Tratto da “La
libertà è un diritto, la bestemmia no” di Umberto Galimberti, pubblicato
sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 21 di marzo dell’anno
2015: La premessa sempre necessaria è che nessuna offesa autorizza la
violenza. Detto questo, si deve distinguere tra la laicità, che è un valore, e
l'offesa alle credenze altrui. No, non è assolutamente superfluo dire e
ripetere che la violenza non è mai la risposta giusta, neppure quando è
motivata da un'offesa vera o presunta. Questa affermazione viene prima,
assolutamente prima di ogni considerazione relativa non dico all'opportunità,
ma soprattutto alla legittimità, di fare dell'ironia in ambito religioso, in
nome della libertà di pensiero, di parola e di espressione. E le ragioni sono
facilmente intuibili. La religione è un fenomeno pre-razionale che investe
sentimenti ed emozioni molto radicati in coloro che credono, perché nella
religione essi trovano il fondamento e la radice della propria identità e della
propria appartenenza. La libertà di pensiero, di parola e di espressione sono
conquiste che la cultura occidentale ha guadagnato con grande fatica
emancipandosi, con la Rivoluzione francese, proprio dalla religione che fino
allora aveva governato la vita anche di noi occidentali.
Paradossalmente, questa emancipazione è stata per noi possibile proprio grazie alla nostra religione, perché è stato il cristianesimo a mettere in circolazione nel mondo antico i concetti di libertà ("non devono più esserci né schiavi né padroni"), di uguaglianza ("simo tutti a pari titolo figli di Dio") e di fraternità ("ama il prossimo tuo come te stesso"), che sono poi i valori rivendicati e riproposti in una versione laica dalla Rivoluzione francese. Il risultato è che oggi riconosciamo le radici cristiane dell'Occidente, ma il nostro cristianesimo è così laicizzato che di religioso, e quindi pre-razionale, non ha quasi più nulla. Esserci emancipati dalla religione ed essere approdati alla laicità della ragione, a cui appartiene la libertà di pensiero, di parola e di espressione, io lo considero un valore, perché in ambito razionale ci si può sempre intendere, i conflitti si possono comporre, le distanze ridurre. Cosa che invece non può avvenire se il confronto ha luogo in quell'ambito pre-razionale tipico delle religioni, perché lì le differenze non sono "di posizione", ma "antropologiche", quindi non conoscono mediazioni perché in gioco ci sono le figure pre-razionali dell'identità e dell'appartenenza, con tutto il corredo dei simboli che le consacrano. Non a caso le guerre di religione sono le più tremende e le distanze religiose più abissali di quelle ideologiche, economiche e di qualsiasi genere che si possa comporre per via razionale. Da tutto ciò discende che, come la libertà di ognuno di noi ha il suo limite nel diritto all'esercizio della libertà dell'altro, così la nostra libertà di pensiero, di parola e di espressione, in cui riconosciamo uno dei valori della nostra identità occidentale, non può in alcun modo offendere i sentimenti religiosi in cui altre culture riconoscono la loro identità e la loro appartenenza. Altrimenti anche il nostro laicismo, che ci ha emancipato da quello sfondo pre-razionale proprio delle religioni, si colora di fondamentalismo.
Paradossalmente, questa emancipazione è stata per noi possibile proprio grazie alla nostra religione, perché è stato il cristianesimo a mettere in circolazione nel mondo antico i concetti di libertà ("non devono più esserci né schiavi né padroni"), di uguaglianza ("simo tutti a pari titolo figli di Dio") e di fraternità ("ama il prossimo tuo come te stesso"), che sono poi i valori rivendicati e riproposti in una versione laica dalla Rivoluzione francese. Il risultato è che oggi riconosciamo le radici cristiane dell'Occidente, ma il nostro cristianesimo è così laicizzato che di religioso, e quindi pre-razionale, non ha quasi più nulla. Esserci emancipati dalla religione ed essere approdati alla laicità della ragione, a cui appartiene la libertà di pensiero, di parola e di espressione, io lo considero un valore, perché in ambito razionale ci si può sempre intendere, i conflitti si possono comporre, le distanze ridurre. Cosa che invece non può avvenire se il confronto ha luogo in quell'ambito pre-razionale tipico delle religioni, perché lì le differenze non sono "di posizione", ma "antropologiche", quindi non conoscono mediazioni perché in gioco ci sono le figure pre-razionali dell'identità e dell'appartenenza, con tutto il corredo dei simboli che le consacrano. Non a caso le guerre di religione sono le più tremende e le distanze religiose più abissali di quelle ideologiche, economiche e di qualsiasi genere che si possa comporre per via razionale. Da tutto ciò discende che, come la libertà di ognuno di noi ha il suo limite nel diritto all'esercizio della libertà dell'altro, così la nostra libertà di pensiero, di parola e di espressione, in cui riconosciamo uno dei valori della nostra identità occidentale, non può in alcun modo offendere i sentimenti religiosi in cui altre culture riconoscono la loro identità e la loro appartenenza. Altrimenti anche il nostro laicismo, che ci ha emancipato da quello sfondo pre-razionale proprio delle religioni, si colora di fondamentalismo.
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