"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 13 febbraio 2024

MadreTerra. 25 Michele Serra: «La transizione ecologica non avverrà per graduali prese di coscienza, o per aggiustamenti virtuosi della nostra maniera di vivere. Avverrà per costrizione: ovvero in seguito a una successione di catastrofi climatiche, di guerre per l’acqua e per le fonti energetiche, di carestie, che ridurrà l’umanità allo stremo, allo spavento, alla decimazione, infine, chissà quando, alla ragione».


C’è una possibile lettura distopica dei moti agricoli in corso. Questa: nessuno (nessuna persona, nessuna classe sociale, nessuna corporazione, nessuna nazione, insomma: nessuno) è disposto per davvero a farsi carico della famosa transizione ecologica, perché nessuno è più in grado, o è disposto, o ha voglia, di pagarne il prezzo. Dunque la transizione ecologica non avverrà per graduali prese di coscienza, o per aggiustamenti virtuosi della nostra maniera di vivere. Avverrà per costrizione: ovvero in seguito a una successione di catastrofi climatiche, di guerre per l’acqua e per le fonti energetiche, di carestie, che ridurrà l’umanità allo stremo, allo spavento, alla decimazione, infine, chissà quando, alla ragione. I superstiti, dopo essersi rinfacciati l’un l’altro la colpa di ogni cosa, riusciranno (forse) a mettersi d’accordo e a ripartire, piano piano, per una nuova storia dell’umanità. Ovviamente, tutti quanti ci auguriamo che così non sia. La distopia, come l’utopia, è solo una lettura esagerata del futuro. E magari la politica, luogo di mediazione e di decisione, conterà ancora quanto basta per ammortizzare i conflitti, e indirizzarli in maniera favorevole al bene comune. Ma i costi della transizione ecologica, comunque li si ripartisca, sembreranno sempre iniqui, eccessivi, mal ripartiti a seconda che ricadano su di me o su di te. A ognuno parrà che sia l’altro, perché più colpevole o perché più solvente, a dover pagare il conto. Dunque non lo pagherà nessuno: e alla fine lo pagheremo tutti insieme, quelli con il trattore e quelli senza. (Tratto da “Il conto? Non lo pago io” di Michele Serra pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 7 di febbraio 2024).

“Il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre, e in futuro non andrà meglio”, intervista di Luisana Gaita a Carlo Bontempo – “fisico”, “direttore” del “Copernicus Climate Change Service” di Reading (Regno Unito) – pubblicata sul periodico mensile “Millennium” de’ “il Fatto Quotidiano” del 10 di febbraio 2024: (…). Le informazioni pubblicate all'inizio del 2024 dal Copernicus Climate Change Service confermano che il 2023 è stato l'anno più caldo mai registrato, con una serie di record. - La nostra serie temporale inizia nel 1940, ma altri dati ci portano ad affermare che il 2023 è stato uno degli anni più caldi, molto probabilmente il più caldo, degli ultimi centomila anni. L'anomalia più grande, straordinaria, è di settembre: il salto di temperatura rispetto al passato non ha eguali. Non solo. Tutti i mesi, da giugno a dicembre, sono stati i più caldi di sempre, dal 1 gennaio al 31 dicembre la temperatura è stata superiore a 1 °Ce, per quasi la metà dei giorni dell'anno, sopra 1,5°. Siamo a 1,48°C di riscaldamento rispetto al periodo preindustriale, come media annuale. La soglia di 1,5 °c dell'Accordo di Parigi si riferisce, invece, a una media sopra i vent'anni -.

Abbiamo qualche possibilità di non superarla? - Verosimilmente arriveremo a 1,5 °c di media annuale nel giro di un paio di anni e, come media ventennale, tra il 2030 e il 2034. Anche raggiungendo adesso le emissioni zero, le temperature saliranno comunque nei prossimi dieci anni, superando quel limite. La vera sfida è quello che succederà dopo: passato il picco dobbiamo ridurre il tempo di overshooting, cioè il periodo in cui la temperatura sarà sopra questa soglia. Prima riusciamo ad arrivare a emissioni zero, più alta è la probabilità di tornare a un clima freddo come quello attuale. Lo so, è paradossale parlare di clima freddo nell'anno dei record. Ma tant'è: se riuscissimo entro fine secolo a tornare alle condizioni del 2023, avremmo fatto un gran lavoro -.

Gli hotspot del cambiamento climatico, dove le temperature mutano più velocemente, sono certamente l'Artico, ma anche l'Europa, che si riscalda il doppio rispetto media globale. Cosa c'è da aspettarsi? Se guardiamo alle temperature, l’Europa è chiaramente un hotspot. Per le precipitazioni invece, i modelli climatici prevedono differenze marcate tra Nord Europa, dove arriverà più pioggia, e il Sud che ne avrà meno. In entrambi i casi aumenterà l’evaporazione. Il bacino del Mediterraneo, soprattutto nelle coste al Sud, avrà un futuro più caldo, più secco e ondate di calore più intense. Con variazioni da Paese a Paese: l’Italia è in linea con questo scenario. La chiave è farsi trovare preparati -.

Non è facile, nel Paese del dissesto idrogeologico, dove si continua a costruire troppo e l'Emilia-Romagna è tuttora alle prese con i contributi post-alluvione. Dal 2013 al 2023, l'Italia ha speso oltre 1,25 miliardi all'anno di fondi per gestire le emergenze meteo-climatiche (i dati sono quelli della Protezione civile), ma ha investito un decimo di questa cifra in prevenzione. - Non è vantaggioso, soprattutto economicamente, mettere una toppa quando ci sono inondazioni e frane. L'Italia non è l’unico Paese a costruire in luoghi a rischio. In Inghilterra si discute della costruzione sulle pianure alluvionate, e in Germania inondazioni e allagamenti del 2021 sono stati sì straordinari, ma hanno generato danni (e quasi 200 vittime, ndr) anche perché le case erano costruite in luoghi a rischio. Se guardiamo i dati Ipcc o Copernicus, in tutti i continenti c'è un segnale: nei giorni più piovosi dell'anno, le precipitazioni diventano più intense. È vero che il numero di giorni di pioggia nel Mediterraneo è diminuito, ma cambia l’intensità e una serie di altri fattori complicano la situazione. Occorre aumentare la resilienza -.

Il Piano di adattamento al cambiamento climatico è stato recentemente approvato, dopo quasi sette anni e quattro governi. Su 361 azioni, solo il 24% sono interventi strutturali. Poche quelle per cui si indica un finanziamento. - Mitigazione e adattamento vanno di pari passo. Dobbiamo arrivare a emissioni Net zero prima possibile e sviluppare nuove strategie che ci permettano di vivere, avere successo, essere felici in un mondo diverso. Sono molte le criticità per l'Europa e per l'Italia. Basti pensare alle fonti essenziali di sopravvivenza: salute, acqua e cibo. Quindi, ondate di calore, siccità e agricoltura. Le ondate di calore in Europa sono un killer silenzioso e sempre più pericoloso. Il livello di rischio cambia a seconda del Paese, ma saranno sempre più frequenti e intense, e dureranno più a lungo. Bisogna investire in infrastrutture per minimizzarne l'impatto e in sistemi di allarme rapido -.

La scorsa estate hanno scatenato polemiche i tweet del ministro della Sanità tedesco, Karl Lauterbach. In viaggio in Italia, aveva scritto: "Queste destinazioni di vacanza non avranno futuro a lungo termine". - Le città sono un hotspot, in senso letterale: sono più calde della campagna circostante, in Italia e in tutto il mondo. Un problema soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e nei tropici. Il bacino del Mediterraneo ha già affrontato condizioni di caldo estremo, ma qui i Paesi hanno infrastrutture sociali ed edilizie più adeguate. Ho trascorso una delle notti più torride della mia vita a Toronto, in Canada: le case sono costruite per resistere a -30/-40 gradi in inverno, hanno finestre piccolissime e sono prive di aria condizionata. Penso anche alle recenti estati di Londra. Non è scontato che sarà l'Europa meridionale a vedersela peggio. Dobbiamo reinventare i nostri centri urbani, per evitare l'effetto "isole di calore". Gli amministratori possono fare delle scelte, come progettare nuovi parchi pubblici e strutture per rinfrescarsi durante le ore più calde o modificare gli orari di negozi e scuole. I cittadini possono farne altre, per esempio sul tipo di isolamento per le pareti di casa. Tutto ciò farà la differenza tra una situazione di rischio alto e un'altra a rischio zero -.

Altro fronte: gestione dell'acqua potabile e siccità. Oggi si parla di emergenza, ma gli esperti hanno lanciato i primi allarmi più di dieci anni fa. La scorsa primavera si è insediata la cabina di regia voluta dal governo Meloni e, mentre si attendono sviluppi politici, nel 2024 ci sono già le prime situazioni critiche. - Sul problema della gestione dell'acqua, oltre all'inaridimento del suolo, ha un peso enorme la perdita di neve e ghiaccio sulle montagne. Nel 2022 abbiamo perso 5 chilometri di metri cubi nelle sole Alpi (l'Adamello, il ghiacciaio italiano più esteso, dal 2016 si è ritirato di circa 200 metri, ndr), con impatti su fiumi, disponibilità di acqua potabile, irrigazione dei campi, sistemi idroelettrici, biodiversità e turismo invernale. In futuro non avremo tutto ciò che abbiamo adesso -.

E allora ha senso continuare a sparare neve artificiale? - Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change da Meteo France, superati 2°c, nel 53% delle stazioni sciistiche europee potrebbe non essere più possibile sciare, neppure con l'utilizzo della neve artificiale. Sopravviveranno solo gli stabilimenti ad alta quota. Una notizia devastante, ma anche un'informazione: sapendo che in un determinato resort tra 20 anni non si potrà più sparare neve artificiale, si può cambiare politica di investimento e puntare su bici di montagna, parapendio o altro. Siamo in grado di prevedere molte cose, ma non di utilizzare queste informazioni in modo sufficientemente strategico. E non solo in Italia -.

La siccità ha impatti anche sull'agricoltura. - Ne avrà sempre di più. Dobbiamo chiederci quali sono le criticità nella produzione agricola nazionale e internazionale e come i cambiamenti climatici modificheranno prezzi, varietà e specie tipiche che l'Italia esporta. Non lo abbiamo ancora fatto in modo approfondito, ma questo settore subirà uno stress inedito. Non si tratta solo della capacità di generare cibo, ma anche della nostra cultura: potrebbe cambiare la qualità di alcune varietà di vino o delle olive e diventare insostenibile coltivare alcune delle piante che fanno parte della dieta mediterranea. Siamo stati abituati a pensare al clima come un punto di riferimento e che avremmo potuto utilizzare le tecniche dei nostri nonni per decidere cosa coltivare nell’orto. Non è più così -.

Nel rapporto dell'Ipcc si parla anche dell'innalzamento del livello dei mari. Secondo una ricerca dell'Università tecnica di Delft, nei Paesi Bassi, costerà all'Europa fino a 872 miliardi di euro a fine secolo. Tra le regioni più colpite, Emilia-Romagna e Veneto, alle prese con i problemi del Mose di Venezia, dove si calcola fino a quando gli innalzamenti saranno convenienti. - Alla fine del secolo il livello del mare si alzerà di circa un metro, che è moltissimo ma può essere ancora gestibile. Ma non funziona come per le temperature: non si torna indietro e il mare non inizierà a riscendere. Dovremo convivere con il cambiamento. Se in Italia normalmente si agisce in emergenza, qui servono altre capacità. Nei Paesi Bassi si dibatte sul futuro di Rotterdam, il porto più grande d'Europa e gli olandesi si chiedono se potranno difenderlo nel lungo periodo o, in caso contrario, se e come potranno carnbiare non solo la costa, ma anche le priorità produttive del Paese. L'Italia non è nella stessa situazione ma, comunque, non programmare una strategia è uno svantaggio nel momento in cui altri attori sullo scacchiere si muovono con lungimiranza. Storicamente, però, abbiamo un'altra capacità, che è quella di fiutare mercati e nuove opportunità. Magari è questa la dote che dovremmo sfruttare, la nostra chiave di resilienza -.

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