(…). Tra il 1945 e il 1953, (…) Isaac Asimov scrive Fondazione e Impero e Seconda fondazione, che fanno parte della sua saga letteraria più famosa. Nei due romanzi appare un personaggio che ci riguarda: si chiama il Mulo, è un mutante, è bruttino, con un lungo corpo da ragno, e sembra innocuo, tanto da presentarsi nelle vesti di un clown che si fa chiamare Magnifico Giganticus. Davanti a un nome così, in verità, qualche sospetto agli americani doveva pur venire, specie dopo aver letto i post pro-Asimov di Musk: ma in Italia non siamo nella posizione di avanzare critiche, visto che abbiamo regolarmente sbagliato tutte le previsioni, dall'ascesa di Berlusconi fino a Valditara ministro dell'Istruzione. Il Mulo possiede dunque l'abilità di condizionare psichicamente gli esseri umani, servendosi di uno strano strumento che si chiama Visi-Sonar, e che crea contemporaneamente musica e immagini (anche qui, se avessimo dato retta alla fantascienza staremmo molto meglio). Per farla breve, il Mulo diventa in fretta uno dei più grandi tiranni dell'intera Galassia, spazzando via la Prima Fondazione che si riteneva sicura del proprio potere: quel potere era stato previsto e garantito dalla psicostoria e dal suo fondatore, Hari Seldon (…), che aveva letto nell'analisi matematica e statistica la caduta del primo impero e l'avvento della Fondazione che avrebbe governato l'universo, superando crisi dopo crisi. Il Mulo, però, era imprevisto, e proprio per questo i milioni di pianeti dalla Galassia gli cedono uno dopo l'alto, lasciandogli conquistare il ruolo di Primo Cittadino. Negli ultimi dieci giorni, dopo aver visto, in sequenza, il video condiviso dal presidente degli Stati Uniti dove si prefigura una Gaza a sua immagine e soprattutto lo spettacolo con cui ha trattato Zelensky come un ospite di Belve, sapete già che il Mulo è tra noi: soltanto una persona certa del proprio potere su tutto il Pianeta può permettersi di dar vita a scene che neanche la fantascienza riuscirebbe a immaginare, come la trasformazione di un luogo di morte in resort o l'umiliazione pubblica di un capo di Stato. Ma questa è anche una prova delle sue capacità di condizionarci, perché ci costringe a parlare di quel che desidera, dunque della sua politica estera, e non di quella interna, dove stanno avvenendo cose spaventose. La selezione dei giornalisti presenti alle sue conferenze stampa; la richiesta di consegnare gli indirizzi di 700mila immigrati; la chiusura di molti uffici per i diritti civili: questo solo nell'ultima settimana, (…). Non sarà un bel giorno quello in cui la democrazia degli Stati Uniti verrà meno. Basterà una piazza, come quella convocata per il 15 marzo? (…). Del resto, gioverà ricordare che, almeno nei libri, il Mulo viene sconfitto dalla Seconda Fondazione, nata in una biblioteca e forte non nelle armi ma nel sapere. È una speranza fievole, ma va coltivata, anche fuori dai libri. (Tratto da “Sopravvivere al nuovo Mulo d’America” di Loredana Lipperini pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 7 di marzo 2025).
“Lamentarsi non serve a niente tutti possiamo cambiare il mondo”, testo di Concita De Gregorio pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 10 di marzo 2025: (…). C’è un genio visionario, mi assicura un amico ingegnere aerospaziale. È un genio che vede lontanissimo: vede oltre l’orizzonte che vediamo noi, vede i prossimi secoli e sa che questo pianeta è destinato a estinguersi. Quindi lui sa che chi se lo potrà permettere, i ricchi, vorranno mettersi in salvo su Marte se solo fosse abitabile, e Marte potrebbe diventarlo. Difatti, dice questo simpatico amico che si è comprato una Tesla così lo riporta a casa anche se sviene al volante, su Marte c’è l’acqua. Non nella forma liquida, in qualche altra forma che non ho capito ma mi fido, lui lavora nelle basi di lancio quindi lo saprà. Dove c’è acqua si può vivere, cioè noi umani possiamo: dobbiamo solo ricreare una microatmosfera compatibile col nostro sistema cuore-polmoni, magari una bolla, un tettuccio, qualcosa. Ci vogliono miliardi di miliardi, serve molto tempo ma è un investimento. Quello che non mi spiego è come mai dovremmo dare per spacciato questo pianeta, attrezzarne un altro per gli eredi degli attuali plutocrati e non bonificare la Terra, invece, coi medesimi miliardi di miliardi. Cioè perché dovrei preferire, in un futuro ipotetico, andare a vivere con una tutina aderente sotto una bolla di cristallo e non restare a vivere a casa mia, una volta ripulita da schifezze fumi e falde avvelenate, che magari costerebbe anche meno per non parlare del disagio psichico di una vita da detenuto nella bolla, che se esci ti disintegri. Non mi spiego nemmeno come mai il genio visionario, quello che costruisce auto elettriche che ogni tanto vanno a fuoco ma non inquinano, si sia alleato con un tizio che dello sviluppo sostenibile ha la stessa considerazione che ha per l’autodeterminazione delle donne, la fluidità di genere e la democrazia: tutte cose che lo fanno scompisciar dal ridere e che pensa di eliminare cancellando le parole. Cioè, intendo: se progetti macchine elettriche avrai bisogno di un alleato che punti sulla bonifica ecologica, sui pannelli solari, sull’abbattimento degli allevamenti intensivi. Qui fa un po’ testacoda, il progetto del genio visionario. A meno che la sua agenda occulta non sia quella di sostituire di fatto il titolare formale, nel cui studio di forma ovale si presenta difatti in cappello da baseball e figlio sulle spalle, figlio quattrenne che una volta messo a terra appiccica le caccole sotto la scrivania del leader. (Scusate, non trovo un efficace sinonimo a caccole. Ho letto che il titolare ha fatto bonificare l’intero ufficio, dopo aver visto il filmato che certifica l’infantile consueto gesto. Non so se sia vero, di nulla si sa più se sia vero, ma è possibile). Colpisce, comunque, l’indulgenza verso l’abbigliamento chiamiamolo casual del genio visionario non altrimenti esercitata nei confronti del leader di un paese invaso. Ci sono protocolli e protocolli, si vede. Secondo punto, sempre macroscopico: la guerra. Si vis pacem para bellum, per chi ha fatto il classico, e va bene. Armarsi come deterrente, come esibizione muscolare e come monito. Armarsi per non usare le armi. Quindi dice: bisogna che l’Europa abbia il suo esercito, la sua nuclearina. L’esercitino. Ora però. A parte che potrebbe essere un po’ tardi, per mettersi in pari con quei Paesi anche pochissimo o per nulla democratici che sulle armi investono da molti decenni e si sono portati parecchio avanti. Abbiamo credo imparato da quella volta (quella dell’Enola Gay appena cancellato dagli archivi dell’aeronautica Usa non per aver prodotto la catastrofe di Hiroshima ma per la parola “Gay” nel nome del velivolo: con la stupidità bisogna avere suprema pazienza) abbiamo imparato dicevo che l’atomica non fa prigionieri. Che sia grande o piccola, il primo che spara estingue gli altri. Chi dovrebbe sparare per secondo è già stato incenerito. Al massimo si può sparare all’unisono, quindi estinguersi tutti. A quel punto anche il progetto di riparare su Marte sarebbe inutile, non essendoci più nessuno sulla terra. Un’idea alternativa - forse troppo semplice - sarebbe quella di individuare i pazzi fanatici pericolosi, isolarli e non assecondarli con moine, mossette, visite a domicilio, blandizie. Attivare diplomazie, investire sulla formazione di esseri umani addestrati all’uso del logos, sempre per chi ha fatto studi inutili: sulla ragione e non sulla forza, se no cosa siamo umani a fare. Servono soldi, tempo? Certo: ma potendo scegliere mettiamoli lì, allora. Nell’impegno per il raziocinio. A picchiare vincono sempre i peggiori, quelli che lo fanno più forte quelli che lo fanno da prima. Perché dovremmo accodarci al peggio e non puntare sul meglio. Non capisco. È come se volessimo adeguarci al grado zero della civiltà e non puntare al grado cento. È come se ci fossimo arresi al fatto che chi pensa male e agisce male ci contagia irrimediabilmente. Un virus. Una sconfitta dell’umanità. Prima ancora che della democrazia, dell’umanità. Magari invece la parola vince. Vincerebbe, a saperla e volerla usare. È un esperimento. Proviamo? Nelle nostre cose di ogni giorno è uguale. Nei bisogni, nei desideri, nelle speranze concrete di ciascuno. I doveri, i diritti. La salute, il lavoro. Chi comanda e chi subisce. Le chiacchiere, le cose. Quello che possiamo fare, uno per uno, è incarnare il cambiamento. Vivere come se il mondo fosse già quello che vorremmo. Che rivoluzione, sarebbe. Lamentarsi non serve, assegnare la colpa ad altri - I potenti! I cattivi! Gli altri! - è inutile. Incarnare il cambiamento significa agire, nel mondo dei proclami: fare senza dire, non parlare senza fare. Del resto. L’opposizione è debole, è vero. Confusa e litigiosa, tutta presa dai suoi distinguo interni, chi è più puro, chi è migliore: ha reso possibile che molta parte dell’elettorato si disanimasse, che si sentisse estranea a questo gioco (“non mi interessa la politica”) e che dunque vincessero gli altri. Questi. Non c’è un interruttore per cambiare il verso delle cose. Bisogna che ciascuno torni a fare tutto quello che può. Tendere una mano, dissentire nei fatti. Per esempio, pensavo. Il minore dei miei figli vive in un altro continente. Quando torna a casa dice “torno in Europa”. Sarà mia cura - mio compito - fargliela trovare, quando atterra.
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