"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 25 marzo 2025

Uominiedio. 58 Teilhard de Chardin: «Sono stato considerato un Ottimista o un utopista beat, che sogna di euforia umana o di millenarismo confortevole».


“Teilhard e il Dio della materia”
, testo di Antonio Spadaro pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 23 di marzo 2025: Pierre Teilhard de Chardin è un uomo che non si è mai abituato alla vita. Sin da bambino si è sentito chiamato a tendersi verso la freschezza del reale, a cercarla, a trovarla dovunque. La sua vocazione è sempre stata quella a non indugiare disincantato su ciò che è stagnante e induce a disperare, oppure a credere che tutto finisca man mano che il tempo passa. Teilhard ha sempre saputo che in fondo alle cose vive una incandescenza che lo ha spinto ad amare la materia per ragioni spirituali. È questa saldatura tra materia e spirito che lo ha portato a percepire exubérance d'énergie, bouillonnement d'énergie, trop plein de la vie: esuberanza e ribollirnento di energia, sovrabbondanza della vita. Teilhard ha attraversato le tensioni forti di un Novecento complesso, segnato da guerre, ideologie e grandi scoperte. La sua è stata una vicenda singolare, e il suo pensiero di "frontiera" è stato capace di confrontarsi con i fermenti più vivi e complessi della sua epoca. Nasce in Francia, a Sarcenat, il primo maggio 1881. La sua prima infanzia è trascorsa tra le pietre, nei monti dell'Alvernia, accanto a un padre naturalista che ha guidato la sua passione per la geologia. Le passeggiate tra le rocce della montagna Sainte-Victoire, di cui Cézanne ha fatto una specie di mito cosmico, hanno mosso in lui il desiderio di conoscere quel mondo minerale, così misterioso e affascinante, che esercitava già sulla sua mente di bambino un'attrazione potente e tenace. Entra nella Compagnia di Gesù nel 1899 e viene ordinato sacerdote nel 1911. Partecipa alla Prima guerra mondiale come barelliere e, per il suo eroismo, viene insignito della Legion d'onore. Insegna geologia all'Institut Catholique di Parigi. Dal 1926 al 1946 la sua vita si svolge in Cina, dove compie ricerche e studi paleontologici che gli danno fama internazionale. Muore a New York il 10 aprile 1955, nel giorno di Pasqua, come desiderava. Da scienziato, ha lavorato nel campo della geologia e della paleontologia. Ma il rigore della sua scienza è frutto di una natura poetica e prepotentemente spirituale. In lui si riconoscono insieme Darwin e Newman per il «"clima" di alta spiritualità e di pura scienza che ovunque porta con sé», ha scritto l'intellettuale Marcel Brion, suo amico. Leggendo la sua autobiografia si resta spiazzati perché non corrisponde ad alcun genere letterario. E non fu scritta per essere pubblicata. Non c'è altro modo di leggere queste pagine che quello di sedersi a contemplare il flusso senza pretendere che l'acqua interrompa il suo corso per capire meglio. Teilhard lo scrive da subito: le sue considerazioni non cercano di sviluppare una costruzione coerente, ma vogliono raccontare un'esperienza. Ci attenderemmo quindi aneddoti e vicende, storie. Non è così: è il racconto di come il mondo ai suoi occhi «si sia a poco a poco acceso, infiammato, fino a diventare, intorno a me, interamente illuminato da dentro. Progressiva espansione, in seno a ogni essere e a ogni avvenimento, di una misteriosa chiarezza interna che li trasfigurava». È il documento vissuto di una illuminazione, la storia di una fiamma. Ogni tentativo di farne la sintesi, di cogliere con saldezza il bandolo della matassa è destinato al fallimento. Teilhard fu accusato di essere eterodosso dal Sant'Uffizio e colpito da «monito» nel 1962 proprio perché non si comprese che il suo linguaggio era e non poteva che essere quello della poesia. Ma la stessa sorte subì da una parte del mondo scientifico, che percepiva nelle sue frasi il rigore visionario del poeta teologo e non solamente quello del cultore dell'esattezza. Teilhard è stato un outsider, destinato a essere sostanzialmente incompreso e insieme follemente amato. «Non avevo certamente più di sei o sette anni quando cominciai a sentirmi attratto dalla Materia, o più precisamente da qualcosa che "brillava" nel cuore della Materia», scrive. Il materialismo di quest'uomo spirituale ha radici lontane nella sua infanzia, nel momento nel quale Teilhard si «innamora» di un pezzo di ferro. Aveva trovato il suo «Dio di Ferro». Ma cosa c'è di più impoetico e di meno fanciullesco di un pezzo di metallo freddo? Eppure è davanti a un bullone che l'animo poetico e spirituale di Teilhard si risveglia, lì accade il suo “satori”. Non c'è alcun dubbio: «Sento di dover riconoscere che, in quel gesto istintivo che mi faceva propriamente adorare un frammento di metallo, erano contenuti e raccolti un timbro vocale e un corteo di esigenze di cui tutta la mia vita spirituale non è stato che lo sviluppo». Quel bambino diventerà un prete gesuita e imparerà la spiritualità di sant'Ignazio di Loyola che si compendia in un detto: non coerceri a maximo sed contineri a minimo divinum est, cioè: «È divino non essere ristretti neanche dallo spazio più ampio ed essere capaci di essere contenuti dallo spazio più ristretto».  La testa di un chiodo può contenere il divino, dunque. Non facciamo in tempo a rimanere sconvolti dalla sua intuizione che arriva il capitombolo: il ferro si arrugginisce. E allora il giovane Pierre comincia a rovistare il mondo alla ricerca dell'incorruttibile. Non lo cerca affatto nelle vette spirituali, nelle astrazioni dell'anima e del concetto, ma lo cerca per terra: nella pietra più trasparente o meglio colorata, nei cristalli di quarzo o di ametista, nei frammenti lucenti di calcedonio. La sostanza adorata doveva essere resistente, inattaccabile, e soprattutto dura. Teilhard vive lo scandalo della fragilità del mondo vivente. Le farfalle per lui sono «veramente troppo delicate». Non è rapito dai suoi colori, dal suo volo, come ogni bambino poeta. Meglio i coleotteri, invece, decisamente più «duri», soprattutto quelli con le corna, appunto. E però i coleotteri gli piacciono e cominciano a colpirlo come i quarzi e le pietre dure. E non sa ancora perché. Ecco che l'amore per il solido cede il posto all'amore per il nuovo o il raro e complesso come lo è il vivente. E il mondo di Teilhard si espande in un «amore appassionante dell'Universo» del quale scopre la complessità organica. Il suo gesto mistico si evolve nel tempo a contatto con la consapevolezza della materia del mondo. Teilhard spezza senza appello l'equivalenza "spiritualizzarsi= dematerializzarsi". Il passaggio dall'inorganico duro all'organico pone un disagio nel momento in cui arriva a pensare l'essere umano, che lo sconcerta e lo infastidisce per la preponderanza che al suo livello assume la dimensione individuale. Teilhard non riesce a concepire l'individuo umano. Se il poeta, di norma, parte proprio dalla singolarità, dall'individualità che sente e canta dal proprio sentire, per Teilhard è l'opposto. La soggettività è un impiccio. In realtà si tratta solamente di una tappa dentro un percorso che ha un suo momento chiave in trincea, al fronte, durante la Prima guerra mondiale. Si tratta di una sorta di «risveglio», eh e certamente risulta inquietante per il lettore, scandaloso. E per questo egli fu censurato la prima volta che le scrisse. È notte e Teilhard ridiscende all'accampamento. Si volta per scorgere «la linea calda e viva del Fronte». In quel momento ha un'«intuizione incompleta: «Quella linea assumeva la figura di una Cosa superiore, molto nobile, che sentivo formarsi sotto i miei occhi. Teilhard in quel fronte vede il divenire «un tutto unico», per cui le singole individualità sono destinate a confluire in un Punto Omega ultra-umano d'attrazione. Siamo alla svolta cruciale e complessa del suo pensiero che ora vede la storia del mondo nei termini dello sviluppo di un unico disegno. Detto in estrema sintesi: c'è il formarsi della litosfera, del nucleo della Terra ancora senza vita; poi attorno ad essa si sviluppa la pellicola sottile ma dinamica della biosfera, vegetale e animale; poi, con l'ominizzazione e l'avvento della specie umana, abbiamo un nuovo strato, fragile e sottile, in cui si sviluppa il pensiero: è la noosfera, la sfera della conoscenza che riunisce tutte le interazioni e le creazioni intellettuali e culturali degli esseri umani in un progresso verso una maggiore Unità e interconnessione tra gli individui. Teilhard descrive, dunque, lo sviluppo di un immenso moto ascensionale, verso una sempre più elevata complessità e interiorità, dalla materia alla vita, allo spirito. La sua fede completa la visione di questo movimento "ascendente". Il Punto Omega non è solo una destinazione fisica o temporale, ma un principio trascendente che attrae l'intero universo verso una sintesi finale dì amore, Unità e consapevolezza divina. Il molteplice va verso il trascendente. Il Punto Omega è Cristo, l'invisibile motore dell'evoluzione, l'energia dello stesso cosmo, che calamita a sé tutto. Dobbiamo, però, subito tornare a quell'immagine terribile del fronte di guerra: lì c'è l'intuizione improvvisa e imperfetta di una convergenza dell'universo. Il conflitto mette in evidenza le dinamiche di interconnessione e interdipendenza tra esseri umani, stimolando una coscienza collettiva. Il conflitto spinge l'umanità a cercare disperatamente nuove forme di connessione e coesione. Le energie che si riversano nella distruzione sono le stesse che possono essere dirette nella costruzione di una convergenza. Una volta Teilhard si è lamentato con Marcel Brion: «Sono stato considerato un Ottimista o un utopista beat, che sogna di euforia umana o di millenarismo confortevole. Come se la maturazione umana, che i fatti hanno l'aria di annunciare, non si presentasse, nelle mie prospettive, non come un riposo, ma addirittura come una crisi di tensione, pagata da un'immensa scia di disordini e sofferenze», come la guerra appunto. Tutto è interpretato all'interno di una convergenza. E se l'intuizione iniziale era stata quella del conflitto bellico, adesso può prendere anche la forma dell'«attrazione reciproca dei sessi», che rivela le sue «insondabili potenzialità spirituali ancora dormienti». Infatti - ne è convinto - «non è possibile alcun accesso alla maturità e alla pienezza spirituali al di fuori di qualche influenza "sentimentale" che ne sensibilizzi l'intelligenza, e ne ecciti, almeno inizialmente, le capacità di amare». La prosa teilhardiana subisce come un cataclisma sensoriale alla scoperta della convergenza e del Punto Omega trascendente. Trascrive la percezione di «una corrente di amore» che «si diffonde per tuttala superficie e la profondità del Mondo: e questo non solo come un qualche calore o profumo aggiunto - ma come un'essenza di fondo, destinata a metamorfosare tutto». C'è uno svenimento che non fa svanire il contatto con la realtà, ma lo rende più forte e solido, sinestetico. Teilhard sa che questa visione sembra spaventosa a chi, «esitando ancora a gettarsi nelle grandi acque della Materia, tema di veder il suo Dio esplodere». È il «Dio sempre più grande» fino a immaginare un suo big bang. «Benedetta sia tu, aspra Materia, sterile gleba, dura) roccia, tu che cedi solo alla violenza, e ci forzi a lavorare se vogliamo mangiare. Benedetta sia tu, pericolosa Materia, mare violento, passione indomabile, tu che ci divori se noi non ti incateniamo»: è l'inizio dell'inno con il quale si chiude Io scritto autobiografico di Teilhard. È una pagina travolgente, un cantico che lascia senza fiato. Al suo interno si agitano tensioni telluriche e indomabili, magmatiche: la meraviglia e la contemplazione si fondono con la percezione della violenza e dello stra-zio di questo mondo. Lo sforzo di sublimazione appare prometeico per chi non ha fede, mistico per chi ce l'ha. Ma tutti percepiscono lo sforzo titanico della parola.

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