"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 6 febbraio 2024

ItalianGothic. 97 Cristina Torres-Càceres: «Se domani non rispondo alle tue telefonate, mamma... / Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato, che sono stati i miei vestiti, l'alcol nel mio sangue / Ti diranno che è stato per l'orario, che ero da sola».


A Catania, in uno stabile al numero 1 di via Passo di Aci, una mattina del 24 luglio, Francesco va in camera, prende la pistola che tiene in un cassetto, torna in cucina e spara in faccia alla moglie. Era successo che andavano così d’amore e d’accordo, lui e Giuseppina, si erano sposati, avevano fatto anche tre figli, poi lui aveva deciso di lasciare il posto fisso alle ferrovie e mettersi a fare il commerciante. Non era andata come voleva, c’erano stati problemi economici, e allora Francesco – vuoi lo stress, vuoi le liti in casa con la moglie, vuoi tutto – aveva incontrato un’altra donna e si era fatto un’amante. Giuseppina se ne era andata dai suoi a Torino, Francesco aveva accolto in casa Rina detta la picurara, ma era durata solo un mese e allora Giuseppina era tornata. Ma c’era un problema. Giuseppina non riusciva a perdonare Francesco. Non riusciva a mandarla giù, questa cosa di quell’altra donna in casa sua, e così un giorno – vuoi una lite, vuoi un rimprovero, vuoi lo stress, vuoi tutto – lui non ce l’aveva fatta più, aveva preso la pistola e le aveva sparato. Due colpi. L’avevano preso subito e aveva confessato, con la testa tra le mani, disperato: è vero, in questi ultimi tempi ero diventato, forse, molto irascibile, ma chi non lo diventerebbe di fronte ad una donna che vi tortura ogni giorno con i suoi rimbrotti? La stampa specializzata nei casi di cronaca, i tabloid di nera, indulgono abbastanza sulle motivazioni che portarono Francesco all’insano gesto, perché sì, certo, lui era un tipo violento e anche molto egoista, però lei, insomma, dai: non sapeva perdonare. La verità, si scrive citando Alessandro Manzoni, ha due facce, e chissà qual è quella giusta, insomma, la verità sta sempre in mezzo, no? Insomma. In questo caso, per esempio, una delle due facce è quella di Francesco, magro, scavato, tormentato, va bene. L’altra, però, è quella di Giuseppina, e ha due buchi in fronte. Era il 1948, tanti anni fa. Non che il tempo passato sia una scusante, per carità, al massimo, se proprio vogliamo, è un’attenuante. Piccola piccola. O magari no, neanche quello. Ma che anche adesso, ai nostri giorni, ogni tanto scappi fuori che quella che sta per terra in cucina in un lago di sangue un po’ se l’è cercata, ecco, questa, invece, è un’aggravante. E bella grossa. (Tratto da “Mai più «se l’è cercata»” di Carlo Lucarelli pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 21 luglio dell’anno 2023).

“UominicheUccidonoDonne”. “L'orrore di sempre”, testo di Massimo Giannini pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 3 di febbraio 2024:

“Se domani non rispondo alle tue telefonate, mamma... / Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato, che sono stati i miei vestiti, l'alcol nel mio sangue / Ti diranno che è stato per l'orario, che ero da sola. Che quello psicopatico del mio ex aveva le sue ragioni, che lo avevo tradito, che ero stata una puttana / Ti diranno che ho vissuto, mamma che ho osato volare molto in alto in un mondo senz'aria / Ti giuro, mamma, che sono morta combattendo… / Ma ti prego per tutto quello che hai di più caro, non imbrigliare mia sorella. Non rinchiudere le mie cugine, non vietare niente alle tue nipoti / Non è colpa loro, mamma, così come non è stata colpa mia / Sono quelli, saranno sempre quelli / Lotta per le loro ali che mi hanno tagliato / Lotta perché siano libere e volino più in alto di me... / E se domani sono io, mamma, se domani non torno, distruggi tutto / Se domani tocca a me, voglio essere l'ultima".

L'ho letta e riletta (…) la struggente poesia di Cristina Torres-Càceres, che dopo l'assassinio di Giulia Cecchettin è diventata quasi il manifesto delle donne in lotta. Per i loro diritti, la loro libertà, la loro vita. Non era il secolo scorso. Era solo 1'11 novembre, due mesi e mezzo fa. La scomparsa di Giulia, le ricerche affannose delle forze dell'ordine, l'appello accorato dei familiari, la macabra scoperta del corpo sul greto di un lago, la caccia all'ex fidanzato Filippo Turetta, l'arresto, la confessione, lo sgomento, le folle oceaniche nelle piazze, i funerali sotto la pioggia a Padova, i discorsi meravigliosi del papà Gino, i post coraggiosi della sorella Elena, il solito rancore dei social, lo sdegno retorico della politica, i richiami sinceri di Mattarella, gli annunci solenni della premier, le modifiche alla legge sul codice rosso approvate in fretta alla Camera, la parata contrita delle deputate e delle senatrici in tv, i talk pensosi e affollati da sociologi e psicologi, le colpe del patriarcato, i maschi divisi tra autoflagellanti e autoassolventi, il furore delle donne, il femminismo tradito e dimenticato. Su tutto, quel finale di Torres-Càceres, che non è solo speranza, è promessa: se domani tocca a me, voglio essere l'ultima. E invece Giulia non è stata l'ultima. È stata solo la numero 109. Dopo di lei, in altri due mesi e mezzo, la mostruosa "macchina" dei femminicidi ha continuato a correre e a macinare l'orrore di sempre. Un'altra ventina di donne, seviziate e infine uccise da assassini travestiti da compagni o mariti. Rita Talamelli, Rosa Lombardi, Meena Kumarì, Vincenza Angrisano, Rossella Cominotti, Fiorenza Rancilio, Vanessa Ballan, Iride Casciani, Carolina D'Addario, Paola Bolognesi, Rosa D'Ascenzo, Maria Rus, Delia Zarniscu, Ester Palmieri, Annalisa Rizzo. E poi ancora, chissà quanti altri nomi, altri volti, altre storie, in questa Spoon River che non ha mai fine. Eppure l'avevamo giurato, dopo Giulia. Stavolta è diverso. Stavolta mai più. Stavolta non dimenticheremo, ci adopreremo, preverremo, agiremo, faremo, puniremo. Non è cambiato niente. E anche stavolta, come le altre, dopo lo sdegno arriva l'oblio. La reazione pelosa del "sistema" - il palazzo, la società, i media - è sempre uguale. "Prima pagina, venti notizie / Ventuno ingiustizie e lo Stato che fa / si costerna, s'indigna, s'impegna / poi getta la spugna con gran dignità... ". L'eterno Don Raffaé di Fabrizio De André. Qui però non c'è nemmeno la dignità. Non è dignitosa, è spaventosa la coltre di silenzio che copre ogni nuovo caso, ogni nuovo crimine, ogni nuova violenza di uomini che odiano e ammazzano le donne. Che fine hanno fatto il dolore, l'impegno, la mobilitazione. "La rabbia, la rabbia se n'è andata / portando via con sé / i drammi della vita...". Questo invece era Lucio Battisti. Un uomo che cantava "una donna per amico".

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