Ha scritto Alessandro Robecchi in “Il Fanta-Zelensky. Indovina cosa chiederà
oggi il premier ucraino” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 1° di
febbraio 2023: (…). In attesa degli sviluppi militari (non entro nelle questioni
belliche) e degli sviluppi della propaganda (non entro nelle polemiche
sanremesi), balza agli occhi una questione generale – diciamo così strutturale
della nostra democrazia – su cui vale la pena riflettere. L’opinione pubblica
sembra scollata, distante, lontanissima dall’opinione dei media. Senti la
gente, guardi i sondaggi e apprendi che la maggioranza degli italiani è
contraria a ulteriori invii di armi in zona di guerra; poi leggi i grandi
giornali, o ascolti un qualunque telegiornale, o notiziario, e la sensazione è
quella opposta: appoggio incondizionato, avanti fino alla vittoria finale,
eccetera, eccetera. Uno scollamento strabiliante, non nuovo ma mai visto in
queste dimensioni, con le storture e le anomalie che ne seguono. La prima,
macroscopica, infantile e un po’ miserabile, l’accusa di “stare con Putin” a
chiunque immagini soluzioni diverse dalla guerra a oltranza; quindi chi
pronuncia parole come “cessate il fuoco” o “trattative” diventa una specie di
Rasputin assetato di sangue alle dipendenze del Cremlino. La seconda, un po’
ridicola, è la voluta confusione storica per cui la Russia (la Russia di Putin,
quel mefitico concentrato di nazionalismo che ha privatizzato le ricchezze del
Paese) sarebbe ancora sovietica quando fa comodo, o imperiale quando fa comodo,
bolscevica se serve, a piacere. Terzo elemento, piuttosto inquietante, la
necessità – data dallo spirito embedded della stragrande maggioranza dei media
– di nascondere accuratamente i limiti, diciamo così, della presunta democrazia
ucraina. Tanto che quando Zelensky fa pulizia di alcuni politici e funzionari
corrotti, pochissimi notano – e tutti tra le righe – che la giustizia in
Ucraina è assoggettata al potere politico, che si sono messi fuori legge partiti,
chiusi giornali, si sono unificate reti televisive e altre cosucce ancora.
“L’Ue insiste da mesi che il sistema giudiziario ucraino sia reso
indipendente”, scrive il Corriere della Sera come en passant, un inciso, un
apostrofo rosa tra le parole: stiamo riempiendo di armi un Paese non Ue che non
ha nemmeno lontanamente i requisiti per entrarci. La sensazione è che ci siano
due opinioni pubbliche: quella dei cittadini, oltre il 50 per cento contrari a
nuovi invii di armi, che conta pochissimo, e quella dell’informazione (vorrei
dire delle élite) che invece è favorevole al 98 per cento e pesa parecchio. Uno
scollamento che è un dato di fatto, non positivo in una democrazia, comunque la
si pensi sulla guerra, sulle armi e su Sanremo. Di seguito, “L’informazione sull’Ucraina è manipolata:
in Russia come in Italia” di Alessandro Orsini, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 20 di settembre dell’anno 2022: Mario Draghi (al tempo, presidente
del Consiglio dei Ministri di quell’Italia fiancheggiatrice nella guerra in
Ucraina n.d.r.) ha affermato che l'Italia è afflitta da un certo numero di "pupazzi
prezzolati" dal Cremlino. Draghi non
ha fatto nomi, né ha esibito alcuna prova a sostegno di un'affermazione così
grave. Il che desta impressione per due motivi principali. Il primo è che Draghi
brama di diventare presidente della Repubblica ed è certamente impressionante
che un uomo che ambisce a occupare il vertice della democrazia italiana lanci
accuse infamanti con tanta leggerezza. Il secondo motivo è che Draghi comanda i
servizi segreti, ai quali potrebbe chiedere di indagare sui presunti
"pupazzi prezzolati". Delle due l'una: o Draghi ha chiesto di indagare
sui suoi oppositori e niente è stato trovato oppure le indagini non sono state
mai condotte e allora Draghi dovrebbe astenersi dal lanciare accuse senza
prove. La volgarità del presidente del Consiglio è perlomeno utile a sollevare
una domanda cruciale per la nostra libertà: "L'informazione in Italia è
più libera dell'informazione in Russia?". Dal momento che le risposte
possono essere molto soggettive, abbiamo bisogno di un metodo per rispondere
con un minimo di oggettività. Ecco il metodo che proponiamo: se, in una
comunità politica coinvolta in una guerra, i media dominanti descrivono i
governanti come esseri perfetti e infallibili, allora l'informazione in quella
società non è veramente libera. La Tass, ad esempio, sostiene che Putin abbia
sempre ragione e che tutte le colpe della guerra in Ucraina siano
dell'Occidente. E in Italia? Ebbene, accade la stessa cosa. I media dominanti
affermano che Draghi, Biden, Stoltenberg, ma anche l'Ue e la Nato sono senza
colpe. Tutte le colpe - ripetono Repubblica, Corriere e Stampa - sono di Putin
e della Russia. L'Occidente – assicurano questi tre quotidiani - è soltanto
luce, altruismo, amore per la libertà e non-violenza. Contro ogni evidenza
storica, un vice direttore del Corriere arrivò a pronunciare un incredibile:
"La Nato non ha mai fatto la guerra a nessuno". Uguali alle dittature
sono persino gli aggettivi celebrativi scelti da questi giornalisti per
ritrarre il presidente del Consiglio. Draghi è il "migliore" e l’Italia
è persa senza la sua guida. Con una metafora tipica delle dittature, Draghi è
raffigurato come il buon pastore che guida un gregge smarrito. Sono gli stessi
complimenti che venivano tributati all'imperatore Ottaviano e a Mussolini, lo
stesso servilismo e la stessa piaggeria. Tutto questo ci consente di condurre
l'espressione utilizzata da Draghi davanti al tribunale della ragione per chiederci:
"E se i pupazzi prezzolati fossero i sostenitori delle politiche di Draghi
in Ucraina anziché i suoi oppositori?". La logica dell'indagine
scientifico-sociale consente anche altre operazioni concettuali che si
traducono in domande nuove: "Perché non esiste differenza tra il modo in
cui i quotidiani del regime russo ritraggono Putin e il modo in cui i
principali quotidiani italiani ritraggono Draghi?". Nel libro «Ucraina. Critica della
politica internazionale»
(PaperFirst) ho spiegato che l’etnometodologia, l'approccio sociologico fondato
da Harold Garfinkel, ci aiuta a comprendere che la società aperta è una
costruzione basata sulle routine della vita quotidiana sorrette dal senso
comune. Garfinkel, con i suoi esperimenti di rottura, insegna che chiunque
metta in discussione il senso comune suscita reazioni negative intorno a sé.
Mostrare che l'informazione in Italia sulla guerra in Ucraina è manipolata come
in Russia rappresenta una rottura del senso comune che suscita irritazione
anche nel presidente del Consiglio.
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