"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 17 gennaio 2024

CosedalMondo. 05 Della umanità negata.


(…). L’avvocato sudafricano nella sua arringa di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia ha affermato che nessun atto, per quanto barbarico come quello di Hamas del 7 ottobre, giustifica la carneficina di un gruppo etnico condannato alla fame e alle malattie. E del resto l’atto terrorista di Hamas è preceduto da spedizioni punitive ricorrenti a Gaza e da crimini di guerra israeliani. Gli analisti, persone perbene, educate e colte, trasformano la realtà, il comune sentire. Le azioni di forza, contro il diritto internazionale, sono legittime e benedette. Man mano ci convinciamo che è tutta colpa dell’Iran, belzebù sceso sulla terra, manovrato da Mosca. Avrà inizio una nuova guerra che arricchirà le multinazionali, le oligarchie che sono dietro al potere di Biden e di Trump. Inflazione e calo dei tassi di interesse aiuteranno il rifinanziamento del debito. Ne pagheranno il prezzo le vittime delle guerre, i poveri del mondo, le classi meno abbienti in Europa. (…). (Tratto da “Provocazioni occidentali così la guerra si allarga” di Elena Basile pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, martedì 16 di gennaio 2024).

Della umanità negata”. 1 “Ridotti a scannarci tra di noi per non morire di fame e freddo. Un popolo si uccide anche così”, testo del corrispondente da Rafah del quotidiano “la Repubblica” Sami al-Ajrami pubblicato il 12 di gennaio 2024: Noi gente di Gaza terremo una bandiera del Sudafrica sulla porta quando riavremo una casa, se mai ne riavremo una. Non è stato un Paese arabo, fratello di sangue e di fede, a portare davanti alla giustizia del mondo la strage che si consuma qui. Lo ha fatto un popolo fratello di Storia. Un popolo che sa cosa è l'apartheid, che sa cosa sono i ghetti, che sa cosa è l'oppressione. Gli avvocati sudafricani hanno spiegato in queste ore alla Corte dell'Aia che quello che è in corso nella Striscia non è un conflitto, ma un'altra cosa. È la cancellazione deliberata di una popolazione chiusa in gabbia. Più di 23 mila morti in tre mesi; ogni giorno 200 bambini, 48 madri, tre medici uccisi. L'elenco potrebbe andare avanti a lungo... Ma io da dentro la gabbia vedo di più. Vedo come ci stanno uccidendo non solo nel corpo, ma anche nella mente e nel cuore. Fa freddo qui a Gaza. Stanotte è piovuto. Qualcuno non ce la faceva più a restare a gelare all'aperto, ha preso una pistola e ha fatto fuoco per togliere da una tenda una famiglia e metterci la propria. Il rifugio che condivido con la mia famiglia qui a Rafah è accanto a un forno, una panetteria davanti a cui la gente comincia a mettersi in fila la notte, ben prima delle cinque. Ogni giorno vedo la gente ammassarsi con più fame e più rabbia. L'altro ieri ci si accapigliava, ieri volavano pugni. Ora sono spuntate le armi. Solo per conquistare un pezzo di pane. Un popolo si stermina anche così. Ma oggi un responsabile israeliano ha detto che non è vero che a Gaza non arrivi cibo, ha spiegato che è «l'Onu a non essere capace di gestire la distribuzione». Nella Striscia entra meno del 5% dei viveri necessari. Ci hanno concentrati tutti in un punto e ci lasciano a scannarci per non morire di fame. Ma è un problema di organizzazione. Mi chiedo che problema sia invece quello che guida la mano dei nostri bambini. Quando entri nei rifugi e provi a parlare ricevi solo sguardi muti. Guardi quello che questi bimbi disegnano e vedi aerei con la faccia di mostri che lanciano fuoco. Devono aver bruciato loro le parole dei nostri figli. Un popolo si annienta anche nelle teste dei bambini che dovrebbero portare dentro il seme del futuro. Sei guerre in sette anni. E questa è la peggiore di tutte. Per distruzione e accanimento. Gli avvocati sudafricani hanno ragione a dire che in realtà quello in corso qui a Gaza non è un conflitto come un altro. È una punizione collettiva. Una cancellazione deliberata. Gli israeliani hanno i mezzi tecnici per mirare, distruggere selettivamente. E invece sparano a tutto ciò che si muove, azzerano le nostre case, bruciano la nostra terra. Si preparano a tornare qui senza di noi. Per questo non è una guerra contro Hamas, ma contro noi tutti. Hamas è servita per anni a Israele a non raggiungere un accordo che avrebbe potuto portare alla pace, Netanyahu ha usato Hamas per garantirsi il potere e la divisione dei palestinesi. Per questo l'intento di annullarci come popolo non è nato il 7 ottobre. Israele all'Aia si difende ricordando il massacro fatto tre mesi fa da Hamas. Non si mettono sulla bilancia i morti. Ma non siamo tutti Hamas e qui ci siamo noi a morire, non i miliziani. Qui a Gaza di speranza ce n'è davvero poca e ogni giorno ce n'è di meno. Ora aspettiamo quello che accadrà alla Corte internazionale. Il Sudafrica, questo Paese lontano che ci difende, ha vissuto giorni bui. E poi ha trovato verità e giustizia. Chissà se saremo fratelli di Storia nell'epilogo di tutto questo sangue. Se anche per noi ci sarà verità e giustizia.

Della umanità negata”. 2 “La tragedia dei bambini migliaia uccisi dalla guerra per i vivi trauma irreparabile”, testo del corrispondente da Rafah Sami al-Ajrami per il quotidiano “la Repubblica” pubblicato il 13 di gennaio ultimo: Yasan e Yasmine si tenevano per mano quando li ho incontrati, in silenzio, gli occhi umidi e tristi. Yasan ha 13 anni, Yasmine 15, hanno perso i fratelli, le sorelle, la mamma e il papà. Sono orfani. Hanno cambiato quartiere dopo che la casa in cui vivevano è stata distrutta in un bombardamento israeliano, ora di loro si sta prendendo cura una zia. Con Yasan ho provato a parlare, ma dice poche parole. È ancora sotto shock: ha visto suo padre morire con i suoi occhi. Cercava di farsi forza, di comportarsi come un adulto, ma è difficile. I bambini sono l’anello più debole in questa spirale di guerra. Save the children ha diffuso un numero straziante: oltre diecimila bambini sono stati uccisi dagli attacchi aerei e dalle operazioni di terra israeliane in quasi 100 giorni. Ma a questa macabra contabilità manca un dato ed è quello dei bambini scomparsi, almeno quattromila sono ancora dispersi sotto le macerie. Il numero delle vittime perciò potrebbe essere molto più alto. Chi è sopravvissuto deve affrontare una realtà durissima. Moltissimi, più di 1.000, hanno subito amputazioni. Per strada, nelle tende, vedo decine di orfani. E tanti bambini si stanno ammalando, in massa, perché manca l’acqua potabile, perché non mangiano abbastanza, perché non hanno vestiti adeguati per ripararsi dal freddo. Hanno perso le loro case. Vivono traumi che nessuno riesce a lenire. Anche i giocattoli non ci sono più a Gaza. Non si trovano giocattoli. I pochi che si trovano al mercato costano troppo e le famiglie non hanno abbastanza denaro nemmeno per comprare vestiti adatti a questo clima gelido. Le associazioni provano a ricavare spazi all’interno delle scuole adibite a rifugi per far giocare i più piccoli. Li fanno disegnare. Dipingono loro la faccia. Cercano di farli correre o far fare loro un po’ di sport per alleggerire la pressione anche fisica della guerra. Ma è difficile perché non c’è spazio a Gaza, oggi è una delle aree più sovrappopolate al mondo. Negli ultimi giorni ha piovuto ininterrottamente, e questo ha costretto molte persone a uscire dalle tende invase dall’acqua. La municipalità di Gaza ha lanciato un nuovo allarme a Gaza City. Le pompe che riversavano in mare l’acqua piovana non funzionano più perché mancano il carburante e la corrente elettrica e soprattutto nelle parti basse della città c’è il rischio di inondazioni. Bisogna evacuare le persone. Questo è il mondo di sopra, il mondo in cui ora ci troviamo. Del mondo di sotto, dei leader nei loro tunnel, non sappiamo nulla, solo i comunicati che Hamas fa circolare in cui continua a parlare di vittoria. Non li vediamo per strada. Molti qui li criticano perché non sanno cosa veramente sta succedendo sopra la superficie, seguono la loro strategia senza curarsi della crisi umanitaria, del dolore a cui sono sottoposti i palestinesi. Si preoccupano delle persone o solo dei loro obiettivi politici? Le scene di sostegno per Hamas in Cisgiordania sono stranianti viste da Gaza. Tanti qui non vogliono più Hamas al governo dopo 17 anni di sofferenze, aggressioni e guerre.

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