Ha
scritto Enrico Fierro in “Sanità
spolpata: prima si taglia, poi l’esercito arriva in strada” pubblicato su
“il Fatto Quotidiano” del 23 di marzo 2020: «(…). 37 miliardi, stampiamocela
in testa questa cifra, tanto in dieci anni hanno tagliato alla salute degli
italiani. (…). Oggi servono letti per la rianimazione. Li avete cancellati. Nel
1980 avevamo 922 posti per ogni centomila abitanti in questi reparti, nel 2010
sono diventati 300, nel 2015 275. Mancano medici e infermieri. Lo dite ora,
dove eravate quando in soli otto anni (dal 2009 al 2017) la sanità pubblica ne
perdeva 46.500? Ora volete un paese unito. Ed è giusto. Ma detto da voi,
artefici di quella che gli esperti chiamano la “salute diseguale”, fa rabbia.
Negli ultimi dieci anni il Sud ha perso 70mila posti letto, molte regioni non
sono in grado di assicurare i livelli minimi di assistenza. (…)». Tratto
da “Un virus anti-democratico e i
sacrifici li fa l’operaio”, intervista di Antonello Caporale a Fausto
Bertinotti pubblicata su “il Fatto Quotidiano” del 23 di marzo 2020: “Il
virus è una grande lente di ingrandimento sulla società. E conduce l’occhio nei
luoghi che non vedevamo più, impone l’attenzione sulle questioni che erano
state abbandonate in un cassetto, ci fa avanzare domande che fino a ieri
avevamo ritenute superate”.
(…). Ci voleva una catastrofe sanitaria per ricordarci
che il welfare non è spreco. “Non uso la parola catastrofe, meglio definire
quel che ci sta capitando «l’evento». E certo questo drammatico evento produce
ravvedimenti operosi che a un uomo di sinistra come me dovrebbero far
rallegrare. Eppure la strada è lunga e anche piuttosto incerta”.
Il virus almeno ci obbliga a capire che sanità e
assistenza sociale non sono voci di spesa inutile. “È una rivalutazione del
keynesismo, diciamo così. E questo dovrebbe far riflettere le politiche
sciagurate nel tempo di un capitalismo selvaggio che imponeva continue spending
review, e accreditava come buon governo quel salasso prodotto ai ceti deboli, a
coloro che nel Novecento chiamavamo la classe operaia, al proletariato, uso
volentieri questa parola antica”.
Dovevamo giungere a un punto così estremo? “Mi faccia
ricordare Marx che ci spiegava: “Se la lotta di classe
non dà luogo a una civiltà superiore allora si giunge alla catastrofe”. E
purtroppo dobbiamo notare, (ora uso le parole di De Rita), che in questa
società destrutturata vive il popolo della sabbia. Tanti individui come tanti
granelli che non riescono a formare un insieme solido”.
Il popolo è sabbia non mattone. “Iniziamo da una
considerazione sull’oggi: le politiche di austerity hanno pregiudicato le
capacità di reazione della società a un evento così misterioso e letale. Il
sistema sanitario non regge l’ondata della malattia, si piega nonostante sforzi
eroici del suo personale. Il virus è penetrato nel fondo dei nostri corpi, e
ogni giorno facciamo l’amara conta di chi lascia la vita, perché le difese
sociali sono state ridotte al lumicino. Quanto è grande la responsabilità delle
politiche governative, quanto è potente la denuncia, inascoltata, contro quelle
misure che devastavano, destrutturavano, liquefacevano i piloni che avrebbero
dovuto sorreggere uno sviluppo compatibile, sostenibile, gestibile della
produzione con il lavoro? Questo io chiedo”.
Ogni crisi, quando è così drammatica, spinge però gli uomini a ritrovare spunti di solidarietà, a mettere in comune la fatica e anche la paura, a farsi forza, a sacrificarsi per l’altro. Si rallegra almeno di questa improvvisa venatura socialisteggiante della società? “Vorrei tanto che fosse così. Certo l’esempio dei medici, il loro sacrificio, l’assoluta abnegazione fino alla morte sono dimostrazioni che esiste un valore, il dovere della solidarietà, non smarrito. E anche i canti sui balconi, quel sentimento di sano patriottismo, quell’orgoglio che pure unisce, sono ritratti importanti. Segnano la civiltà e la maturità di un popolo. Penso però che la strada da percorrere sia ancora lunga”.
A parte gli operatori sanitari, chi va al lavoro, chi
è costretto a sfidare quotidianamente il virus, fa parte in prevalenza della
classe meno abbiente. Operai, camionisti, cassiere, riders, magazzinieri. In
casa – oltre ai disoccupati – resta chi, in prevalenza, fa un lavoro più
qualificato. I deboli spingono la carretta e i forti aspettano di essere
trainati? “È indubbiamente così. Gli addetti ai lavori più faticosi e meno
retribuiti sono costretti a lavorare anche in queste giornate così pericolose.
Naturalmente esistono le eccezioni, ma il virus, come lente di ingrandimento,
aiuta appunto a cogliere la distanza della società alta da quella bassa.
Distanze che sono sempre più consistenti perché il processo di destrutturazione
ha avuto tempo di scendere in profondità”.
Il virus mina i corpi. Ma infetta anche la democrazia?
Questa compressione progressiva dei diritti, l’assenza del Parlamento, la
richiesta di autorità, i limiti alle nostre libertà fondamentali…. “La
democrazia è un corpo malato e similmente al fisico dei più fragili, dei più
deboli, che sono gli anziani, subisce l’aggressione dello stato di emergenza”.
Il paradosso è che in tanti anelano a provvedimenti
ancor più restrittivi, e il modello cinese, Stato autoritario e verticale, è
assai applaudito. “Una democrazia forte è in grado di fare scelte coraggiose e
dure ed è in grado di scegliere, di indicare la via anche nelle ore più buie
come questa. Ma lei vede nel mondo leader capaci, autorevoli, lungimiranti?
Ascolta una parola che la induca al pensiero, alla riflessione? Macron,
Johnson, non parliamo di Trump, men che meno di Putin? Questi i leader sulla
scena. E le loro dichiarazioni resistono il tempo dell’istante. Un’ora dicono e
l’ora successiva capovolgono il loro pronunciamento senza nemmeno curarsi di
renderne conto. Ho letto il discorso alla nazione di Macron. Tranquillamente ha
annunciato che tutte le riforme approvate in tema di pensioni e altro sono
sospese per via dell’emergenza. Ma come? Ha dimenticato che contro le sue
riforme si è scagliato un intero popolo? I gilet gialli chi erano? Niente,
neanche un accenno. Le ha cancellate con un colpo di tosse, un soffio di vento,
come se nei mesi precedenti non avesse illustrato e definito il copione
opposto”. (…).
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