Tratto da “Impotenti
prepotenti” di Massimo Cacciari, pubblicato sul settimanale L’Espresso del
23 di dicembre dell’anno 2018: I termini che spesso usiamo come sinonimi -
cretino, stupido, idiota - comprendono in realtà tipi e caratteri ben distinti.
Il loro tratto comune sembra consistere nell'indicare una specie di inabilità a
pensare e ad agire con prontezza ed efficacia, un'innata difficoltà a
comprendere e affrontare le situazioni critiche. Per questo verso, il cretino
non ha nulla a che fare col pazzo o col fool, che può essere invece,
Shakespeare insegna, colui che più radicalmente vede e denuncia la stupidità
che pervade la vita e le azioni dei suoi simili. Anzi, potremmo dire che fool è
chi è cosciente anche della propria stessa cretinità. Sembra infatti che questa
voce provenga da cristiano, come l'espressione "un povero Cristo"
lascia supporre. Il fool ci ricorda che tutti lo siamo, "poveri
Cristi", e con spietata ironia mette a nudo borie, vanaglorie, superbie,
supponenze e insolenze. La cretinità è segno della nostra finitezza, e il folle
colui che ci impedisce di dimenticarlo. Cretino, almeno etimologicamente,
varrebbe allora come un sano segno di modestia, o addirittura di bontà
(ricordiamo l'Idiota di Dostoevskij, in cui la bontà convive drammaticamente
con l'"inabilità" a vivere nel mondo); altra cosa è la stupidità che
il fool-cretino smaschera. Lo stupido ha lo sguardo ebete del semplice stupore:
facile a incantarsi e lasciarsi incantare, preda di ogni pifferaio magico,
credulone superstizioso, vittima predestinata di promesse e cieche speranze.
Nulla a che fare con quella meraviglia che afferra lo scienziato e il filosofo
di fronte allo spettacolo del cielo stellato e li fa cadere nel fosso,
suscitando il riso del passante, come accadde al povero Talete. Allo stupido
sembra sempre stupido chi si affatica intorno a problemi che a lui sembrano
"astratti"; lo stupido è irresistibilmente sedotto da riposte
semplici e rapide, che sembrino garantire tornaconto e soddisfazione; egli è
propenso a credere senz'altro a chi sbandieri ovunque facili soluzioni.
Tuttavia, chi non sia stupido, e cioè riconosca che problemi come quelli che
angustiavano Talete non possano trovare risposte semplici, sa che la stupidità
svolge un suo ruolo nelle vita comune e che, in qualche modo, tutti vi siamo
immersi. Per vivere siamo, infatti, costretti a semplificare, per comunicare o
fra-intenderci gli uni con gli altri non possiamo rinunciare a luoghi comuni,
banalità, pregiudizi. Almeno occasionalmente vestiamo tutti anche gli abiti dei
Bouvard e dei Pécuchet, i profeti dell'età dell'informazione-chiacchiera e
della frase fatta inventati dal genio di Flaubert. La differenza forse
essenziale tra stupidità e intelligenza sta nel fatto che la seconda è
consapevole di questo suo limite. Lo stupido si fa davvero pericoloso solo
quando viene manipolato e diretto da chi stupido non è, ma prospera soltanto se
immerso nella stupidità, e dunque non ha alcun interesse a fare in modo che
essa si riconosca tale, proprio ciò in cui invece consiste la provvida azione
del fool. Lo stupido, per natura, è un superstizioso, non immagina la propria
sicurezza se non sul fondamento di qualche Autorità, religiosa o politica che
sia. Nella stupidità si esalta quel tratto infimo della nostra natura che
consiste nel tendere a obbedire e servire in cambio della tutela del proprio
"particulare". Chi progetta di affermarsi facendo leva su questo
aspetto del nostro carattere non è affatto stupido, ma dovrà assecondare e
promuovere la stupidità, affermare che essa sola è buona e ragionevole. E
"educarla"perciò a divenire un movimento di massa. Lo stupido, di per
sé, è un solitario "privato" (la figura di idiota opposta a quella
dostoevskiana), che ha cura esclusivamente dei propri affari; l'Autorità che da
esso trae legittimità e di esso si alimenta vuole farne invece una massa. Qui
il pericolosissimo passaggio. Lo stupido al potere dismette anche la più
lontana parentela con il cretino, diventa arrogante e insolente, il suo
atteggiamento assume i timbri dell'imposizione e del comando. Rozzezza e
volgarità vengono da lui esibite come virtù. Il suo era il linguaggio della
semplice ovvietà (verba obvia sono quelli che si incontrano per la strada, che
girano su tutte le bocche senza mediazione o riflessione), ora egli pretende
che proprio questo sia l'unico dotato di senso. I linguaggi che non capisce
appartengono a "intellettuali" estranei all'anima del popolo sovrano,
quando non a barbari nemici. Prestare loro ascolto può diventare anche un
crimine. La stupidità al potere trasforma in certezza il proprio opinare,
espone come calcolati obbiettivi le proprie vaghe speranze, nasconde con
prepotenze verbali la propria reale impotenza. Quando grandi sono i mutamenti
sotto il cielo il rischio di forme di potere che fondino le proprie fortune
sulla nostra naturale stupidità crescono a dismisura. Sarebbe da stupidi
stupirsene. Ma dà qualche speranza di poterne uscire la loro intrinseca
contraddittorietà: più profonda è la crisi che si attraversa, e drammatico lo
stesso modo in cui è percepita, più cresce la domanda di sicurezza, meno questa
potrà essere soddisfatta da politiche corrispondenti esclusivamente alla sua
espressione più elementare, immediata, semplice, e cioè stupida. Si sarà allora
costretti a moltiplicare annunci e promesse, a surrogare con una sorta di
permanente agitazione l'assenza di una coerente linea di condotta, con l'evocazione
di oscure inimicizie e sabotaggi nell'ombra. Ma si tratta di pratiche e
retoriche meramente difensive. Quando la stupidità si avveda che il potere
esercitato in suo nome non risponde affatto ad alcuna delle sue reali esigenze
potrebbe disincantarsi molto rapidamente.
Il passaggio tra stupidità e intelligenza può essere altrettanto breve di quello che ha portato ad aver fede in chi , non stupido, stupidamente predicava che superare la crisi era cosa semplice e apriva porte e finestre a frustrazioni, risentimenti e paure. Questo passaggio, ostruito da decenni di populismi più o meno mascherati, può essere aperto, il ciclo dell'incantamento può finire, ma soltanto se una politica davvero responsabile saprà convincere la nostra intelligenza e vincere la nostra stupidità.
Il passaggio tra stupidità e intelligenza può essere altrettanto breve di quello che ha portato ad aver fede in chi , non stupido, stupidamente predicava che superare la crisi era cosa semplice e apriva porte e finestre a frustrazioni, risentimenti e paure. Questo passaggio, ostruito da decenni di populismi più o meno mascherati, può essere aperto, il ciclo dell'incantamento può finire, ma soltanto se una politica davvero responsabile saprà convincere la nostra intelligenza e vincere la nostra stupidità.
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