Lo riconosco. Devo un immenso “grazie”
che non finirà mai e poi mai al grande, indimenticabile Umberto Eco. Lo devo
per lo spunto iniziale, per la battuta facile, che in tante occasioni, dovendo
parlare del leggere e/o dei libri, ho potuto avere utilizzando il Suo
straordinario neologismo “libridinoso”, ovvero di chi ha un
rapporto particolare con i libri, quasi a volerne essere una loro parte nel
profondo anche della loro struttura fisica più intima, tanto da desiderarne
sempre il fisico contatto e desiderosi alquanto e sempre d’inalare quell’odore
particolare che da essi si espande, come sublime delicato olezzo, allorquando
si proceda alla loro prima sfogliatura. Sarà pure una deviazione della mente, ché
le vie della mente umana sono sempre impreviste ed imprevedibili, ma il
possesso dei libri, la loro custodia, il piacere intimo di saperli riposti in
quel tal luogo, su quel preciso scaffale, ha un profondo effetto di
soddisfazione nel “libridinoso” conclamato e riconosciuto. Devo purtroppo
ammettere di fare parte della schiera, ritengo ben nutrita, dei “libridinosi”.
Si era certamente già capito. E quante volte mi sono visto costretto
all’acquisto di un altro volume dello stesso titolo da dare in prestito a
seguito di una imprudente richiesta di lettura. Tale è la condizione umana del “libridinoso”.
Ritrovo tra le mie carte un “pezzo” veramente straordinario del grande Umberto Eco, pezzo che ha per titolo "Leggo dunque sono". Il pezzo risale a qualche anno addietro, il 2007 se non erro, ma mi garba riproporlo per l’acutezza dello scrivere del grande semiologo ed al contempo per fare apprezzare ai più la semplificazione sublime che egli riesce a raggiungere anche sui temi più impegnativi. È questa riproposizione del testo di Umberto Eco il mio personale omaggio al primato della lettura tra le tante più elevate attività umane. Quest’ultimo, ovviamente, è un personale mio apprezzamento, apprezzamento che mi sento di accordare alla lettura ed ai libri in quanto il leggere, ed i libri di conseguenza, hanno a che fare con il valore immenso ed insostituibile della memoria della storia umana e di tutto ciò che è stata vita vissuta di cui tenere conto prezioso per costruire un futuro possibilmente meno ferino. Sperando di riuscirci ancora. Ha scritto l’indimenticato Umberto Eco: (…). C’è (…) la biblioclastia. Ci sono tre forme di biblioclastia, la biblioclastia fondamentalista, quella per incuria e quella per interesse. Il biblioclasta fondamentalista non odia i libri come oggetto, ne teme il contenuto e non vuole che altri li legga. È il caso dei roghi o dell’incendio della Biblioteca di Alessandria che (secondo una leggenda che ormai è considerata falsa) fu messa a fuoco da un califfo seguendo il principio che o tutti quei libri dicevano la stessa cosa del Corano e allora erano inutili, o dicevano cose diverse e allora erano dannosi. La biblioclastia per incuria è quella di tante biblioteche italiane, così povere e così poco curate che non di rado diventano luoghi di distruzione del libro; perché c’è un modo di distruggere i libri lasciandoli deperire o facendoli scomparire in penetrali inaccessibili. Il biblioclasta per interesse distrugge i libri perché vendendoli a pezzi ne ricava molto più che vendendoli interi. (…). Naturalmente il bibliofilo, anche chi colleziona libri contemporanei, è esposto all’insidia dell’imbecille che ti entra in casa, vede tutti quegli scaffali, e pronuncia: «Quanti libri! Li ha letti tutti?». L’esperienza quotidiana ci dice che questa domanda viene fatta anche da persone dal quoziente intellettivo più che soddisfacente. Di fronte a questo oltraggio esistono, a mia scienza, tre risposte standard. La prima blocca il visitatore e interrompe ogni rapporto, ed è: «Non ne ho letto nessuno, altrimenti perché li terrei qui?». Essa però gratifica l’importuno solleticando il suo senso di superiorità e non vedo perché si debba rendergli questo favore. La seconda risposta piomba l’importuno in uno stato d’inferiorità e suona: «Di più, signore, molti di più!». La terza è una variazione della seconda e la uso quando voglio che il visitatore cada in preda a doloroso stupore. «No - gli dico -, quelli che ho già letto li tengo all’università, questi sono quelli che debbo leggere entro la settimana prossima». Visto che la mia biblioteca conta 50 mila volumi, l’infelice cerca soltanto di anticipare il momento del commiato, adducendo improvvisi impegni. Quello che l’infelice non sa è che la biblioteca non è solo il luogo della tua memoria, dove conservi quel che hai letto, ma il luogo della memoria universale, dove un giorno, nel momento fatale, potrai trovare quelli che altri hanno letto prima di te. È un repositorio dove al limite tutto si confonde e genera una vertigine, un cocktail della memoria dotta. (…). C’è gente che, arrivata alla fine della propria vita, dopo aver fatto ogni giorno le stesse cose, si guarda indietro e non gli pare neppure di essere stata al mondo. Tutto è passato spaventosamente in fretta. Pensate invece a una giornata o a una settimana in cui vi sono accadute moltissime cose, una dietro l’altra, tutte emozionanti (sia che fossero gioie o che fossero fastidi, o dolori): ricorderete ore o giorni pieni, avrete l’impressione di avere vissuto moltissimo. Io credo che questa sia una delle ragioni per cui gli uomini si sono dedicati sempre a ricostruire il passato, sia per bocca dei vecchi che raccontavano intorno al fuoco, sia attraverso i libri. Qualcuno che, insieme ai suoi ricordi personali, abbia anche la memoria di quel giorno che fu assassinato Giulio Cesare, o della battaglia di Waterloo, ricorda più cose di chi non sa nulla di quello che è accaduto agli altri. Un libro ci consente di vivere più e più intensamente di quelle poche decine di anni che la biologia ci consente. Rispetto a chi non legge io sono più vecchio di Matusalemme.
Ritrovo tra le mie carte un “pezzo” veramente straordinario del grande Umberto Eco, pezzo che ha per titolo "Leggo dunque sono". Il pezzo risale a qualche anno addietro, il 2007 se non erro, ma mi garba riproporlo per l’acutezza dello scrivere del grande semiologo ed al contempo per fare apprezzare ai più la semplificazione sublime che egli riesce a raggiungere anche sui temi più impegnativi. È questa riproposizione del testo di Umberto Eco il mio personale omaggio al primato della lettura tra le tante più elevate attività umane. Quest’ultimo, ovviamente, è un personale mio apprezzamento, apprezzamento che mi sento di accordare alla lettura ed ai libri in quanto il leggere, ed i libri di conseguenza, hanno a che fare con il valore immenso ed insostituibile della memoria della storia umana e di tutto ciò che è stata vita vissuta di cui tenere conto prezioso per costruire un futuro possibilmente meno ferino. Sperando di riuscirci ancora. Ha scritto l’indimenticato Umberto Eco: (…). C’è (…) la biblioclastia. Ci sono tre forme di biblioclastia, la biblioclastia fondamentalista, quella per incuria e quella per interesse. Il biblioclasta fondamentalista non odia i libri come oggetto, ne teme il contenuto e non vuole che altri li legga. È il caso dei roghi o dell’incendio della Biblioteca di Alessandria che (secondo una leggenda che ormai è considerata falsa) fu messa a fuoco da un califfo seguendo il principio che o tutti quei libri dicevano la stessa cosa del Corano e allora erano inutili, o dicevano cose diverse e allora erano dannosi. La biblioclastia per incuria è quella di tante biblioteche italiane, così povere e così poco curate che non di rado diventano luoghi di distruzione del libro; perché c’è un modo di distruggere i libri lasciandoli deperire o facendoli scomparire in penetrali inaccessibili. Il biblioclasta per interesse distrugge i libri perché vendendoli a pezzi ne ricava molto più che vendendoli interi. (…). Naturalmente il bibliofilo, anche chi colleziona libri contemporanei, è esposto all’insidia dell’imbecille che ti entra in casa, vede tutti quegli scaffali, e pronuncia: «Quanti libri! Li ha letti tutti?». L’esperienza quotidiana ci dice che questa domanda viene fatta anche da persone dal quoziente intellettivo più che soddisfacente. Di fronte a questo oltraggio esistono, a mia scienza, tre risposte standard. La prima blocca il visitatore e interrompe ogni rapporto, ed è: «Non ne ho letto nessuno, altrimenti perché li terrei qui?». Essa però gratifica l’importuno solleticando il suo senso di superiorità e non vedo perché si debba rendergli questo favore. La seconda risposta piomba l’importuno in uno stato d’inferiorità e suona: «Di più, signore, molti di più!». La terza è una variazione della seconda e la uso quando voglio che il visitatore cada in preda a doloroso stupore. «No - gli dico -, quelli che ho già letto li tengo all’università, questi sono quelli che debbo leggere entro la settimana prossima». Visto che la mia biblioteca conta 50 mila volumi, l’infelice cerca soltanto di anticipare il momento del commiato, adducendo improvvisi impegni. Quello che l’infelice non sa è che la biblioteca non è solo il luogo della tua memoria, dove conservi quel che hai letto, ma il luogo della memoria universale, dove un giorno, nel momento fatale, potrai trovare quelli che altri hanno letto prima di te. È un repositorio dove al limite tutto si confonde e genera una vertigine, un cocktail della memoria dotta. (…). C’è gente che, arrivata alla fine della propria vita, dopo aver fatto ogni giorno le stesse cose, si guarda indietro e non gli pare neppure di essere stata al mondo. Tutto è passato spaventosamente in fretta. Pensate invece a una giornata o a una settimana in cui vi sono accadute moltissime cose, una dietro l’altra, tutte emozionanti (sia che fossero gioie o che fossero fastidi, o dolori): ricorderete ore o giorni pieni, avrete l’impressione di avere vissuto moltissimo. Io credo che questa sia una delle ragioni per cui gli uomini si sono dedicati sempre a ricostruire il passato, sia per bocca dei vecchi che raccontavano intorno al fuoco, sia attraverso i libri. Qualcuno che, insieme ai suoi ricordi personali, abbia anche la memoria di quel giorno che fu assassinato Giulio Cesare, o della battaglia di Waterloo, ricorda più cose di chi non sa nulla di quello che è accaduto agli altri. Un libro ci consente di vivere più e più intensamente di quelle poche decine di anni che la biologia ci consente. Rispetto a chi non legge io sono più vecchio di Matusalemme.
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