"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 6 luglio 2023

ItalianGothic. 65 Barbara Spinelli: «Berlusconi è il signore che ci ha fatto divenire, e apparire, peggiori. Ha sdoganato il peggio e ce l’ha lasciato».


Ha scritto Michele Serra in “Etica all’italiana” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 30 di giugno 2023: (…). …Ferruccio Parri, che come «grande delusione della sua vita» indicò il popolo italiano. Negli ultimi tempi (soprattutto per reazione al mortificante coro di elogi per Berlusconi) è riemerso l’antico discorso sulla anti-italianità delle élite democratiche e di molti intellettuali: non solo “di sinistra”, anche conservatori. Ovvero sulla disperata presa d’atto che la comunità nazionale sia irriformabile perché esisterebbe una “italianità” profonda e incurabile – diciamo così – contro la quale ogni slancio etico, ogni istanza civile, ogni volontà di cambiare sono destinati a infrangersi. Mi colpisce che Sciascia definisse «irreligiosa» la vita nazionale; e «religioso», per contro, il «giansenismo antifascista» di quello che fu il più laico dei partiti. Si riferiva, ovviamente, alla religione civile, alla capacità di valutare i propri comportamenti e le proprie scelte sulla base di uno spirito pubblico che è presente, oggi come allora, solo in modica quantità. La rapida estinzione degli azionisti (che oggi i polemisti faciloni definirebbero senza pensarci un attimo “radical chic”) fu una specie di prova provata della scarsa presa che i temi etici esercitano sulle grandi masse. Si usciva dalla guerra, bisognava mettere qualcosa nel piatto, altre urgenze erano assai meno avvertite. In seguito il solo partito di massa che, sia pure con schematismo, e con forte rischio moralistico, fece delle questioni etiche un punto fermo, fu il Partito comunista. Che scomparve per altre ragioni (il quadro politico internazionale) ma di buono ha lasciato l’idea che non possa esistere progresso civile senza onestà e sobrietà. L’austerità di Berlinguer. Il discorso, ovviamente, è lungo e complicato. Possiamo limitarci a dire due cose, certi di non sbagliare. La prima è che l’antifascismo ha perso. Non è una ragione che possa fare seriamente breccia nel grosso dell’elettorato, indifferente a quel tema. La seconda è che le élite, ieri come allora, sono seriamente disconnesse dagli umori popolari; e per altro gli umori popolari non sono generalmente sensibili a temi etico-politici che possano mettere a repentaglio i propri comodi. Per esempio: l’impopolarità delle tasse è direttamente proporzionale all’impopolarità dello Stato. Gridate per le strade “meno tasse”, e sarete votati. Che aggiungere? Che le élite democratiche, da Parri a oggi, hanno la puzza sotto il naso? Oppure che il compito delle élite è dire, senza farsi troppe domande sul proprio ruolo, che la misurazione della puzza è questione oggettiva, basta possedere un naso? Ognuno risponde secondo la propria opinione e la propria coscienza.

“Il Berlusconi che non è in noi”, testo di Barbara Spinelli pubblicato sul “longform” - “Noi non dimentichiamo” - de’ “il Fatto Quotidiano” del 18 di giugno ultimo: Vale la pena prendere le distanze dal lutto nazionale, quando canuti rappresentanti dell’establishment giornalistico e arcivescovi confusamente riluttanti evocano con frasi piene di caritatevole delicatezza, e di nostalgia, l’epoca della propria bella gioventù all’ombra di Berlusconi. Come se rendessero segreto omaggio a quella gioventù, più che al defunto. Hanno preso le distanze Rosy Bindi e poi Tomaso Montanari, unico a rifiutare la bandiera a mezz’asta nella propria università. Si è rifiutato di partecipare alle esequie Giuseppe Conte, unico leader a tenersi alla larga da quello che ha chiamato, correttamente, il “parossismo celebrativo” dei giorni scorsi. C’è stato chi, inarcando sdegnoso le sopracciglia, gli ha ricordato che Almirante andò alle esequie di Berlinguer. Come se il paragone avesse senso. Come se tutti dovessimo per forza temere il famoso “Berlusconi in noi”. Di Berlusconi si ricordano le gesta, ma selettivamente. Si trascura l’essenziale, e cioè come si arricchì, da bancarottiere che era, accumulando immani ricchezze. Si tacciono i patti con la mafia, stretti dal 1974 al 1992 da Dell’Utri, in suo nome (sentenza definitiva della Cassazione, 2014). Si parla di come sdoganò l’estrema destra, prima che Fini ripudiasse il fascismo, ma si tace su ben più cruciali e ramificati sdoganamenti, che hanno trasformato antropologicamente l’Italia. Nel vocabolario Treccani sdoganare significa, per estensione, rendere socialmente accettabile un comportamento precedentemente condannato, censurato. Berlusconi ha reso oggi del tutto accettabili: l’ingresso in politica come arte per far soldi; la corruzione e l’abuso d’ufficio come peccatucci veniali (il disegno di legge annunciato il giorno dei funerali cancella l’abuso); la libertà di voto degradata a elezionismo e arbitrariamente equiparata alla democrazia costituzionale. È stata poi sdoganata la menzogna continua: l’improponibile caccia agli scafisti in tutto “l’orbe terracqueo” promessa da Meloni, o il “piano Mattei” per l’Africa (espressione non identificata della sua neolingua). E soffriamo ancor oggi lo sdoganamento di parole incompatibili con la democrazia: gli oppositori e giornalisti critici ribattezzati odiatori o invidiosi cultori della gogna; le carriere politiche narrate come epica rivincita dei reietti (underdog). Meloni vede in Berlusconi, all’inizio un underdog come lei, il precursore della propria ascesa. Berlusconi è il signore che ci ha fatto divenire, e apparire, peggiori. Ha sdoganato il peggio e ce l’ha lasciato. Dissociarsi da tutto ciò vale la pena, ma sapendo che la dissociazione va usata cum grano salis, non dimenticando come Berlusconi fu spodestato. Non fu scalzato da governi di sinistra, che salvaguardarono l’insieme di leggi escogitate a difesa dei suoi soldi e del suo potere mediatico. Non l’hanno spodestato i giudici: le condanne son rare, le prescrizioni molte. L’hanno spodestato, nel 2011, l’alta finanza e l’establishment europeo. Quello fu il suo Anno Terribile. Si scatenarono i grandi giornali stranieri: Spiegel in testa, che già l’aveva chiamato Il Padrino. Nel luglio 2011 il settimanale titolava in copertina: “Ciao bella!”. Nel sommario si lesse: “I mercati finanziari internazionali hanno perso la fiducia nell’Italia. Dopo 17 anni di Berlusconi il Paese è pesantemente indebitato e maturo per un cambio di governo. Uno dei Paesi fondatori dell’UE appare paralizzato dall’incapacità del suo premier, occupato innanzitutto dai suoi affari personali”. Sotto tiro era anche la sua politica russa. Il 16 novembre il potere passava a Mario Monti. Cominciava l’era del sempreverde assioma: “È l’Europa che ce lo chiede!”. Per chi ha investigato crimini e misfatti del leader non è facile identificarsi con l’onda perbenista e atlantista che nel 2011 scippò le battaglie degli investigatori e l’affondò. Non fu forse un golpe – Berlusconi s’è autodistrutto – ma di certo fu un torbido snodo storico che conferma con evidenza brutale la nostra sovranità limitata.

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