50 anni addietro, come oggi 15 di dicembre, moriva l’anarchico
Giuseppe Pinelli. Ci sono voluti 50 anni per riconoscere, da parte della
massima autorità della Repubblica Italiana, l’origine e le responsabilità della
nefanda, criminogena azione compiuta da uomini degli organismi dello Stato in
quel 15 di dicembre a Milano. Per questo evento ri-propongo la lettura di “Cos'è questo golpe? Io so” di Pier
Paolo Pasolini, pubblicato sul quotidiano “Corriere della Sera” del 14 di novembre
dell’anno 1974. Tante, tantissime sono le questioni rimaste avvolte nella
nebbia più impenetrabile ed irrisolte nell’Italia democratica. Nell’incipit del
Suo “pezzo” scriveva Pier Paolo Pasolini:
Io so.
Io so
i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che
in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione
del potere).
Io so
i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so
i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del
1974.
Io so
i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti
ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime
stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più
recenti.
Io so
i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione:
una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista
(Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so
i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e
assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di
riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani
neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione
anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per
sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i
nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici
come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a
Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e
puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so
i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi
che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani
o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so
tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di
cui si sono resi colpevoli.
Io so.
Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so
perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che
succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che
non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i
pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che
ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il
mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere.
Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia
sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti
a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri
intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e
romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo
in Italia dopo il '68 non è poi così difficile. Tale verità - lo si sente con
assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche
giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per
sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i
suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1°
novembre 1974. Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove
o, almeno, degli indizi. Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici,
pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi
dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario
coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre,
non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale. Un
intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli
non ha né prove né indizi. Il potere e il mondo che, pur non essendo del
potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi
- proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed
indizi. Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e
inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del
potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del
diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi. Ma a tale
obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza
ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale
coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi. Il coraggio
intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili
in Italia. All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da
tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile,
in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici. Se egli
vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida
subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei
chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del
potere. Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In
Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa:
mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano. È certo che in questo
momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito
comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni
democratiche. Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese
sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un
Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un
Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano,
inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di
dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per
cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese
separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere
rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato:
ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le
due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro
totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel
"compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo
sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una
"alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno
nell'altro. Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista
italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo. La divisione
del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella
degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di
pace e di costruttività. Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata,
credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica
con un altro potere: che tuttavia è sempre potere. Di conseguenza gli uomini
politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini
di potere. Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci
riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da
loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e
ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore. Ora,
perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come
probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili
reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi
anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a
differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica
politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e
indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del
resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto. L'intellettuale deve
continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a
iterare il proprio modo codificato di intervento. Lo so bene che non è il caso
- in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente
una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non
è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica:
quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a
servire. Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei
tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non
posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica
italiana. E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi
"formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti.
E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un
comunista. Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto
altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non
perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale
momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle
stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno
indizi. Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo
"diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la
democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o
poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il
potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto,
come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il
vero Colpo di Stato.
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