"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 28 dicembre 2019

Letturedeigiornipassati. 78 «La nostra è una società dello scarto».


Ha scritto Kahlil Gibran in “Il Profeta”: “Disse allora un ricco: parlaci del dare. Ed egli rispose: voi non date che cosa di poco conto quando date qualcosa dei vostri beni. È quando date qualcosa di voi stessi che date veramente. Poiché cosa sono i vostri beni se non cose che serbate e custodite per paura di averne bisogno domani? E domani, che cosa porterà il domani al cane troppo prudente che nasconde gli ossi nella sabbia che non lascia tracce mentre segue i pellegrini diretti alla città santa? E che cos’è la paura del bisogno se non il bisogno stesso? E la paura della sete quando il vostro pozzo è pieno, non è forse insaziabile sete? (…)”. Ecco, «in una società dello scarto», così come la definisce Michela Marzano in “L’elogio della povertà e della rassegnazione” pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 28 di dicembre dell’anno 2016, a divenire “scarto” – anzi “scarti”, per milioni di esseri umani - non sono solamente gli “scarti” alimentari dell’abbondanza spropositata del Natale ma anche gli esseri umani più indifesi, senza lavoro e senza patria. Scriveva tre anni addietro Michela Marzano: (…). …cos’è oggi strettamente necessario alla sussistenza e non superfluo? Dove inizia e dove finisce lo sperpero? Ha veramente senso parlare di eccesso, quando tante famiglie vivono di stenti, il numero dei disoccupati è allarmante, e numerosi giovani sono costretti a lasciare il nostro paese in cerca di un futuro migliore? “La povertà è conoscere le cose per necessità”, scriveva Parise quando in molti, per ignoranza o malafede, confondevano la felicità con la ricchezza, il benessere con i consumi. Era l’inizio degli anni folli e spensierati del boom economico, subito prima dell’ultraliberismo degli anni Ottanta quando la propaganda spinse tante persone a credere che il progresso non si sarebbe mai fermato: basta volere per potere; ognuno è artefice del proprio destino; solo gli incapaci, gli svogliati, i perdenti e i falliti non possono farcela a raggiungere il successo e a scalare il potere. Era l’epoca in cui anche un altro grande scrittore e intellettuale italiano, Pier Paolo Pasolini, non esitò a parlare del consumismo come di una nuova, e forse peggiore, forma di fascismo. Ma oggi che la ricchezza si concentra nelle mani dell’1% della popolazione mentre il restante 99% si spartisce le briciole, oggi che la crisi economica è conclamata, oggi che la povertà non è più solo una figura retorica ma una realtà, come si fa a fare un elogio della mancanza e del bisogno? Certo, l’essere non coincide con l’avere. Esattamente come non coincide con l’apparire, nonostante la società sia ancora succube delle apparenze e siano tanti i giovani che si illudono che il proprio valore sia legato al numero dei “mi piace” sui propri post, o alla quantità di “amici” e di “follower” che si possono avere su Twitter o Instagram. Certo, una delle caratteristiche dell’esistenza umana è l’insieme di qualità e di cose che “non si hanno” o che “non si è”, come direbbe lo psicanalista francese Jacques Lacan che ha definito persino l’amore come quel sentimento che ci porta “a dare quello che non abbiamo a chi non lo vuole”, proprio per insistere sull’importanza della mancanza e del vuoto come fattori strutturanti dell’identità di ciascuno. Certo, la felicità ha poco a che vedere con il Prodotto Interno Lordo, anche quando per calcolare il PIL, oltre ai consumi, vengono presi in considerazione altri fattore di benessere: la massimizzazione dei profitti e degli interessi, ormai lo sappiamo bene, è solo uno dei tanti miti dell’individualismo post-moderno. (…). Il nostro, oggi, non è più un paese che “compra e basta”. Sono numerosi coloro che comprano pochissimo; troppi coloro che, per necessità, molte cose non le conoscono nemmeno. Tanto più che, per conoscere, non è affatto vero che sia necessario passare attraverso il bisogno e la necessità. Anzi. Questo lo pensa e lo afferma solo chi, forse, non ha mai avuto realmente bisogno. E immagina che la vita possa essere pienamente dignitosa limitandosi a distribuire a tutti un “reddito di cittadinanza” (o “reddito di sussistenza” o “reddito minimo universale”), come diceva già il padre dell’ultraliberismo, Friedrich von Hayek, interessato solo a garantire l’ordine e la pace sociale – reddito minimo che, poi, non è altro che una versione moderna, e forse più presentabile, della vecchia “carità” dei notabili. Ma quale dignità viene garantita quando si parte dal presupposto che la povertà può essere un “segno distintivo più ricco della ricchezza”? Rispettare la dignità di tutti significa dare a ciascuno la possibilità di scegliere quello che gli è necessario o no, e non decretare a priori ciò che è superfluo e inutile. La nostra è una società dello scarto, (…). La soluzione non può quindi essere quella di farne l’elogio, spingendo alla rassegnazione gli “scartati”, ma pensare e costruire una vera cultura dell’inclusione. 

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