Tratto
da “Cerchiamo la cura per restare umani”
di Alessandro Bergonzoni, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 4 di marzo
2020: Quanto costa mantenere la calma in questo momento? Ma soprattutto
mantenere controllo, lucidità, equilibrio? Di più o di meno che mantenere un
figlio o una famiglia? Abbiamo più tempo per pensare perché molte cose non le
possiamo più o ancora fare. Allora meditiamo, cominciamo in silenzio a pensare
in largo a collegarci e a collegare i casi o, meglio ancora, il caso come se
esistesse, perché tutto ha un senso, anche questa “epidemia”.
Tutto inficia tutto, tutto è connesso legato e ci fa capire, vedere, intuire, sapere. Stanno monitorando i casi di coronavirus tra i carcerati, i più costretti alla vicinanza coatta, obbligati a non avere certo lo spazio di due metri previsto per sicurezza tra gli infetti, perché molte celle stesse sono di due metri e poco più. Colleghiamola allora quest’idea di spazio, questo concetto di sicurezza, di profilassi in quei luoghi di detenzione per unirci così ad un mondo che adesso ci somiglia di più: basti pensare all’idea di quarantena e di isolamento tutte parole che acquistano un nuovo valore un senso altro che ci fa toccare con mano almeno metaforicamente cosa significa la privazione delle libertà di base. Continuiamo a pensare largo con similitudini iperboliche e surreali ma anche più reali che mai: i porti aperti per i migranti che di spazio nelle loro traversate non ne hanno per nulla che appena arrivano sono sottoposti a controlli ulteriori e di nuovo separati, altra parola comune a tanti in questo momento. Fuggono dalle guerre e dalla fame, due epidemie concrete e fuori controllo da anni ora più accentuate che mai dall’arrivo dei profughi provenienti dalla Turchia. Migrazioni contagiose, epidemia di terrore che non ha un vaccino e non lo avrà forse mai fino a quando non capiremo che stiamo per finire tutti nella stessa zona rossa, nera o bianca. C’entra la sanità o la difesa, il diritto internazionale o la giustizia, la cultura o il turismo? Non vediamo come ogni concetto dato per scontato spande si allarga e allaga tutto. Ora a “noi” non è concesso andare in altre nazioni e non si sa per quanto gli aeroporti resteranno chiusi: davvero non sentiamo una somiglianza con i porti, non avvertiamo un senso di condivisione, per quanto lato e differenziato, ma in una certa maniera identico? Ancora: scuole chiuse che per molti ragazzi significano vacanza, non ci ricordano zone del mondo dove l’istruzione è cancellata dalla povertà e dalla mancanza di mezzi? La paura di rimanere senza cibo e senza acqua, fobia esagerata che ci ha colpito per alcuni giorni, non rimanda alla mente popolazioni che di questa paura si alimentano e ci muoiono realmente? Non poter pregare insieme nelle “nostre” chiese a porte chiuse non chiama a raccolta tutti quei fedeli del mondo che non possono pregare il loro Dio perché nella terra sbagliata? L’Africa ha chiesto che non si viaggi nel suo continente: non fa pensare a qualcosa che mai prima d’ora era successo? Come possiamo non sentire da tutto questo che il mondo, l’universo sta mandandoci dei segnali di cambio di dimensione, di visione? È troppo limitante vivere nella paura per questo momento di emergenza senza portare sulla pelle un altro tipo di contagio “positivo” che è frutto di nuove verosimiglianze, nuove esperienze di combinazioni sovrumane, nuove vie. Certo cominciamo a temere più o meno giustamente per la nostra economia, per il mondo del lavoro, per le nostre finanze, ma non è più cocente e virulento il dover domandarsi come tutto questo coesista con il resto? Le regioni hanno le loro ragioni, le nazioni le loro nozioni di turismo, scambio, commercio libero e moderno, ma è possibile fare studi e previsioni a prescindere da quanto ancora dobbiamo discernere sull’idea di geografie mentali, di popoli, di cura, di guarigione, di vita? Vita che contempla la morte: che terrore abbiamo ancora di questa parola, quanta negazione, quanta scaramanzia, quanto falso pudore se non usato per censire percentuali, statistiche, numeri e mai essenza, coscienza, sapere. Siamo dispiaciuti se non arrabbiati per la forse giusta e momentanea chiusura del mondo della cultura: quanta arte distrutta, nascosta, violata e vietata nel pianeta a causa di altre malattie dell’umano contro l’umano. Quanti artisti sulla terra sono messi a tacere, quanta informazione è castigata e uccisa? Siamo invitati grazie al coronavirus non nelle televisioni avvoltoie o sui social sciacalli ma al più presto in tutte le piazze del mondo ad un nuovo infinito tavolo delle trattative con le scienze, le religioni, le culture, le economie. Ma sotto altre vesti, con altri ruoli, altre predisposizioni, vere e proprie mutazioni: diventando noi ricercatori di una nuova idea di terapia e di intensivo, di medico e di risorse, di contaminato e di salvo. E questo a prescindere dai protocolli più o meno adatti, a prescindere da cosa si deve fare per arginare il problema, da cosa deciderà la medicina. Ma c’è altro dietro tutto questo. E mi interessa molto di più perché allarga le nostre libertà riducendo condizionamenti e pregiudizi e non solo verso la Cina ma verso ogni essere. In attesa anche della riapertura dei nostri caratteri, dei nostri ideali, delle nostre anime aspetto un cartello gigante che sovrasti i nostri cieli: attenzione valori in corso.
Tutto inficia tutto, tutto è connesso legato e ci fa capire, vedere, intuire, sapere. Stanno monitorando i casi di coronavirus tra i carcerati, i più costretti alla vicinanza coatta, obbligati a non avere certo lo spazio di due metri previsto per sicurezza tra gli infetti, perché molte celle stesse sono di due metri e poco più. Colleghiamola allora quest’idea di spazio, questo concetto di sicurezza, di profilassi in quei luoghi di detenzione per unirci così ad un mondo che adesso ci somiglia di più: basti pensare all’idea di quarantena e di isolamento tutte parole che acquistano un nuovo valore un senso altro che ci fa toccare con mano almeno metaforicamente cosa significa la privazione delle libertà di base. Continuiamo a pensare largo con similitudini iperboliche e surreali ma anche più reali che mai: i porti aperti per i migranti che di spazio nelle loro traversate non ne hanno per nulla che appena arrivano sono sottoposti a controlli ulteriori e di nuovo separati, altra parola comune a tanti in questo momento. Fuggono dalle guerre e dalla fame, due epidemie concrete e fuori controllo da anni ora più accentuate che mai dall’arrivo dei profughi provenienti dalla Turchia. Migrazioni contagiose, epidemia di terrore che non ha un vaccino e non lo avrà forse mai fino a quando non capiremo che stiamo per finire tutti nella stessa zona rossa, nera o bianca. C’entra la sanità o la difesa, il diritto internazionale o la giustizia, la cultura o il turismo? Non vediamo come ogni concetto dato per scontato spande si allarga e allaga tutto. Ora a “noi” non è concesso andare in altre nazioni e non si sa per quanto gli aeroporti resteranno chiusi: davvero non sentiamo una somiglianza con i porti, non avvertiamo un senso di condivisione, per quanto lato e differenziato, ma in una certa maniera identico? Ancora: scuole chiuse che per molti ragazzi significano vacanza, non ci ricordano zone del mondo dove l’istruzione è cancellata dalla povertà e dalla mancanza di mezzi? La paura di rimanere senza cibo e senza acqua, fobia esagerata che ci ha colpito per alcuni giorni, non rimanda alla mente popolazioni che di questa paura si alimentano e ci muoiono realmente? Non poter pregare insieme nelle “nostre” chiese a porte chiuse non chiama a raccolta tutti quei fedeli del mondo che non possono pregare il loro Dio perché nella terra sbagliata? L’Africa ha chiesto che non si viaggi nel suo continente: non fa pensare a qualcosa che mai prima d’ora era successo? Come possiamo non sentire da tutto questo che il mondo, l’universo sta mandandoci dei segnali di cambio di dimensione, di visione? È troppo limitante vivere nella paura per questo momento di emergenza senza portare sulla pelle un altro tipo di contagio “positivo” che è frutto di nuove verosimiglianze, nuove esperienze di combinazioni sovrumane, nuove vie. Certo cominciamo a temere più o meno giustamente per la nostra economia, per il mondo del lavoro, per le nostre finanze, ma non è più cocente e virulento il dover domandarsi come tutto questo coesista con il resto? Le regioni hanno le loro ragioni, le nazioni le loro nozioni di turismo, scambio, commercio libero e moderno, ma è possibile fare studi e previsioni a prescindere da quanto ancora dobbiamo discernere sull’idea di geografie mentali, di popoli, di cura, di guarigione, di vita? Vita che contempla la morte: che terrore abbiamo ancora di questa parola, quanta negazione, quanta scaramanzia, quanto falso pudore se non usato per censire percentuali, statistiche, numeri e mai essenza, coscienza, sapere. Siamo dispiaciuti se non arrabbiati per la forse giusta e momentanea chiusura del mondo della cultura: quanta arte distrutta, nascosta, violata e vietata nel pianeta a causa di altre malattie dell’umano contro l’umano. Quanti artisti sulla terra sono messi a tacere, quanta informazione è castigata e uccisa? Siamo invitati grazie al coronavirus non nelle televisioni avvoltoie o sui social sciacalli ma al più presto in tutte le piazze del mondo ad un nuovo infinito tavolo delle trattative con le scienze, le religioni, le culture, le economie. Ma sotto altre vesti, con altri ruoli, altre predisposizioni, vere e proprie mutazioni: diventando noi ricercatori di una nuova idea di terapia e di intensivo, di medico e di risorse, di contaminato e di salvo. E questo a prescindere dai protocolli più o meno adatti, a prescindere da cosa si deve fare per arginare il problema, da cosa deciderà la medicina. Ma c’è altro dietro tutto questo. E mi interessa molto di più perché allarga le nostre libertà riducendo condizionamenti e pregiudizi e non solo verso la Cina ma verso ogni essere. In attesa anche della riapertura dei nostri caratteri, dei nostri ideali, delle nostre anime aspetto un cartello gigante che sovrasti i nostri cieli: attenzione valori in corso.
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