“LetteredalNostroMondoTriste”. 1 Carissima Natalia, la chiamo così, per nome, come fossimo grandi amici, ma ovviamente non ci conosciamo. (…).Ho ascoltato Gianrico Carofiglio affermare: «Una studiosa svizzera si è occupata di come parla Trump, non come scrive perché dubito l’abbia mai fatto, e ha accertato in base a modelli quantitativi che la sua lingua è quella di un ragazzino di 9-10 anni di alfabetizzazione media negli Stati Uniti, nel senso della struttura delle frasi, nel senso del lessico e nel senso della scarsa padronanza della grammatica... questo paga perché questo tipo di lingua fa presa in una pancia molle di un Paese che non sono le grandi città, non è Chicago, non è New York, non è Los Angeles ma è la provincia profonda, quella con la quale Trump e i suoi amici hanno vinto e che oggi crea le premesse per un pericolo per la democrazia mondiale». Tutto ciò mi fa pensare che è l’ignoranza la padrona del mondo: l’aveva già capito Totò nel 1954 quando, nel film di Mario Mattoli Miseria e nobiltà, al cafone analfabeta che va da lui per farsi scrivere una lettera dice: «Lei è ignorante?» «Sì». «Bravo, bravo, viva l’ignoranza, tutti così dovrebbero essere, e se ha dei figliuoli non li mandi a scuola, per carità, li faccia sguazzare nell’ignoranza!». Il Principe aveva capito qual è la strada che porta al potere certi personaggi, e non solo in America. A proposito di Giorgia Meloni e di ciò che ha detto sul caso Almasri e sui magistrati – «Si candidino, se vogliono fare politica» – è un’affermazione così infantile che se fossi un deputato durante la sua audizione le porterei in regalo un orsacchiotto di peluche. Ma non sono un uomo pubblico. Carissima Natalia, la ringrazio se ha letto per intero questa lettera e le sarei grato se (almeno lei… nell’Universo) mi desse il suo parere. Un caro saluto, R. C., Genova
Se lei avesse in testa solo delle scemenze le vedremmo continuamente, di qua e di là, prodotte a migliaia su tutti i telegiornali e tutti i post, e i social, le barzellette e le canzonette e chissà che, con frasi di sfregio o di hater eccetera. Riconosca questo fatto: se lei penetra nel mondo del web, lei scompare, non conta più nulla, qualsiasi cosa pensi non conta più. I suoi pensieri se li tenga per sé e poi non è dato che prima o poi guardando in faccia qualcuno pensi: ecco, questo è diverso, magari con lui posso parlare. (…). Quanto alla signora Meloni sul caso Almasri e quindi sui magistrati “che vogliono fare politica”, l’affermazione è davvero assurda, per un presidente del Consiglio dei ministri. Siamo davvero all’infantilismo adatto a questo governo sempre più scassato. Ma che piace tanto ai nostri sempliciotti.
“LetteredalNostroMondoTriste”. 2 Caro Serra, una riflessione su quei bigotti americani che lei, opportunamente, chiama “cristiani senza Cristo”. Ce ne sono ovunque, non solo in America, e si identificano con la massa di ipocriti che Gesù definiva “sepolcri imbiancati”, gente poco dotata in termini di spiritualità ma morbosamente attenta all’apparenza. È noto che l’essenza di una religione non ha niente a che vedere con certi aspetti esteriori: la rivoluzione di Gesù nacque proprio dal rifiuto della tradizione fine a se stessa, del formalismo dei sacerdoti del Tempio, di ciò che aveva ridotto l’ebraismo all’osservanza di regole depotenziate del significato più profondamente religioso: quello legato ai valori. Ancora oggi, i fedeli concentrati sugli aspetti rituali rappresentano una consistente fetta del mondo cattolico: quella ubbidiente all’autorità religiosa ma lontana dal messaggio d’amore evangelico. Nella Leggenda del Grande Inquisitore (capitolo dei Fratelli Karamazov) Gesù torna sulla Terra dopo quindici secoli, e viene paradossalmente imprigionato da un’autorità religiosa. L’accusa? L’essersi impegnato per dare la libertà agli uomini: errore madornale! La libertà di scelta, secondo l’inquisitore, rappresenta per gli esseri umani un danno incalcolabile, perché ciò di cui essi hanno bisogno è un’autorità (la Chiesa) che scelga al posto loro. Circa il sopravvento dell’apparenza sulla sostanza, un’altra immagine (banale ma non meno efficace) si fa avanti: Salvini, così ostile all’ospitalità degli immigrati (gli ultimi che Gesù tanto amava) e così pronto a baciare rosari. M. P.
Caro Michele, leggendola sul Venerdì del 14 febbraio (L’utopia della cittadinanza), un sorriso mi increspava le labbra e i miei studi filosofici universitari mi riempivano il cuore. Il suo punto di partenza per costruire un mondo migliore e finalmente “di sinistra” è il fulcro della teoria morale di Kant (ripresa dal giovane Hegel negli scritti teologici), che altro non ha fatto che privare i valori della cristianità dall’essere frutto di rivelazione e li ha resi consustanziali all’uomo stesso, che avendo valore in sé deve sempre essere trattato come fine e mai come mezzo. I Diritti e i Doveri dei cittadini sono uguali per tutti perché nascono dall’uguaglianza morale di tutti gli uomini, aggiungo io nel XXI secolo. E.
Cari E. e M., ho vissuto abbastanza per capire che la distribuzione della pietà e della fratellanza, tra gli umani, non è conseguenza della confessione religiosa. Conosco miscredenti carichi di premura per le altre persone, e devoti del tutto indifferenti al loro prossimo. E viceversa, ovviamente. Le differenze politiche sono spesso (sempre?) molto più rilevanti di quelle religiose: un cattolico di destra e un cattolico di sinistra sono molto più distanti tra loro di quanto farebbe presupporre la fede comune (e la stessa cosa vale per un ateo di destra e un ateo di sinistra). Essere più o meno “evangelici”, (…), non è dunque solamente una questione di fede. La disumanità conclamata dei “cristiani senza Cristo” al potere in America, dei coloni israeliani che rubano armi in pugno terre altrui nel nome della Bibbia, degli islamisti che pretendono di piegare il mondo ai loro tabù con la violenza e il terrore, dei pope nazionalisti che aizzano alla guerra (cristiani contro altri cristiani), ci dice che Dio è il più ricorrente degli alibi per esercitare violenza e sopraffazione. Il concetto di “religione” non c’entra nulla con queste armature formali, cariche di arroganza. La religione è quella dei monaci, di chi prega e riflette, di chi studia e conversa. Di chi medita e tace. Di chi cammina nella natura, guarda il mare e guarda le stelle. Di chi cerca sintonia con il mondo, con gli altri umani e con la natura. È una postura spirituale, non un dogma e – questo il punto – non una Rivelazione, o un Libro. Nessuno ha il diritto di spacciare il suo Dio per l’Unico, quello vero. Il richiamo al Vangelo, alla sua universalità, lascia indifferenti non i miscredenti, dunque, ma gli insensibili. E ce ne sono un sacco anche nelle chiese, nelle moschee e nelle sinagoghe. L’idea che gli uomini siano uguali, e che diritti e doveri discendano da questa uguale condizione, non necessita della vidimazione di un Dio per essere accolta. Spero che il tono un poco pontificale di questa mia risposta, con la quale mi accomiato da queste due pagine del Venerdì, non contraddica troppo i diciassette anni di lavoro precedente, nei quali ho mescolato il “leggero” e il molto serio, l’alto e il basso, senza troppi problemi. Quando Scalfari mi chiese di subentragli, il disagio di venire dopo di lui fu presto superato dal piacere di incontrare una comunità di lettori molto impegnativa, ma anche molto vivace, curiosa di molte cose, esigente e colta. Su queste due pagine ho risposto, secondo i miei calcoli, a circa tremila lettere; e privatamente a più di diecimila. E il mio unico dispiacere è non essere riuscito a rispondere a tutti, come avrei voluto. Con parecchi lettori si è stabilita, negli anni, una vera e propria familiarità. Quando alcuni di loro se ne sono andati da questo mondo, i parenti hanno voluto informarmi: sapevano che sarebbe stato un lutto anche per me. E lo è stato. Politica, religione, costume, natura, cultura, non c’è argomento al quale io non abbia avuto l’impudenza di rispondere, senza simulare competenza, per il puro piacere della conversazione. Mi hanno scritto anche persone dissonanti di varie latitudini, miei contraddittori “da sinistra” e anche persone di destra, e da alcuni di loro ho imparato qualcosa. Ai toni aspri di certe mail ho risposto, in privato, che gli anatemi e i giudizi sbrigativi fanno torto a chi li usa, non a chi li riceve. Molti mi hanno riscritto con ben altro tono, e forse la soddisfazione più grande di questa lunga avventura è stata riuscire a trovare una qualche sintonia non solo con i tanti che la pensano come me, ma anche con persone da me lontane per formazione e per idee.Lascio la mia posta del Venerdì per una ragione molto semplice, e non equivocabile: a settant’anni suonati sento la necessità di lavorare un poco di meno. Tecnicamente, dopotutto, sono un pensionato… Ho vinto le legittime resistenze del direttore spiegandogli la mia scelta così come la spiego a voi: ho bisogno di un poco più di tempo per me e per i miei affetti, è da cinquant’anni che scrivo e non mi sento eterno, né indispensabile. L’Amaca quotidiana, gli altri eventuali articoli per Repubblica e per il Venerdì rimarranno per me, e spero anche per voi lettori, imprescindibili. Non vi libererete di me così presto… Ma il ritmo di lavoro doveva essere almeno un poco allentato. Conto sulla vostra comprensione (…). Non mi resta che dire, a voi lettori, che è stato bello. Bello e importante. Se vi ringrazio, non è per formalità: mi avete raccontato un sacco di cose che non sapevo, mi avete reso più saggio e più attento agli altri. Non solo non è poco, è moltissimo. È stata una fortuna conoscervi.
N.d.r. I testi sopra riportati hanno per titolo, rispettivamente, “Vince il più scemo” e “Diciassette anni, diecimila lettere e un grazie” e sono stati pubblicati sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 28 di febbraio 2025.
Nessun commento:
Posta un commento