Prima della “letturadeigiornipassati”
di oggi, lettura pubblicata il 4 di marzo dell’anno 2017 ed è tratta da “I tanti colpevoli del fallimento
dell'istruzione” a firma di Umberto Galimberti – sul settimanale “D” del
quotidiano “la Repubblica” - mi garba assai anticiparVi una graziosissima e
gustosissima lettura tratta da “La
gallina volante” – Ugo Guanda editore (2000) – di Paola Mastrocola che è
scrittrice di valore ed è stata insegnante nella scuola pubblica italiana. La
lettura di Paola Mastrocola è stata riportata nel mio volume “I Professori” – AndreaOppureEditore
(2006) – al capitolo VIII che ha per titolo “Ove tanto spesso si ha la sfrenata voglia di fuggirne”, dalla
“scuola” tanto per essere chiari. Ha scritto Paola Mastrocola:
(…). 15,30, collegio docenti. Il preside fa l'appello, tutti che chiacchierano. Il preside prende la parola, tutti che chiacchierano. Il preside dice "Signori per favore…", tutti che chiacchierano più piano. (E io mi perdo il professor Francesco Tanello, per sentire la chiacchiera collettiva dei miei colleghi?). Deve leggerci alcune circolari, il preside; come da ordine del giorno, avete letto? Sì. Il preside ci legge quattro circolari, l'ultima di dodici pagine. Alla fine ci chiede se abbiamo qualcosa da dire. No. (E io mi perdo il professore Francesco Tanello per la prima volta nella mia città, per sentire declamare una trentina di pagine in linguaggio ministerial-scolastico, e nemmeno un'obiezione, o una noterella dei colleghi?). Punto due dell'ordine del giorno: definizione obiettivi didattici per la compilazione della Carta dei servizi. Mi animo. Qui è importante. Qui dirò la mia. Qui finalmente qualcosa di sostanziale. Qui non importa se perdo Tanello. Qui vale la pena: ogni scuola definisce i propri obiettivi e stila una Carta che sarebbe una sorta di autopresentazione, una carta d'identità attraverso cui la scuola dice chi è, cosa vuole, cosa offre di particolare agli allievi e alle famiglie e quindi si distingue dalle altre scuole. Mi piace. Finalmente. Cambierei solo la parola obiettivi. Anche l'aggettivo didattici. Ho una serie di proposte da fare: un corso di retorica ad esempio, secondo lo schema antico inventio-dispositio-elocutio-actio-memoria, cioè lezioni extra (non si chiamano così, Carla, si dice "corsi di approfondimento") per imparare a parlare e a scrivere, l'espressione insomma orale e scritta, i temi e le interrogazioni. Niente di speciale, ma almeno insegnamoglielo a questi ragazzi a parlare e a scrivere, mica tanto di più dobbiamo poi fare, ad esempio, come si parla in pubblico, o almeno come si parla, come si sta in piedi davanti ad un altro che ti ascolta, come si usano gli occhi e le mani, come si fa a catturare l'attenzione, come si crea la suspense, come si sviluppa un'idea, come si apre una digressione, se e quando ci si può o no concedere una digressione, e di che ampiezza e come si ritorna al discorso principale e come si chiude in bellezza. Punto. Ma perché lezioni extra? Non sarebbe proprio questo che la scuola, ogni scuola, dovrebbe insegnare? "… perché obiettivo primario di questa scuola è una formazione didattica seria e compatta degli individui nonché un coinvolgimento adeguato nella realtà quotidiana nazionale e internazionale nel quadro di una…". "Cosa dice?" chiedo al collega compagno di banco. "Legge il punto sedici della Carta dei servizi." Già il punto sedici? E i primi quindici? Sì, mi sono distratta ma non più di tre minuti. Non so perché mi colpisce soprattutto l'espressione "coinvolgimento adeguato": penso a un coinvolgimento "non adeguato" e divento inspiegabilmente triste. Adesso basta, sto attenta. Adesso il preside legge le finalità culturali e educative distinte per area: sono il risultato delle nostre riunioni "per materie". Sì, sto attenta e dirò la mia: - potenziare capacità di espressione orale e scritta- educare all'inquadramento storico dei testi letterari- educare all'analisi formale dei testi letterari- educare alla lettura diretta dei testi letterari. Sto aspettando: null'altro? Allora, vediamo di tradurre: saper parlare, leggere, scrivere e studiare. Non so, mi sembra di aver capito così. Penso con gravità e tristezza al Professor Tanello, al volo dei pennuti da cacciagione. Il preside va avanti: la Carta dei servizi è di trentadue pagine. Mi chiedo come si differenzieranno le altre scuole se la nostra insegna a parlare, leggere, scrivere e studiare. Mi fanno una gran pena le altre scuole: cosa inventeranno mai per superarci, per vincere la nostra terribile concorrenza? Non dirò la mia: mi vergogno dei miei corsi di retorica, in fondo sono perfettamente contenuti nella merce offerta, un'inutile opzione, direi (o futile!). Sto per distrarmi definitivamente sul disegno floreale della camicetta che mi sta seduta davanti, quand'ecco che mi colpiscono ancora alcune parole-tuono, fulminanti: somministrazione test d'ingresso - programmazione educativa - strategie di recupero - percorso formativo - utenti - organismi di controllo - obiettivi didattici - funzioni obiettivo - strumenti di verifica - ta - ta - ta - ta - ta - ta… Non so perché mi vengono in mente i pochi film di guerra che ho visto, le mitragliatrici, i soldati sporchi nelle trincee, tanto, tanto frastuono, di bombe credo, e morti, feriti e sangue. Non so, mi viene uno strano angosciante sentimento di paura. Per poco. I fiori della camicetta della collega mi prendono definitivamente (ma saranno stampati o ricamati?): la distrazione è un'arma e una salvezza insieme, lo dico sempre ai miei allievi. (…). Forti e gratificati dalla lettura della prosa graffiante di Paola Mastrocola si è ora ben disposti a leggere Umberto Galimberti: Prof demotivati, genitori sindacalisti, presidi benevoli: sono i responsabili del trionfo dell'ignoranza. A costo di annoiare le mie lettrici e i miei lettori torno sul problema dell'istruzione dei nostri ragazzi, perché la questione è troppo importante, non solo per loro, ma anche e soprattutto per il futuro del nostro Paese. (…). I ragazzi li abbiamo messi al mondo noi, e precisamente in un mondo dove quel che conta è il successo, il denaro, l'affermazione di sé anche a scapito degli altri. La scuola e la cultura che trasmette dovrebbero almeno prospettare altri valori che relativizzino i primi, facendone apprezzare altri più significativi e interessanti, capaci di gratificare il concetto che ciascuno di questi ragazzi ha di sé. (…). "In un istituto professionale l'attività preponderante è quella di ricostituire un contesto ordinato e non rumoroso (silenzioso è pretendere troppo) in cui tentare di avviare l'attività didattica". Mi (si) lasci dire senza alcuna esitazione che la colpa è di quegli insegnanti che non hanno un'adeguata personalità per stare in una classe o una capacità a conquistarla sul piano emotivo. Di questi insegnanti del tutto inadeguati a ricoprire il loro ruolo, non c'è studente che non abbia fatto esperienza. Per quanto riguarda i genitori sono assolutamente convinto che devono essere lasciati fuori dalla scuola, dopo essere stati malauguratamente introdotti negli anni '70 dei Decreti Delegati del ministro Franco Maria Malfatti, e negli anni '90 ulteriormente legittimati e incoraggiati dal ministro Luigi Berlinguer. La ragione è molto semplice: i genitori non sono interessati tanto alla formazione dei loro figli, quanto alla loro promozione. E perciò dalla scuola primaria all'ultimo anno di scuola superiore fanno i sindacalisti dei figli, contestando le decisioni prima delle maestre e poi dei professori tramite ricorsi al TAR che, per il quieto vivere, finisce per dar ragione ai genitori. A sua volta anche la scuola e i commissari degli esami di Stato, sempre per il quieto vivere, finiscono per promuovere tutti, generando il sospetto, assolutamente fondato, della loro inutilità. I soldi che si potrebbero risparmiare con l'abolizione dell'esame di stato, potrebbero essere impiegati per insegnare l'italiano ai bambini stranieri che s'iscrivono alle nostre scuole. E questo prima di inserirli nelle classi come se già conoscessero la nostra lingua, mentre non capiscono quasi niente, e di conseguenza si demotivano, quando addirittura non si umiliano. Se poi consideriamo che il ministero dell'Istruzione, (…), invita i dirigenti scolastici a promuovere più studenti possibili per evitare l'abbandono scolastico, e i presidi a loro volta invitano i professori ad analogo comportamento per dimostrare il "successo formativo" del loro istituto, qui il cerchio si chiude. Ed è un brutto cerchio, perché segna il trionfo dell'ignoranza, mascherata da diplomi che, alla prova dei fatti, quando ad esempio si scrive un curriculum, mostrano senza inganno la loro falsità. Se a tutto ciò aggiungiamo che i nostri ragazzi avranno come competitori, non i primi della loro classe come un tempo, ma i loro coetanei cinesi e indiani, ci dobbiamo meravigliare se l'Italia e con lei l'Europa, e a guardar bene l'intero Occidente, stanno declinando? Scrivevo nella “introduzione” all’arguta prosa di Paola Mastrocola: (…). …ricordo di un pomeriggio tra i più tediosi della mia vita non solo scolastica, ma personale proprio. Si era all’ascolto di un ispettore del ministero della pubblica istruzione che avrebbe dovuto illuminarci, dall’alto della sua sconfinata abilità nel leggere ed interpretare la miserevole, orrenda, inintelligibile prosa del ministero stesso, sulle questioni più innovative nella nobile arte dell’educare. Ovvero, nell’arte dell’intrattenere, ché questo in fondo è lo spirito che ha pervaso le ultime innovazioni in campo scolastico. Divenire intrattenitori, così come alla Tv. Ma quel buon diavolo di ispettore risultava essere, in quel tedioso pomeriggio, il peggiore di tutti gli intrattenitori di questo pianeta chiamato Terra. E non mi soccorreva la vista del dorso coperto di una collega molto allegramente abbigliata, avendo incautamente occupato un banco nella primissima fila, come si conviene ad un diligente ascoltatore. Tant’è che la pennichella piano piano riusciva ad impossessarsi delle mie falcoltà attentive, con grande mio scorno al timore di essere scoperto del tutto su di un ospitale pianeta dei sogni. Fu necessario allora allertare l’attentività con un banale espediente; mi soccorreva il possedimento di un blocchetto di appunti e di una penna, diligentemente portati appresso. Ma per segnarci cosa? Semplicissimo. Tutte le citazioni del magnifico e sapiente ispettore ministeriale, all’uopo cinicamente richiamate alla nostra non-memoria in quell’assurdo silenzio di quel tedioso pomeriggio scolastico; leggi, circolari, ordinanze, testo unico, e via discorrendo. Sorpresa! All’indomani, verificate sui sacri testi quelle dottissime citazioni che tanta soggezione e meraviglia avevano suscitato nell’uditorio semiaddormentato, scoprimmo, con altri volenterosi e caparbi colleghi, che non una, ma dico una sola di quelle citazioni avesse una pur lontana attinenza con gli argomenti che l’illustre ispettore avrebbe dovuti renderci chiari, al di là di ogni nostro possibile futuro dubbio. Così sono sempre andate e vanno, e mi sorregge in tale affermazione la mia diretta esperienza, le cose nel mondo della scuola; ed oggi ci si interroga sui suoi imprevedibili e calamitosi futuri scenari.
(…). 15,30, collegio docenti. Il preside fa l'appello, tutti che chiacchierano. Il preside prende la parola, tutti che chiacchierano. Il preside dice "Signori per favore…", tutti che chiacchierano più piano. (E io mi perdo il professor Francesco Tanello, per sentire la chiacchiera collettiva dei miei colleghi?). Deve leggerci alcune circolari, il preside; come da ordine del giorno, avete letto? Sì. Il preside ci legge quattro circolari, l'ultima di dodici pagine. Alla fine ci chiede se abbiamo qualcosa da dire. No. (E io mi perdo il professore Francesco Tanello per la prima volta nella mia città, per sentire declamare una trentina di pagine in linguaggio ministerial-scolastico, e nemmeno un'obiezione, o una noterella dei colleghi?). Punto due dell'ordine del giorno: definizione obiettivi didattici per la compilazione della Carta dei servizi. Mi animo. Qui è importante. Qui dirò la mia. Qui finalmente qualcosa di sostanziale. Qui non importa se perdo Tanello. Qui vale la pena: ogni scuola definisce i propri obiettivi e stila una Carta che sarebbe una sorta di autopresentazione, una carta d'identità attraverso cui la scuola dice chi è, cosa vuole, cosa offre di particolare agli allievi e alle famiglie e quindi si distingue dalle altre scuole. Mi piace. Finalmente. Cambierei solo la parola obiettivi. Anche l'aggettivo didattici. Ho una serie di proposte da fare: un corso di retorica ad esempio, secondo lo schema antico inventio-dispositio-elocutio-actio-memoria, cioè lezioni extra (non si chiamano così, Carla, si dice "corsi di approfondimento") per imparare a parlare e a scrivere, l'espressione insomma orale e scritta, i temi e le interrogazioni. Niente di speciale, ma almeno insegnamoglielo a questi ragazzi a parlare e a scrivere, mica tanto di più dobbiamo poi fare, ad esempio, come si parla in pubblico, o almeno come si parla, come si sta in piedi davanti ad un altro che ti ascolta, come si usano gli occhi e le mani, come si fa a catturare l'attenzione, come si crea la suspense, come si sviluppa un'idea, come si apre una digressione, se e quando ci si può o no concedere una digressione, e di che ampiezza e come si ritorna al discorso principale e come si chiude in bellezza. Punto. Ma perché lezioni extra? Non sarebbe proprio questo che la scuola, ogni scuola, dovrebbe insegnare? "… perché obiettivo primario di questa scuola è una formazione didattica seria e compatta degli individui nonché un coinvolgimento adeguato nella realtà quotidiana nazionale e internazionale nel quadro di una…". "Cosa dice?" chiedo al collega compagno di banco. "Legge il punto sedici della Carta dei servizi." Già il punto sedici? E i primi quindici? Sì, mi sono distratta ma non più di tre minuti. Non so perché mi colpisce soprattutto l'espressione "coinvolgimento adeguato": penso a un coinvolgimento "non adeguato" e divento inspiegabilmente triste. Adesso basta, sto attenta. Adesso il preside legge le finalità culturali e educative distinte per area: sono il risultato delle nostre riunioni "per materie". Sì, sto attenta e dirò la mia: - potenziare capacità di espressione orale e scritta- educare all'inquadramento storico dei testi letterari- educare all'analisi formale dei testi letterari- educare alla lettura diretta dei testi letterari. Sto aspettando: null'altro? Allora, vediamo di tradurre: saper parlare, leggere, scrivere e studiare. Non so, mi sembra di aver capito così. Penso con gravità e tristezza al Professor Tanello, al volo dei pennuti da cacciagione. Il preside va avanti: la Carta dei servizi è di trentadue pagine. Mi chiedo come si differenzieranno le altre scuole se la nostra insegna a parlare, leggere, scrivere e studiare. Mi fanno una gran pena le altre scuole: cosa inventeranno mai per superarci, per vincere la nostra terribile concorrenza? Non dirò la mia: mi vergogno dei miei corsi di retorica, in fondo sono perfettamente contenuti nella merce offerta, un'inutile opzione, direi (o futile!). Sto per distrarmi definitivamente sul disegno floreale della camicetta che mi sta seduta davanti, quand'ecco che mi colpiscono ancora alcune parole-tuono, fulminanti: somministrazione test d'ingresso - programmazione educativa - strategie di recupero - percorso formativo - utenti - organismi di controllo - obiettivi didattici - funzioni obiettivo - strumenti di verifica - ta - ta - ta - ta - ta - ta… Non so perché mi vengono in mente i pochi film di guerra che ho visto, le mitragliatrici, i soldati sporchi nelle trincee, tanto, tanto frastuono, di bombe credo, e morti, feriti e sangue. Non so, mi viene uno strano angosciante sentimento di paura. Per poco. I fiori della camicetta della collega mi prendono definitivamente (ma saranno stampati o ricamati?): la distrazione è un'arma e una salvezza insieme, lo dico sempre ai miei allievi. (…). Forti e gratificati dalla lettura della prosa graffiante di Paola Mastrocola si è ora ben disposti a leggere Umberto Galimberti: Prof demotivati, genitori sindacalisti, presidi benevoli: sono i responsabili del trionfo dell'ignoranza. A costo di annoiare le mie lettrici e i miei lettori torno sul problema dell'istruzione dei nostri ragazzi, perché la questione è troppo importante, non solo per loro, ma anche e soprattutto per il futuro del nostro Paese. (…). I ragazzi li abbiamo messi al mondo noi, e precisamente in un mondo dove quel che conta è il successo, il denaro, l'affermazione di sé anche a scapito degli altri. La scuola e la cultura che trasmette dovrebbero almeno prospettare altri valori che relativizzino i primi, facendone apprezzare altri più significativi e interessanti, capaci di gratificare il concetto che ciascuno di questi ragazzi ha di sé. (…). "In un istituto professionale l'attività preponderante è quella di ricostituire un contesto ordinato e non rumoroso (silenzioso è pretendere troppo) in cui tentare di avviare l'attività didattica". Mi (si) lasci dire senza alcuna esitazione che la colpa è di quegli insegnanti che non hanno un'adeguata personalità per stare in una classe o una capacità a conquistarla sul piano emotivo. Di questi insegnanti del tutto inadeguati a ricoprire il loro ruolo, non c'è studente che non abbia fatto esperienza. Per quanto riguarda i genitori sono assolutamente convinto che devono essere lasciati fuori dalla scuola, dopo essere stati malauguratamente introdotti negli anni '70 dei Decreti Delegati del ministro Franco Maria Malfatti, e negli anni '90 ulteriormente legittimati e incoraggiati dal ministro Luigi Berlinguer. La ragione è molto semplice: i genitori non sono interessati tanto alla formazione dei loro figli, quanto alla loro promozione. E perciò dalla scuola primaria all'ultimo anno di scuola superiore fanno i sindacalisti dei figli, contestando le decisioni prima delle maestre e poi dei professori tramite ricorsi al TAR che, per il quieto vivere, finisce per dar ragione ai genitori. A sua volta anche la scuola e i commissari degli esami di Stato, sempre per il quieto vivere, finiscono per promuovere tutti, generando il sospetto, assolutamente fondato, della loro inutilità. I soldi che si potrebbero risparmiare con l'abolizione dell'esame di stato, potrebbero essere impiegati per insegnare l'italiano ai bambini stranieri che s'iscrivono alle nostre scuole. E questo prima di inserirli nelle classi come se già conoscessero la nostra lingua, mentre non capiscono quasi niente, e di conseguenza si demotivano, quando addirittura non si umiliano. Se poi consideriamo che il ministero dell'Istruzione, (…), invita i dirigenti scolastici a promuovere più studenti possibili per evitare l'abbandono scolastico, e i presidi a loro volta invitano i professori ad analogo comportamento per dimostrare il "successo formativo" del loro istituto, qui il cerchio si chiude. Ed è un brutto cerchio, perché segna il trionfo dell'ignoranza, mascherata da diplomi che, alla prova dei fatti, quando ad esempio si scrive un curriculum, mostrano senza inganno la loro falsità. Se a tutto ciò aggiungiamo che i nostri ragazzi avranno come competitori, non i primi della loro classe come un tempo, ma i loro coetanei cinesi e indiani, ci dobbiamo meravigliare se l'Italia e con lei l'Europa, e a guardar bene l'intero Occidente, stanno declinando? Scrivevo nella “introduzione” all’arguta prosa di Paola Mastrocola: (…). …ricordo di un pomeriggio tra i più tediosi della mia vita non solo scolastica, ma personale proprio. Si era all’ascolto di un ispettore del ministero della pubblica istruzione che avrebbe dovuto illuminarci, dall’alto della sua sconfinata abilità nel leggere ed interpretare la miserevole, orrenda, inintelligibile prosa del ministero stesso, sulle questioni più innovative nella nobile arte dell’educare. Ovvero, nell’arte dell’intrattenere, ché questo in fondo è lo spirito che ha pervaso le ultime innovazioni in campo scolastico. Divenire intrattenitori, così come alla Tv. Ma quel buon diavolo di ispettore risultava essere, in quel tedioso pomeriggio, il peggiore di tutti gli intrattenitori di questo pianeta chiamato Terra. E non mi soccorreva la vista del dorso coperto di una collega molto allegramente abbigliata, avendo incautamente occupato un banco nella primissima fila, come si conviene ad un diligente ascoltatore. Tant’è che la pennichella piano piano riusciva ad impossessarsi delle mie falcoltà attentive, con grande mio scorno al timore di essere scoperto del tutto su di un ospitale pianeta dei sogni. Fu necessario allora allertare l’attentività con un banale espediente; mi soccorreva il possedimento di un blocchetto di appunti e di una penna, diligentemente portati appresso. Ma per segnarci cosa? Semplicissimo. Tutte le citazioni del magnifico e sapiente ispettore ministeriale, all’uopo cinicamente richiamate alla nostra non-memoria in quell’assurdo silenzio di quel tedioso pomeriggio scolastico; leggi, circolari, ordinanze, testo unico, e via discorrendo. Sorpresa! All’indomani, verificate sui sacri testi quelle dottissime citazioni che tanta soggezione e meraviglia avevano suscitato nell’uditorio semiaddormentato, scoprimmo, con altri volenterosi e caparbi colleghi, che non una, ma dico una sola di quelle citazioni avesse una pur lontana attinenza con gli argomenti che l’illustre ispettore avrebbe dovuti renderci chiari, al di là di ogni nostro possibile futuro dubbio. Così sono sempre andate e vanno, e mi sorregge in tale affermazione la mia diretta esperienza, le cose nel mondo della scuola; ed oggi ci si interroga sui suoi imprevedibili e calamitosi futuri scenari.
Carissimo Aldo, come già sai, ho sempre molto apprezzato il tuo volume "I professori"e pertanto non ho potuto fare a meno di soffermarmi a leggere con più attenzione questo eccezionale post, poiché che mi induce a riflettere su uno dei problemi attuali, secondo me, tra i più dolorosi. La scuola non educa più attraverso la cultura, facendo assaporare ai più giovani la ricchezza che essa ha in ordine alla crescita dell'umanità di ciascuno. È La cultura che dà gli strumenti per capire la realtà e per interagire con essa, che dà le chiavi per comprendere la propria umanità nei suoi valori e nel suo significato. Solo la cultura rende capaci di mettersi in comunicazione con gli altri, per affinare e arricchire costantemente il proprio sapere. Uno dei segnali della crisi della scuola e dell'educazione è nella scarsa disponibilità degli adulti a mettersi in gioco... La scuola, in linea di massima, è venuta meno al suo compito più importante ed è stata sostituita da internet, dalla televisione e da altre agenzie che danno ai ragazzi una quantità di informazioni molto più numerose di quelle che vengono offerte dalla scuola stessa, con tutte le tragiche ricadute che ne conseguono nella formazione della personalità dei giovani stessi. Bisogna prendere coscienza di tutto ciò e, anche nella consapevolezza che non esistono genitori e insegnanti perfetti, sperare che possano diventare più attenti e seriamente intenzionati a collaborare tra loro con responsabilità, per favorire un'adeguata crescita dei ragazzi sul piano intellettuale, emotivo e sociale. Grazie e buon lavoro. Agnese A.
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