Tratto
da "È come lo shock petrolifero del
'73: al 50% sarà recessione globale", intervista di Eugenio Occorsio a
Kenneth Rogoff – economista ad Harvard – pubblicata sul settimanale “A&F”
del quotidiano “la Repubblica” del 2 di marzo 2020:
“Ad oggi direi che c'è il 50% di probabilità di recessione mondiale. Ma è presto per dirlo e potrebbe andare anche peggio, perché moltissimo danno è stato già apportato ed è quindi un fatto oggettivo, ma non sappiamo quanto altro ne verrà". (…). Qui in America, come posso immaginare in Europa, non si parla d'altro, nei circoli accademici, in quelli politici, sui giornali, in tv".
“Ad oggi direi che c'è il 50% di probabilità di recessione mondiale. Ma è presto per dirlo e potrebbe andare anche peggio, perché moltissimo danno è stato già apportato ed è quindi un fatto oggettivo, ma non sappiamo quanto altro ne verrà". (…). Qui in America, come posso immaginare in Europa, non si parla d'altro, nei circoli accademici, in quelli politici, sui giornali, in tv".
Un'epidemia che ha colpito già 82mila persone in 48
Paesi uccidendone quasi tremila è in sé una tragedia. E l'economia? "Come
avete visto il Dow Jones ha già sfondato ampiamente al ribasso la quota del 10%
dai massimi di inizio febbraio, che convenzionalmente indica una correzione
significativa. Sicuramente la stima del Fmi che ha tagliato di appena lo 0,10%
la crescita mondiale prevista per il 2020 portandola dal 3,1 al 3% è del tutto
superata".
Ma quando dice "recessione globale" intende
una crescita sotto lo zero? "No, secondo i criteri adottati qualche anno
fa dallo stesso Fondo Monetario si intende già per recessione una crescita
media complessiva del 2,5%. Ma si potrebbe andare di parecchio sotto tale
soglia".
Quali Paesi saranno colpiti più duramente? "Beh,
in Cina si rischia di andare davvero sotto lo zero per l'intero anno. Non puoi
chiudere intere regioni con decine di milioni di abitanti e migliaia di
fabbriche bloccando qualsiasi attività, qualcosa che sembrava impensabile
dovesse mai accadere, e non pagare un conto pesantissimo. Il problema è che la
Cina, come dimostrano i tassi di crescita in diminuzione e i continui tentativi
di stimolo monetario già intrapresi da qualche anno, è arrivata a questa prova
particolarmente vulnerabile e al centro di una transizione ancora incompiuta.
Ciò detto, ha già fatto passi da gigante e conta oggi per il 17% dell'economia
mondiale contro il 3% dei tempi della Sars, nel 2003-2004. Sse questa
catastrofe sanitaria fosse piombata sul Paese quarant'anni fa le conseguenze
sarebbero state ancora peggiori, non ce l'avrebbe fatta".
La guerra dei dazi di cui si era appena conclusa, con
un timing sorprendente, la "Fase 1", l'ha danneggiata? "Certamente,
così come ha danneggiato gli Stati Uniti. Dove pure la crescita rischia di
essere dimezzata, il che getta una luce totalmente nuova sulla campagna
elettorale dando un vantaggio insperato ai democratici, quindi per ora a
Sanders, con tutti gli interrogativi ulteriori che apre l'inconsueta possibile
sfida. Trump, malgrado il suo sbandierato e controverso ottimismo, dopo aver
cavalcato la crescita economica come il cavallo vincente, rischia di arrivare
alle elezioni in quasi-recessione. E con l'aggravante di aver appena tagliato
per motivi di bilancio lo staff delle autorità sanitarie proprio alla voce
"difesa dalle pandemie". È stato un grave errore, oltretutto con
deboli giustificazioni visto che il debito pubblico è comunque aumentato.
Invece il rischio sanitario è fortissimo in un mondo globalizzato, tanto che
sono sicuro che a questa pandemia ne seguiranno altre".
E il resto del mondo, a partire dall'Italia? "Circolano
studi secondo cui se la Lombardia subisse un danno pari al 10% del suo Pil per
un mese e il resto del nord del 5%, ciò equivarrebbe a uno 0,3 di crescita in
meno per l'Italia nell'anno, cioè quasi tutta quella prevista. Ma secondo me
sono valutazioni addrittura ottimistiche. Vista l'imponenza delle misure di
contenimento adottate, dalle quarantene alla chiusura delle attività, potrebbe
andare a finire paradossalmente che si renda necessario allentarle prima ancora
che l'epidemia sia passata perché il danno apportato da queste misure è ancora
peggiore".
Lei è sempre stato particolarmente critico nei
confronti dei Paesi ad alto debito ritenendoli una mina per lo sviluppo
globale. Reggeremo questa nuova sfida? "Sicuramente per l'Italia c'è un
problema in più: in tutto il mondo serviranno ingenti risorse, dal
rafforzamento della sanità e della ricerca pubblica all'incentivo per la
ripartenza delle attività economiche, e i Paesi che potranno attuarle saranno
quelli con maggior spazio fiscale a partire dalla Germania che non a caso in
queste ore (giovedì pomeriggio, ndr) sta mettendo in campo le prime risorse
pubbliche per fronteggiare l'emergenza. Il problema è che servirà nuovo debito,
e vista la mole di quello esistente, questi nuovi fondi da reperire sul mercato
non potranno che essere molto costosi".
Ma le banche centrali non potranno aiutare? Sia la Fed che la Bce, che si riunirà il 12 marzo, hanno già promesso interventi. "Certo, oltre ai governi interverranno le banche centrali, anzi mi sorprende che non lo abbiano ancora fatto. Ma quale spazio di manovra hanno, soprattutto in Europa dove i tassi sono a zero? E poi c'è un elemento fondamentale: questa è una crisi molto più grave di altre perché è soprattutto di offerta e non di domanda, perché chiudono le fabbriche, si bloccano gli uffici pubblici, vengono cancellati eventi piccoli e grandi. Certo, è anche una crisi di domanda perché la fiducia dei consumatori è mortificata, ma questo aspetto è secondario e molto meno grave. Questa crisi è ben diversa da quella del 2008, che era quella sì tutta di domanda: e per la domanda qualcosa si può fare, a partire appunto dagli interventi delle banche centrali. Per trovare un caso simile bisogna andare indietro fino allo choc petrolifero del 1973-74, anche se non c'è una analogia precisa: quanti anni ci sono voluti per recuperare? Per esempio, è molto probabile che ci sia una spinta al rialzo dei prezzi di tutti quei beni la cui catena del valore e della produzione è stata bruscamente interrotta, e l'inflazione potrebbe tornare a essere un problema"
Crede che sia urgente una conferenza internazionale
per cercare di coordinare le azioni? "Francamente, vista anche la
difficoltà di intraprendere azioni comuni in tempi rapidi, sono più urgenti i
summit sanitari in cui gli scienziati, che devono essere l'unico riferimento
per tutti noi, governanti compresi, che esperti non siamo, indichino le azioni
più opportune da prendere".
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