Tratto da “Il
nobel solitario di Pirandello” di Andrea Camilleri, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 10 di dicembre dell’anno 2015: (…). Il 9 novembre 1934 (…), un
telegramma dell’Accademia Svedese che annuncia la vittoria del Premio Nobel per
la Letteratura arriva in via Antonio Bosio 13/b dove, all’ultimo piano, abita
da solo Luigi Pirandello.
Una volta diffusa la notizia giornalisti e fotografi si precipitano nella sua abitazione. Pirandello non concede interviste. Si limita a farsi fotografare seduto davanti alla macchina da scrivere e comincia a battere sui tasti. Qualcuno, incuriosito, va a sbirciare. Scopre così che Pirandello ha scritto per una diecina di volte una sola parola: “Pagliacciate”. Sono quelli i giorni in cui il grande scrittore e drammaturgo confessa alla figlia Lietta di sentirsi molto distante dalle cose di questo mondo. Il suo è un senso di non appartenenza ormai diffuso al punto di considerare il premio una sorta di giubilazione. Sono anche quelli gli anni nei quali Pirandello ha di nuovo preso le distanze dal fascismo, con cui ha sempre avuto un rapporto contraddittorio. Ha chiesto la tessera del partito nel '24, subito dopo l'assassino di Matteotti generando lo sdegno più che giustificato degli antifascisti. Ma tre anni dopo durante una violenta discussione con il segretario del partito, straccia la tessera, butta per terra il distintivo che portava all' occhiello e se ne va sbattendo la porta. Ottenute le scuse, nel '29 viene chiamato a far parte dell' Accademia d'Italia, dove pronuncia un discorso feroce contro D'Annunzio. Qualche anno dopo rimedia mettendo in scena la Figlia di Jorio del Vate. Infine si allontana di nuovo con dichiarazioni ambigue durante i suoi viaggi all'estero. Solo così può spiegarsi il fatto che l' Accademia non organizza alcun festeggiamento. Anche il governo resta assolutamente indifferente: Mussolini non si fa vivo neanche con un telegramma. Eppure si trattava di un altissimo riconoscimento: Pirandello risultò vincitore di una terna prestigiosa composta, oltre che da lui, da Paul Valery e Gilbert Keith Chesterton. In partenza per Stoccolma alla stazione Termini di Roma ci sono solo i giovani amici scrittori Alvaro, Frateili e Bontempelli. Nessun gerarca fascista è presente. (…). Il grande drammaturgo non rientra subito a Roma da Stoccolma. Si reca a Praga, accolto con grandi onori per la prima rappresentazione della sua commedia Non si sa come. Quindi prosegue per Parigi dove viene ricevuto in maniera trionfale: Pitoeff rimette in scena per l'occasione la sua famosa edizione dei Sei personaggi in cerca d'autore. Al rientro in Italia ad accoglierlo alla stazione c'è solo Massimo Bontempelli con la sua compagna Paola Masino, nessun altro. L'indifferenza, se non l'ostilità del fascismo verso il grande autore si è fatta a questo punto troppo ostentata. E così Mussolini decide di correre ai ripari ricevendo Pirandello ai primi di gennaio del '35. Durante l'incontro il Duce, oltre a congratularsi per il premio, domanderà notizie del suo tour mitteleuropeo. Pirandello coglie al volo l'occasione per chiedere l'istituzione di un teatro nazionale la cui sede stabile potrebbe essere il Teatro Argentina di Roma. Poi, più o meno esplicitamente, Mussolini gli domanda a che punto sia il suo rapporto con l'attrice Marta Abba. Alla risposta imbarazzata ed evasiva del drammaturgo Mussolini incalza: "Quando si ama una donna non si fanno tante storie, la si butta su un divano". Riportando la frase agli amici Pirandello commenta: "È un uomo volgare". Ciò non toglie che nel '35, cambierà nuovamente idea, esaltando la guerra in Etiopia e definendo addirittura il dittatore come un poeta. Il cambio di atteggiamento di Pirandello si spiega semplicemente col fatto che finalmente Mussolini aveva preso il solenne impegno di far sorgere quel teatro nazionale che stava tanto a cuore allo scrittore.
Una volta diffusa la notizia giornalisti e fotografi si precipitano nella sua abitazione. Pirandello non concede interviste. Si limita a farsi fotografare seduto davanti alla macchina da scrivere e comincia a battere sui tasti. Qualcuno, incuriosito, va a sbirciare. Scopre così che Pirandello ha scritto per una diecina di volte una sola parola: “Pagliacciate”. Sono quelli i giorni in cui il grande scrittore e drammaturgo confessa alla figlia Lietta di sentirsi molto distante dalle cose di questo mondo. Il suo è un senso di non appartenenza ormai diffuso al punto di considerare il premio una sorta di giubilazione. Sono anche quelli gli anni nei quali Pirandello ha di nuovo preso le distanze dal fascismo, con cui ha sempre avuto un rapporto contraddittorio. Ha chiesto la tessera del partito nel '24, subito dopo l'assassino di Matteotti generando lo sdegno più che giustificato degli antifascisti. Ma tre anni dopo durante una violenta discussione con il segretario del partito, straccia la tessera, butta per terra il distintivo che portava all' occhiello e se ne va sbattendo la porta. Ottenute le scuse, nel '29 viene chiamato a far parte dell' Accademia d'Italia, dove pronuncia un discorso feroce contro D'Annunzio. Qualche anno dopo rimedia mettendo in scena la Figlia di Jorio del Vate. Infine si allontana di nuovo con dichiarazioni ambigue durante i suoi viaggi all'estero. Solo così può spiegarsi il fatto che l' Accademia non organizza alcun festeggiamento. Anche il governo resta assolutamente indifferente: Mussolini non si fa vivo neanche con un telegramma. Eppure si trattava di un altissimo riconoscimento: Pirandello risultò vincitore di una terna prestigiosa composta, oltre che da lui, da Paul Valery e Gilbert Keith Chesterton. In partenza per Stoccolma alla stazione Termini di Roma ci sono solo i giovani amici scrittori Alvaro, Frateili e Bontempelli. Nessun gerarca fascista è presente. (…). Il grande drammaturgo non rientra subito a Roma da Stoccolma. Si reca a Praga, accolto con grandi onori per la prima rappresentazione della sua commedia Non si sa come. Quindi prosegue per Parigi dove viene ricevuto in maniera trionfale: Pitoeff rimette in scena per l'occasione la sua famosa edizione dei Sei personaggi in cerca d'autore. Al rientro in Italia ad accoglierlo alla stazione c'è solo Massimo Bontempelli con la sua compagna Paola Masino, nessun altro. L'indifferenza, se non l'ostilità del fascismo verso il grande autore si è fatta a questo punto troppo ostentata. E così Mussolini decide di correre ai ripari ricevendo Pirandello ai primi di gennaio del '35. Durante l'incontro il Duce, oltre a congratularsi per il premio, domanderà notizie del suo tour mitteleuropeo. Pirandello coglie al volo l'occasione per chiedere l'istituzione di un teatro nazionale la cui sede stabile potrebbe essere il Teatro Argentina di Roma. Poi, più o meno esplicitamente, Mussolini gli domanda a che punto sia il suo rapporto con l'attrice Marta Abba. Alla risposta imbarazzata ed evasiva del drammaturgo Mussolini incalza: "Quando si ama una donna non si fanno tante storie, la si butta su un divano". Riportando la frase agli amici Pirandello commenta: "È un uomo volgare". Ciò non toglie che nel '35, cambierà nuovamente idea, esaltando la guerra in Etiopia e definendo addirittura il dittatore come un poeta. Il cambio di atteggiamento di Pirandello si spiega semplicemente col fatto che finalmente Mussolini aveva preso il solenne impegno di far sorgere quel teatro nazionale che stava tanto a cuore allo scrittore.
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