"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 3 marzo 2025

MadreTerra. 39 Il paguro: «Il più grande enigma per noi è "noi stessi". E per risolverlo, prendiamo in mano una penna e apriamo la porta del diario. Possiamo dire che la penna è come una chiave che apre una porta segreta».

 

“IlPaguro&ilPolpo”. «Sì, mi hai detto che ci sono due tipi di solitudine».

«La solitudine dei bambini e quella degli adulti. E ti ho anche detto che forse tu, Takojiro, stai iniziando a conoscere la solitudine degli adulti».

«Cosa significa?».

«Prima di tutto: la solitudine che sentono i bambini è, in poche parole, la solitudine data dal fatto di "non avere nessuno intorno"».

«Non avere nessuno intorno?».

«Esatto. Per esempio, quando stai a casa da solo. Il papà non c'è, nemmeno la mamma. È una sensazione di solitudine, giusto? Oppure quando ti perdi in un parco divertimenti o in un centro commerciale. Anche quella è una sensazione di solitudine. Hai paura, ti senti inquieto e vorresti piangere. Naturalmente anche gli adulti provano solitudine quando sono soli. È un tipo di solitudine del tutto normale, in un certo senso».

In effetti, è vero che da piccolo mi sentivo a disagio quando dovevo restare a casa da solo. Anche se guardavo la tv o giocavo ai videogiochi, a volte sentivo una paura gelida incombermi alle spalle. E quando mio padre o mia madre tornavano a casa, la loro presenza bastava a farmi sentire felice. «D'altra parte, quando diventi adulto, sperimenti un tipo diverso di solitudine. Anche se non si può dire che tu sia da solo, ti senti solo».

«Anche se non lo sei?».

«Esatto. Sei con la tua famiglia o i tuoi amici, ma ti senti comunque solo. Parli con qualcuno, ma la solitudine rimane. Ci sono sorrisi e bei momenti, eppure, nonostante tutto, ti senti solo».

«Ma come è possibile, se hai degli amici? Perché?».

«Perché lì non c'è "te stesso"».

«Eh?».

«Hai visto gli adulti seduti sulle panchine del piazzale, vero?».

«Sì...».

«Ecco, loro sono venuti in questo parco perché volevano stare da soli».

«Perché magari venivano bullizzati al lavoro?».

«Questo non possiamo saperlo. Ma vedi, vogliono stare da soli perché quando sono con gli altri, non riescono a essere sé stessi. Che sia in ufficio, in famiglia, o, nel tuo caso, a scuola, quando siamo sempre in mezzo agli altri, non riusciamo a essere il nostro "vero io"».

«Perché?».

«Forse capiresti meglio se prendessimo te come esempio: il Takojiro che è a scuola, quello che sta con i suoi genitori, e quello che sta da solo nella sua stanza sono la stessa persona, ma non ti sembra che ci siano differenze in ciascuno di loro?».

Penso a come sono quando mi trovo solo nella mia stanza, con i piedi appoggiati sulla scrivania. Poi penso al me stesso in classe, sempre nervoso, e alme stesso davanti a mia madre, spesso irritato.

«Man mano che cresciamo, impariamo a usare molte maschere per vivere. Non è che stiamo recitando, è semplicemente così che funziona».

«Anche gli adulti che stanno seduti su quelle panchine?».

«Esatto. Il sé che si mostra al lavoro, il sé con i colleghi, il sé come genitore, come marito o moglie. Sono tanti. E così, a volte, vengono in questo parco. Si allontanano da tutti, si creano uno spazio e un tempo per stare soli, per ritrovare un sé senza maschere, che non deve fare attenzione agli sguardi degli altri. Forse anche tu, Takojiro, sei venuto qui per lo stesso motivo».

Non so se volevo davvero stare da solo, ma è certo che quando stavo guardando il parco senza nessuno intorno, mi sono sentito bene. Anche io ho avuto un momento in cui ho potuto dimenticare tutto, in un posto dove nessuno poteva vedermi.

«Allora anche io dovrei venire qui ogni tanto per stare da solo?».

«Certo, potrebbe essere un buon modo per rinfrescarsi le idee. Ma io, personalmente, riesco a ritagliarmi uno spazio per stare da solo attraverso la scrittura».

«Attraverso la scrittura?».

«Sì. Quando apro il mio quaderno, c'è un mondo tutto mio che mi aspetta».

«Un mondo tutto tuo? Non è solo un diario?».

«Bene, è ora di rivelare il segreto di questa stanza. Secondo te dove siamo? E cos'è quella porta?».

Così dicendo, il vecchio paguro prende in mano la stilografica e il quaderno. La stessa penna che fino a poco fa scriveva a una velocità incredibile, e lo stesso quaderno che aveva definito come il suo diario.

«Ascolta bene, Takojiro. Hai solo una possibilità. Tieni gli occhi ben aperti e osserva attentamente». Proprio come un prestigiatore che sta per eseguire un numero speciale, il paguro mi fissa dritto negli occhi. E poi... Boom! Improvvisamente, si fa di nuovo giorno. Accanto a me vedo il paguro, con il suo guscio sulle spalle, che mi sorride in modo malizioso.

«Eh? Eh? Cosa? Ma... cosa sta succedendo?».

Incredibile, io e il vecchio paguro siamo di nuovo nel parco. Siamo saltati fuori dall'oscurità del suo scantinato per ritrovarci vicino ai cespugli.

«Eh?! Ma cosa? Cos'è successo? Come mai siamo tornati qui?!».

«Ah: ah! La porta che hai aperto poco fa, Takojiro, era questa» dice il paguro sollevando il vecchio quaderno. «Te l'avevo detto, no? Il più grande enigma per noi è "noi stessi". E per risolverlo, prendiamo in mano una penna e apriamo la porta del diario. Possiamo dire che la penna è come una chiave che apre una porta segreta».

N.d.r. “I dolori del giovane polpo” è il titolo del “racconto” sopra riportato dello scrittore Fumitake Koga pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” di ieri, domenica 2 di marzo 2025.

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