"Saluto nazista durante un congresso nella Germania
di Hitler (Photo by Keystone-France/Gamma-Keystone via Getty Images), la Repubblica".
(…). Nel lessico della lingua tedesca esiste
una parola composta, coniata appositamente per descrivere il lungo processo di
riflessione critica condotto dai tedeschi del dopoguerra sulle terribili colpe
del nazismo e, in parte, anche la lenta, faticosa emancipazione dal senso di
colpa per i crimini di esso. Il termine è Vergangenheitsbewiiltigung,
traducibile letteralmente con "superamento del passato”. Nella lingua
italiana non c'è nessuna locuzione analoga. Il motivo, a mio modo di vedere, è
che quel processo di superamento del passato, pur avviato, non si è mai
compiuto. Le ragioni sono, come sempre in questi casi, numerose e peculiari
della nostra storia politica. (…). Rendersi conto del proprio nefasto passato
presuppone, infatti, una preliminare e radicale assunzione di responsabilità.
Per riuscire a guardare fino in fondo nell'abisso è necessario vedere l'abisso
dentro di sé. Se ciò non è avvenuto nella coscienza collettiva del popolo
italiano, oltre che alle numerose altre cause da ricercare nella storia
politica del nostro dopoguerra, lo si deve anche alla narrazione del_fascismo
rimasta egemone fino ad anni recenti. La
prescrizione - quasi un diktat culturale - a raccontare il fascismo attraverso
l'antifascismo, e dunque la tendenza di un intero popolo a identificarsi con la
posizione simbolica della vittima, ha ostacolato l'assunzione di responsabilità
narrativa indispensabile a fare i conti con il passato. Affinché ciò potesse
avvenire, sarebbe stato indispensabile partire dal presupposto che noi, gli
italiani, eravamo stati fascisti, che il fascismo era stata un'invenzione del
nostro popolo, che il fascismo era stato e sarebbe rimasto non una deviazione
dal suo corso regolare ma il momento centrale della nostra storia
contemporanea. Qualora questa rivoluzione narrativa non fosse avvenuta, il
fascismo sarebbe rimasto il grande rimosso della coscienza nazionale e, come in
un racconto di spettri, avrebbe continuato a infestare la nostra casa comune.
(…). E, se non vado errato, la recente cronaca politica mi sta purtroppo dando
ragione. (…). (Tratto da “Fascismo
e populismo” – Bompiani editore, 2023, pagg. 93, euro 12 - di Antonio
Scurati).
“Il tempo
rotto del fascismo”, testo di Marco Belpoliti pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” del 12 di gennaio 2024:
Un migliaio di persone, radunate nel
quartiere romano Tuscolano davanti alla ex sede del Movimento Sociale Italiano,
ha salutato con il braccio destro teso e il grido “Camerati” tre giovani
aderenti al Fronte della Gioventù uccisi 46 anni fa per ragioni politiche. Sono
i cosiddetti “morti di Acca Laurentia” dal nome della via. Lo scatto in bianco
e nero è un fermoimmagine pubblicato da questo giornale in prima pagina
estratto da una breve ripresa che mostra il momento conclusivo della cerimonia.
Si tratta di un’immagine che ricorda le adunate hitleriane piuttosto che di
quelle mussoliniane del ventennio fascista. Esistono numerosi scatti
fotografici che mostrano le folle in Germania negli anni Trenta del XX secolo
mentre compiono il gesto del Sieg Heil: il braccio teso accompagnato nelle
piazze da un urlo ritmico. Colta dall’obiettivo in quel preciso momento la
folla radunata davanti alla ex sede neofascista somiglia a quella che Elias
Canetti chiama “la scarica” in un breve capitolo del suo libro Massa e potere
apparso nel 1960, indagine simbolica dei fenomeni sociali. Secondo lo scrittore
austriaco Premio Nobel la scarica sarebbe il principale avvenimento all’interno
della massa, quello che le dà forma e la istituisce come tale. Che sia composta
da un milione di persone o da un numero più piccolo di individui, la massa si
crea attraverso il medesimo atto: «All’istante della scarica i componenti della
massa si liberano delle loro differenze e si sentono uguali». Le differenze,
precisa Canetti nel suo saggio, sono quelle di rango, di condizione e di
proprietà. Presi singolarmente gli uomini sono perfettamente coscienti delle
loro diversità, che gravano su di loro e li forzano a staccarsi, scrive, ovvero
a tenersi distanti. La vita nella sua quotidianità è “impostata sulle
distanze”, eppure nella massa queste scompaiono di colpo: «Nella scarica si
gettano le divisioni e tutti si sentono uguali». Questo è un meccanismo che il
fascismo e il nazismo hanno attivato nel corso dei primi decenni del Novecento.
In particolare il sistema hitleriano, guidato da figure demoniache come il
ministro della propaganda di Hitler, Joseph Goebbels, ha cercato di sviluppare
lo spirito gregario presente nelle masse. Vedendo il breve filmato, da cui è
tratta questa fotografia, si è colpiti dal silenzio che precede il gesto
collettivo e il contemporaneo grido, oltre all’allineamento militare delle file
dei camerati. Il fermoimmagine – fotogramma d’un video – mostra l’attimo in cui
le mani scattano all’unisono, una forma di adesione totale espressa col gesto
del braccio teso. Una carica emotiva in cui ogni corpo si avvicina agli altri
corpi e in cui «ciascuno è vicino all’altro come a sé stesso», scrive Canetti. L’effetto
è una sorta di sollievo: in «quell’istante di felicità, in cui nessuno è di
più, nessuno è meglio d’un altro, gli uomini divengono massa». Ovviamente
questo non è vero solo per un raduno di tipo politico, come questo al
Tuscolano, ma anche per altri riti collettivi che le società di massa
sviluppano. Il saluto, sia individuale che collettivo, produce socialità, come
ha scritto Tilman Allert in un suo libro intitolato Heil Hitler! Storia di un
saluto infausto (il Mulino), opera che analizza la genesi e il significato del
braccio teso nella Germania nazista. Dal canto suo il filosofo tedesco Hans
Blumenberg, che da giovane ha conosciuto il nazismo, ha sottolineato come la
tecnica stessa del saluto produca ovvietà «con l’implicazione che l’affidabilità
che vi è contenuta serve a ciò che non è assolutamente ovvio». Tuttavia nel
fermoimmagine c’è qualcosa di più inquietante: il braccio teso fa parte di un
rito funebre. Questa fotografia ha un particolare valore non solo politico ma
anche antropologico; esprime l’incapacità ad elaborare un lutto, a compiere un
rito che consegni al passato un’esperienza storica tragica, a partire dalla
sconfitta del Fascismo. Nella cerimonia davanti alla vecchia sede del Movimento
Sociale Italiano del quartiere Tuscolano si legge un elemento di ossessività,
una sorta di reiterazione che manifesta l’incapacità di elaborare il lutto di
una perdita, che non è solo quella dei giovani neofascisti ma del fascismo
stesso sconfitto nel corso della Seconda guerra mondiale, da cui sono rinate le
democrazie occidentali in una parte dell’Europa. In un suo libro, La freccia
ferma (1979) lo psicoanalista Elvio Fachinelli parte da un caso clinico di
nevrosi ossessiva di un suo paziente, descritto come un tentativo individuale
di annullare il tempo, per arrivare a definire il fenomeno collettivo del
Fascismo utilizzando la medesima chiave interpretativa. Il fermoimmagine,
questa quasi-fotografia, ci riporta davanti agli occhi un passato che non
sembra passare, come se l’orologio collettivo di quel migliaio di persone
radunate davanti alla sede dell’MSI si fosse irrimediabilmente bloccato. Nel
suo saggio Fachinelli spiega la differenza che esiste tra le società arcaiche e
quelle moderne. La sua attenzione si focalizza sulla società di massa in Europa
dopo la fine della Prima guerra mondiale nel momento in cui si afferma il
Fascismo come risposta alla vittoria mutilata e disperato tentativo di negare
la “morte della patria”, tema che ritorna con la Repubblica di Salò. Fachinelli
si domanda: perché nelle società tradizionali, quelle arcaiche e “primitive”,
il lutto per la perdita si compie mentre nelle società moderne fondate sul
potere ossessivo la medesima esperienza non viene elaborata? L’interrogativo
che solleva questa immagine così remota e insieme così attuale è davvero
preoccupante, ci mostra una parte del Paese che non sembra uscire da quel
passato. La fotografia indica come il vero problema psicologico degli eredi del
Fascismo storico sia quello di annullare il tempo, di bloccarlo in un eterno
“allora”. Il neofascismo è, per usare l’espressione di Fachinelli, una “freccia
ferma”: qualcosa che non evolve, che non si rinnova, che resta ancorato a un
rito reiterato al cui centro c’è un’ossessione mortuaria e lugubre.
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