Letturina di “fine anno” tratta da “Impariamo a leggere” di Enzo Bianchi,
pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 18 di novembre 2019: (…). Imparare
a pensare significa (…) anche imparare a leggere: leggere il mondo, le
situazioni, gli eventi, ciò che “sta scritto” perché altri lo hanno messo “nero
su bianco”.
Non a caso i medievali facevano derivare la parola latina “intellegere” – letteralmente “capire” – da intus legere, “leggere dal di dentro”. Leggere è sempre cercare di interrogare e di interpretare: per fare questo occorre ritirarsi dal “commercio” che ci attornia, dimenticare ciò che è presente ai nostri sensi e concentrarci su ciò che vogliamo leggere. Leggere è dunque fissare gli occhi e l’attenzione su dei segni scritti, su un susseguirsi di spazi bianchi e di tratti d’inchiostro disposti ordinatamente sulla superficie di una pagina, fino a uscire quasi da noi stessi (o a scendere nelle nostre profondità…) per immergerci nello scritto. Per leggere serve solo trovare del tempo, saper possedere e ordinare il tempo, cessando di dire: “Non ho tempo!”, e serve un libro al quale dedicare attenzione. Anche in mezzo alla folla, in treno, in autobus, questa operazione rimane possibile e il “lettore” diviene, per chi lo osserva, come un’icona di interiorità, un’immagine di raccoglimento, un’allusione al viaggio della mente. La lettura, di fatto, è una conversazione, un dialogo con chi è assente può essere lontano mille miglia nel tempo e nello spazio: è un ricevere la parola di un altro e farla propria, interpretandola nel dialogo della propria intimità. Sant’Agostino paragonava la Scrittura a uno specchio che rivela il lettore a se stesso, Gregorio Magno parlava della “Scrittura che cresce insieme al lettore” e Marcel Proust, al termine della sua monumentale opera Alla ricerca del tempo perduto, le apriva nuovi orizzonti, ancor più sconfinati, asserendo che i suoi lettori sarebbero stati “lettori di se stessi”, in quanto il suo libro era solo il mezzo offerto loro perché leggessero dentro se stessi. Sì, anche e soprattutto nella nostra società dell’immagine, leggere resta operazione di grande umanizzazione: è una resistenza alla dittatura dell’informazione istantanea, è un viaggio intrapreso con le parole dell’altro, un cammino per edificare la propria interiorità, per imparare e affermare la libertà, per mangiare e bere la parola, cioè per nutrirsi! Certo, quando la barbarie avanza, si mostra innanzitutto tale proprio per l’ostilità verso il leggere, fino alla distruzione dei libri, al rogo delle biblioteche. Non dimentichiamo il monito di Heinrich Heine: “Dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini!”.
Non a caso i medievali facevano derivare la parola latina “intellegere” – letteralmente “capire” – da intus legere, “leggere dal di dentro”. Leggere è sempre cercare di interrogare e di interpretare: per fare questo occorre ritirarsi dal “commercio” che ci attornia, dimenticare ciò che è presente ai nostri sensi e concentrarci su ciò che vogliamo leggere. Leggere è dunque fissare gli occhi e l’attenzione su dei segni scritti, su un susseguirsi di spazi bianchi e di tratti d’inchiostro disposti ordinatamente sulla superficie di una pagina, fino a uscire quasi da noi stessi (o a scendere nelle nostre profondità…) per immergerci nello scritto. Per leggere serve solo trovare del tempo, saper possedere e ordinare il tempo, cessando di dire: “Non ho tempo!”, e serve un libro al quale dedicare attenzione. Anche in mezzo alla folla, in treno, in autobus, questa operazione rimane possibile e il “lettore” diviene, per chi lo osserva, come un’icona di interiorità, un’immagine di raccoglimento, un’allusione al viaggio della mente. La lettura, di fatto, è una conversazione, un dialogo con chi è assente può essere lontano mille miglia nel tempo e nello spazio: è un ricevere la parola di un altro e farla propria, interpretandola nel dialogo della propria intimità. Sant’Agostino paragonava la Scrittura a uno specchio che rivela il lettore a se stesso, Gregorio Magno parlava della “Scrittura che cresce insieme al lettore” e Marcel Proust, al termine della sua monumentale opera Alla ricerca del tempo perduto, le apriva nuovi orizzonti, ancor più sconfinati, asserendo che i suoi lettori sarebbero stati “lettori di se stessi”, in quanto il suo libro era solo il mezzo offerto loro perché leggessero dentro se stessi. Sì, anche e soprattutto nella nostra società dell’immagine, leggere resta operazione di grande umanizzazione: è una resistenza alla dittatura dell’informazione istantanea, è un viaggio intrapreso con le parole dell’altro, un cammino per edificare la propria interiorità, per imparare e affermare la libertà, per mangiare e bere la parola, cioè per nutrirsi! Certo, quando la barbarie avanza, si mostra innanzitutto tale proprio per l’ostilità verso il leggere, fino alla distruzione dei libri, al rogo delle biblioteche. Non dimentichiamo il monito di Heinrich Heine: “Dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini!”.
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