"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 10 gennaio 2024

ItalianGothic. 93 Pino Corrias: «Forse un giorno parlerà alla Nazione, ma solo se troverà un buon rimborso spese per farlo».


(…). La Santanchè manda a ramengo le sue società ed è inseguita dai creditori, incluso lo Stato: subito promossa ministra del Turismo, anche per fare vetrina all’estero. Emanuele Pozzolo sta nella Lega, che però lo sospende per “indegnità politica e morale”. Allora trasloca in An, che però lo sgama come “violento estremista verbale”, ergo – ricorda Fini – “capimmo che era un balengo e lo accompagnammo alla porta: via, andare”. A quel punto, non esistendo più l’Udeur e non ancora Iv, l’ingresso in FdI è d’obbligo. Pare che lo noti Crosetto, noto talent scout: abile e arruolato. Guido Crosetto, intervistato da Tpi il 18.8.2022, esclude di diventare ministro della Difesa: “Mi sembrerebbe inopportuno, dato il mio lavoro” (è presidente dell’Aiad, Federazione delle aziende militari e senior advisor di Leonardo). E il 29.9.22 rincara la dose su Twitter: “Se aspetti me Ministro, muori di vecchiaia”. Infatti un mese dopo è ministro della Difesa. (…). Vittorio Sgarbi nel 1996 viene condannato a 6 mesi e 10 giorni in Cassazione per truffa aggravata e continuata ai Beni culturali. Dunque prima B. e poi Meloni lo promuovono sottosegretario ai Beni culturali per competenza specifica. Ora è indagato per furto e riciclaggio di beni culturali per un quadro rubato in un castello e ricomparso in mani sue con l’aggiunta di una candela dipinta sullo sfondo alla maniera di Mister Bean (oltreché per sottrazione fraudolenta al pagamento delle tasse di 715 mila euro, che fa sempre punteggio). E se lo tengono come sottosegretario ai Beni culturali per dargli un’altra chance. Altro che mancata selezione: questi si regolano come Mel Brooks in Mezzogiorno e mezzo di fuoco. C’è il cattivo che deve arruolare una sporca dozzina per assaltare il villaggio si siede dietro un banchetto ed esamina i curricula dei candidati in fila indiana: “Precedenti penali?”. Il primo risponde: “Stupro, assassinio, incendio doloso, stupro”. E lui: “Hai detto due volte stupro”. “Sì, ma mi piace tanto lo stupro!”. “Ottimo, firma qua. Avanti il prossimo. Precedenti penali?”. “Atti di libidine in luogo pubblico”. “Non è mica tanto grave”. “Sì, ma in una chiesa metodista!”. “Ah carino! Arruolato, firma qua!”. (Tratto da “La selezione” di Marco Travaglio pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, mercoledì 10 di gennaio 2024).

"UnaStoriaItaliana". “Cliniche, quotidiani e lacchè: così regna il mago dei rimborsi”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 6 di gennaio ultimo: È il nababbo delle residenze lungodegenti con rimborso pubblico garantito. È il re Mida dei parlamentari, con stipendio pubblico per la mancia ai camerieri. È il re dell’editoria e dei suoi finanziamenti pubblici. Nel suo genere: un fuoriclasse del rimborso. Con immunità parlamentare incorporata, a scanso di inchieste, e il 99 per cento delle assenze in Aula. A volte la faccia è tutto. Quella di Antonio Angelucci, detto Tonino, corrucciata per vocazione al risparmio estetico, è più di metà della sua celebrata biografia. Che alla fiammeggiante ricchezza di oggi, incoronata da cliniche, giornali, politica, ville, potere, tre Ferrari indossate come maglioni a primavera, una gialla, una azzurra, una rossa, giustappone le ceneri dei suoi ruvidi natali d’Abruzzo nel paesello di Sante Maria, mille anime e il cielo di pietra, provincia de L’Aquila, anno 1944, molti milioni di euro fa. Oggi mister miliardo Angelucci, deputato fantasma da quattro legislature, prima in Forza Italia, poi nella Lega di Salvini, amico di tutti, dalla buonanima di Berlusconi a D’Alema, dalla Meloni a Renzi, passando per Denis Verdini e Dell’Utri, accende e spegne la luce sulla intera filiera dei quotidiani della mejo destra italiana, dal melonissimo Libero dello spasimante Mario Sechi, alle grigie colonne del Giornale di Alessandro Sallusti, passando per il quasi clandestino Il Tempo, tutti addetti a nascondere il caso Tommaso Verdini, tutti a bastonare i magistrati, appena possibile. Non contento del malloppo di soldi e di potere, Angelucci progetta da qualche mese il colpaccio della carriera, avendo fatto sapere che è stato quel fenomeno in lingua estera di John Elkann a chiamarlo per offrirgli il pacchetto completo dei suoi ultimi spiccioli editoriali, Radio Capital, più l’ex gioiello Repubblica, a prezzo scontatissimo, pur di levarsi di torno dalla inutile Italia che gli ingombra il fatturato planetario. Cifra ancora troppo esosa per l’Angelucci padre che tratta e per l’Angelucci figlio, Giampaolo, detto Napoleone, l’erede designato dell’impero, visti i debiti che si dovrà accollare, compresa quella moltitudine di giornalisti difficili da domare, difficili da smaltire. Anche se le vie dell’incentivo sono infinite, quanto il Mille proroghe di ogni fine anno. Più di mezzo secolo fa il primo lavoro incorpora la sua leggenda, portantino all’ospedale San Camillo di Roma, con in tasca la sola licenzia media. Ma il cervello finissimo che gli consente, appresa l’arte del sindacalista di corsia, di studiare gli ingranaggi della Sanità, metterseli in tasca e insieme con una cordata rilevare la sua prima casa di riposo a Velletri. In qualche decennio moltiplica il seme in una foresta di cliniche lungo l’Appennino, 22 strutture, dal reatino alla Puglia, 3500 posti letto, 4 mila dipendenti, mille medici. Più un istituto di ricerche a Boccea, Roma. E una serie infinita di investimenti immobiliari, compresa la villa madre, quella ai Castelli che fu di Sofia Loren e di Carlo Ponti. Come nella migliore tradizione italiana tutto l’impero sta all’estero, in Lussemburgo, capofila la Tosinvest, 500 milioni di fatturato, forzieri scudati a suo tempo, dove “Tosi” non è voce del verbo tosare (l’Italia, gli italiani, gli elettori, le casse del parlamento) ma l’acronimo delle iniziali Tonino e Silvana, la prima amatissima moglie con cui scalò il cielo. Con un occhio alla competenza e due alla politica, qualche volta in rotta di collisione con le moleste procure. A essere capziosi, dove ha guai giudiziari, ha cliniche. E dove ha cliniche, ha batterie di avvocati che l’hanno sempre condotto in salvo. In Abruzzo, anno 2008, è coinvolto nella Sanitopoli che travolge il presidente Ottaviano Del Turco. L’anno dopo tocca a una inchiesta per truffa da 170 milioni di euro ai danni della Regione Lazio. Poi ancora alla Regione Puglia, quando i magistrati indagano su un finanziamento da 500 mila euro a Raffaele Fitto, l’attuale pattinatore del Pnrr, allora candidato presidente: altra inchiesta affondata. Il suo capolavoro contabile porta la data del 1999 a Roma. Compra da don Verzè un ospedale intero che fa parte del gruppo San Raffaele. Sborsa 270 miliardi di lire. Qualche mese per lucidare le maniglie ed ecco la bella occasione di rivenderlo alla Regione Lazio per 319 miliardi di lire, 50 in più con un solo giro di giostra. Scoppia lo scandalo. Al governo c’è Giuliano Amato. Ministro della Sanità è Umberto Veronesi. Presidente della Regione è Francesco Storace. Al prezzo si aggiunge la convenzione che tutti i servizi ospedalieri saranno garantiti dalla Tosinvest, per nove anni, più nove, paga Pantalone, cioè la Sanità. Evviva. Baciato dalla generosità pubblica, qualche volta contraccambia. Quando Massimo D’Alema gli chiede di accollarsi le mura del Bottegone, la sede storica del pci, non si tira indietro, compra, anche se non con soldi suoi, ma facendoseli prestare dalla Banca di Roma del suo amico Cesare Geronzi. Lo stesso vale quando Denis Verdini deve restituire 10 milioni al tribunale dopo il crack del Credito Fiorentino, lui è pronto a prestarglieli, ci mancherebbe, salvo prendersi in pegno la sua villa seicentesca. Generoso ma non fesso. Generoso, ma non con tutti. Belpietro vorrebbe vendergli La Verità e l’Eni l’agenzia Agi, ma lui nicchia. Le rare volte che si presenta alla Camera è un assalto all’arma bianca. Di solito si porta dietro un tale Ferruccio, amico storico, che gli fa da scaccia folla. “Da lui vogliono tutto – racconta una deputata amica –. Soldi, sponsorizzazioni, il ricovero per la nonna, pranzi, cene, feste, un giro in Ferrari, un boccone di filetto. Sono scene bruttissime”. Leggendaria è la sua riservatezza. Oppure commovente: mai una intervista né in privato né in pubblico. Mai una dichiarazione. Mai un pensiero o un discorso che giustifichi il suo mandato parlamentare, prudentemente iniziato dopo le prime inchieste, e che oggi lo vede addirittura membro fantasma della Commissione Cultura, scienza e istruzione. Due volte vedovo, cinque figli, a Milano ha appena finito di arredare il suo personale palazzo dei giornali, dietro lo Scalo Farini, sfilato ai tipi dell’agenzia La Presse. Tre piani di vetri e cemento, 50 posti auto, l’ultimo piano cablato per le dirette tv e per quelle radiofoniche. Chissà, forse un giorno parlerà alla Nazione, ma solo se troverà un buon rimborso spese per farlo.

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