“Il grande inganno”, testo di Concita De Gregorio pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” di ieri, sabato 3 di febbraio: Gli interlocutori peggiori che conosco, nelle discussioni televisive, sono quelli che non ti guardano in faccia: parlano con te ma al momento della replica guardano in telecamera. Per chi vede il programma da casa non è chiaro ma vi assicuro che dal vivo è un atteggiamento tremendo: restituisce la certezza che a costoro non importi assolutamente niente di chi hanno di fronte, non sono venuti lì per ascoltare e di seguito rispondere, per confrontarsi. Sono venuti a vendere la loro mercanzia. Chi c'è nella poltrona davanti non importa, non lo guardano. Hanno preparato qualche frase da dire agli spettatori, spesso a prescindere dal tema in quel momento in discussione. Sono venuti per fare un piccolo comizio al pubblico. È il punto in cui la distanza fra la vita reale e la rappresentazione fasulla della realtà è più evidente. Immaginate di avere qualcuno di fronte che vi fa una domanda, vi dice qualcosa anche di non interrogativo e voi replicate. Immaginate di essere per strada, seduti a un tavolino per esempio. Rispondereste mai a chi avete di fronte volgendo la testa a destra e parlando per tutto il tempo al semaforo, come se fosse il semaforo ad avervi rivolto la parola? È una tecnica, anche molto difficile da acquisire perché francamente non guardare in faccia chi ti parla richiede un certo sforzo. Almeno per me, è proprio impossibile. Lo fanno in tanti, invece, specie fra i politici di recente conio (forse gli insegnano a fare così, gli fanno proprio dei tutorial). Molto anche fra i giornalisti maschi assertivi, esperti di dibattiti tv. Uno dei campioni è Maurizio Belpietro, un direttore di giornale che spero non si risentirà se per una volta lo cito per nome. Sono decenni che a ogni occasione utile di scherno o di disprezzo usa il mio, di nome, spesso solo quello di battesimo, sulla sua prima pagina. Gli sto tutto sommato riconoscendo un primato. Ogni volta attendo invano di incrociare il suo sguardo, in fondo è un'esperienza anche quella, ma è impossibile. Quando viene il suo turno si volta verso la telecamera e parla alla luce rossa: cioè parla guardando in faccia (virtualmente) il pubblico a casa, non chi è presente in carne e ossa in studio. È una tecnica, ripeto. Lo fanno in tanti. Di solito sono gli stessi che hanno preparato una frase a effetto, spesso una metafora calcistica (tipo: la palla in tribuna. Oppure: andarsene portando via la palla. È una fissazione questa della palla) e non importa quale sia la domanda. Ripetono a voce sempre più alta quella frase lì e se ti azzardi a dirglielo, ti rispondono non mi interrompa. Non è la fatica che si fa, a stare un'ora a parlare con uno che guarda il semaforo, fa parte del lavoro, si sa che va così, si affronta. È proprio la sensazione di disinteresse assoluto che queste persone hanno per chi incontrano - dispiace un po' in fondo anche per loro, magari potrebbe essere qualcuno di interessante. Ed è, infine - di questo volevo rendervi partecipi - il grande inganno della tv. Almeno dei dibattiti in tv. Voi pensate che stiano parlando tra di loro e invece no. Semaforo. Il bottino della serata, per loro, siete voi.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
domenica 4 febbraio 2024
ItalianGothic. 96 Concita De Gregorio: «Il grande inganno della tv. Voi pensate che stiano parlando tra di loro e invece no. Semaforo. Il bottino della serata, per loro, siete voi».
(…). L'era del dibattito è finita, questa è
l'era dei dogmi, della fedeltà assoluta a un'idea, la nostra, che è sempre
quella giusta. Ogni te-stata snocciola i dati che vuole, ogni redazione tv
costruisce il "Credo'' nei suoi servizi, la gente a quanto pare diserta
sempre più la carta stampata per abbeverarsi a una fonte di più facile
fruizione: il video, più passivo, riassuntivo, facile. Tutti in coro: «Tragedia! È colpa del Web,
dei social». Ma nessuno si interroga su quanto poco siano diventati appetibili
i giornali dei nostri giorni, che, per la maggior parte, paiono scritti da un
algoritmo: spesso identici nelle scalette e nei temi, privi di brio, seriosi.
Non una prosa che si differenzi (…). La Bild, uno dei più gloriosi quotidiani
d'Europa, potrebbe lasciare a casa circa duecento persone per sostituirle con
l'intelligenza artificiale, segno che il livello si è talmente abbassato che
pure una macchina è in grado di scrivere. Ma avere paura dell'intelligenza
artificiale è inutile, se si ha già paura dell'intelligenza umana, del suo
porsi dei dubbi. Chi aiuta i lettori a farsi le domande? Più che il racconto
del reale siamo sempre più assuefatti al giudizio sul reale ed è così che le
idee si confondono. (…). Siamo passati in pochi anni da un'informazione imparziale
a una totalmente dottrinale, moralizzatrice. Siamo sempre più in attesa che il
nostro pensiero sia legittimato da quelli che sono rimasti i nostri punti di
riferimento, figure che fino a qualche anno fa erano politici, pensatori e oggi
invece sono influencer, gente di spettacolo, ricchi o famosi vari (mai uno
brutto, mai uno un po' così). Su ogni vicenda i media hanno fretta di
schierarsi prima ancora che di indagare. Fleximan, l'anonimo autore
dell'abbattimento di una dozzina di autovelox nel Nord Italia è improvvisamente
diventato un eroe della Rete. La gente lo acclama nei commenti sui social e il
procuratore della Re-pubblica di Treviso Marco Martani avverte: «Attenti,
potrebbe essere apologia di reato». Manco in Corea del Nord azzarderebbero tanto
(…) La stampa, per i pochi che la leggono, riporta alcuni dati (tipo che siamo
il Paese che ha più autovelox in Europa: un giro d'affari di 75 milioni di euro
l'anno, che vengono usati per fare cassa sui comuni mortali) mentre non c'è un
telegiornale, specie nella tv pubblica, che faccia parola di questi dati.
L'attenzione dei servizi si concentra tutta sull'atto incivile
dell'abbattimento dei pali, un processo più che un'inchiesta. A cosa serve
avere tante notizie, di continuo, sempre nuove, se sopra non ci ragioniamo un
po'? (Tratto da “La
tragicommedia dell’informazione in cerca del Graal” di Ray Banhoff
pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 26 di gennaio 2024).
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