovvie, alla luce della terribile realtà creata dalla “crisi” in atto, le dotte
argomentazioni del professor Galimberti. Ma proprio perché la realtà è sempre
più avanti, e spesso di molto, rispetto alle cose che si possano immaginare,
anche le più sfrenate, mi è sembrato opportuno trascrivere di seguito, in
parte, l’altrettanto interessante corrispondenza di Vittorio Zucconi da quel
mondo che il navigato opinionista definisce Hotel America. Titolo della Sua corrispondenza
Chi vuol essere inventore milionario?
Sembra incredibile come la dabbenaggine degli umani possa contribuire al
verificarsi delle cose le più incredibili. Di seguito si leggeranno le
mirabolanti storie di inventori dell’inutile reso necessario da quella che il
dotto professore ha definito come “deformazione allucinatoria della realtà”. Non
senza una ragione. Saranno esse, quelle mirabolanti storielle, giustamente
ricordate come storie di allucinanti deformazioni del vivere ma anche di
arricchimenti indecorosi all’epoca della grande “crisi” poiché, in barba
all’insegnamento del grande Freud - "non pretendere che le cose cambino
continuando a fare le cose che facevi prima" -, nonostante tutto si
continua nello sperpero più assoluto ed indecoroso che si possa pensare. Come
se nulla fosse. E degli umani “scemi”?
(…). Rosie Di Lullio, (…). È una
donna che semplicemente ama i cani. Per anni aveva tentato di convincere il suo
labrador cioccolato a non mettere il muso fuori dal finestrino, come tutti i
cani adorano fare per annusare i milioni di odori che solleticano il loro naso.
Piacere pericolosissimo, questo, perché espone i loro occhi alla polvere, al
pietrisco aguzzo sparato dai camion, ai raggi ultravioletti del sole. Con
qualche soldo risparmiato, senza prestiti né finanziatori, Rosie si fece
produrre da una fabbrica di occhiali il prototipo di occhialoni di protezione
con elastico e finiture di gomma morbida, come porta Snoopy quando s'immagina
di duellare in cielo con il Barone Rosso. La sua società ha incassato, nel
2011, 3 milioni di dollari.
Gauri Nanda, una studentessa del
celebrato Mit, il politecnico del Massachussets, era semplicemente pigra e
amava dormicchiare dopo il trillo della sveglia. Quando l'arnese suonava,
premeva il tasto "snooze", appunto sonnecchia, per qualche minuto ancora,
e arrivava regolarmente tardi alle lezioni. Da brava futura ingegnera, Gauri
ebbe un'idea: perché non sfruttare la sua preparazione nel progettare robot e
applicarla alla sveglia? Con pezzi di plastica, chip e piccoli display trovati
in giro, produsse una sveglia su ruote da appoggiare a fianco del letto. Quando
suona, e lei, pigrona, pigia il bottone "sonnecchia", il robot si
muove, scappa, viaggia per la stanza e riprende a squillare. L'unico modo per
zittirlo è alzarsi e inseguirlo. Al quel punto, il più è fatto.
"Clocky", così chiama, è venduto in 45 nazioni, produce 10 milioni di
dollari annui e ha già generato un erede, "Tocky", che salta giù dal
comodino e gironzola suonando.
Quando aveva 13 anni e tentava
invano di mangiare una pizza, Mike Miller aveva perso la pazienza con la
forchetta con la quale non riusciva a tagliare la crosta. Pensa e ripensa,
decise di tentare una soluzione con un amico che conosceva un fabbro. Si fece
prestare dal nonno 10mila dollari e ne uscì "Knork", da knife coltello
e fork, forchetta, insomma un "forchello" o una "coltetta",
anche se questa formulazione suona molto male. Fatturato annuo: 2 milioni di
dollari.
La fortuna di Ken fu invece il
tacchino. Una lite in famiglia, tra parenti, proprio nel giorno della pace e
della serenità, il Ringraziamento, ispirò Ken Ahroni. Quando venne il momento
di spezzare l'osso dei desideri a forma di forcella che sta nel petto del
pollastrone, scoppiò la rissa, con pianti, grida e devastazione delle spirito
festoso. Poiché non si possono certo comperare e cuocere tanti tacchini per
quante paia di ospiti ci sono, avendo la povera bestia un solo osso a forcella,
Ken ebbe l'idea di produrre finte ossa di plastica a forma di "Y" per
permettere il gioco del desiderio a volontà, senza ogni volta dover massacrare
un tacchino o un cappone. Ne sta vendendo a secchiate e incassa 4 milioni di
dollari.
Naturalmente, dopo avere letto di
questi grandi successi di piccoli inventori che traducono un'idea in pacchi di
soldi e in aziendine di successo, resta sospeso un dilemma irrisolto. Sono geni
loro, o sono scemi quelli che comperano le loro invenzioni?
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