Tratto da “Corruzione,
business mondiale duemila miliardi di malaffare” di Eugenio Occorsio,
pubblicato sul settimanale A&F del 15 di dicembre dell’anno 2014: L’Italia
è messa malissimo: 69° posto nella classifica di Transparency International con
60 miliardi l’anno di tangenti, la metà di tutte quelle pagate in Europa. Ma in
tutto il mondo la corruzione dilaga sempre di più e ha raggiunto - secondo gli
studi della Banca Mondiale - l’astronomica cifra di 2,3 trilioni di dollari,
pari a duemila miliardi di euro. E l’Ocse calcola che in media più del 10% di
ogni opera pubblica, e fino al 40% dei proventi dell’infrastruttura stessa, se
ne vadano in mazzette. (…). Tutto il mondo è paese, si direbbe. Ma come nella
Fattoria degli animali, qualche Paese è più paese degli altri. L’Italia
purtroppo è fra questi, indicato da tutti gli organismi internazionali che
studiano il problema come uno di quelli a più alto rischio. Trasparency
International ci colloca ad un umiliante 69° posto nella classifica mondiale
della corruzione dietro il Ruanda, il Ghana, la Turchia, la Georgia, la
Croazia, ultimi in Europa a pari merito (merito?) con la Grecia. Quanto costa
la corruzione al nostro Paese? Incrociando i vari studi nonché le relazioni
della Corte dei Conti e del ministero degli Interni, si calcola intorno ai 60
miliardi di euro l’anno, il 4% del Pil del nostro Paese, nettamente al di sopra
della media mondiale. Dieci volte la manovra aggiuntiva che ci chiede la
commissione Ue per rientrare nei parametri, il doppio dell’ammontare in tre
anni della spending review. È la metà del valore dell’intera Ue, secondo i
calcoli della Commissione. «La cifra è calcolata inevitabilmente con qualche
approssimazione, ma anche se fosse dieci miliardi in più o in meno, nella sua
enormità denota l’esistenza di un drammatico freno allo sviluppo e di
un’incoercibile resistenza per gli investitori internazionali», commenta
Brunello Rosa, capo economista del Roubini Global Economics, che ha redatto uno
studio sulla corruzione in Europa con particolare focus sull’Italia, cui ha
collaborato anche Raffaele Cantone, capo dell’Authority creata ad
hocdall’attuale governo.
Quanto alle cifre globali, c’è da rabbrividire. La Banca Mondiale ha recentemente aggiornato la sua triste contabilità della corruzione, portando il totale globale dei fondi neri ad essa “dedicati” a 2,3 trilioni di dollari, circa 2 trilioni di euro, duemila miliardi. È il 2,3% del Pil mondiale che è di 85 trilioni di dollari. (…). I fondi finiscono nei conti segreti alle Cayman, a Montecarlo, in Svizzera, dei dittatori e dei manutengoli locali. Il think-tank americano Global Financial Integrity ricorda che si parla di 3 miliardi di dollari al giorno in una fascia del mondo in cui muoiono ogni anno per fame e stenti 18 milioni di persone, 50mila al giorno: «Quanti di questi si potrebbero salvare?». (…). L’Ocse, (…), dimostra che nei Paesi che ne fanno parte fra mazzette e ruberie simili se ne va in media il 10,4% del valore di ogni infrastruttura pubblica nonché una media del 30%, con punte superiori al 40, del profitto derivante dall’opera: pedaggi, biglietti, royalty di accesso et similia. Due terzi dei casi di corruzione transnazionale ricadono in quattro settori: estrazione di idrocarburi e altre materie prime (19%), costruzioni (15%), trasporti (15%), informazione e comunicazione (10%). Nel 53% dei casi è direttamente colpevole qualche dirigente dell’azienda corruttrice, e nel 12% il Ceo. «Non vale quindi indicare le “mele marce” di un sistema quando questo è corrotto dal vertice», scrive il rapporto. Ancora nel Bribery report dell’Ocse (datato 3 dicembre 2014) si legge che tre affari viziati su quattro sono condotti attraverso intermediari, ma questi intermediari sono nel 35% dei casi “veicoli” della stessa impresa che corrompe i pubblici ufficiali, come filiazioni in un paradiso fiscale, broker in house, società di marketing in qualche modo collegate con l’azienda. (…). L’Ocse trae le sue conclusioni: troppo pochi casi si sono conclusi con l’arresto dei colpevoli (80), la maggior parte si sono risolti con ammende e qualche confisca. Oltre all’inasprimento delle pene l’Ocse raccomanda una miglior protezione dei “delatori”, e ricorda che ancora incompleta è l’attuazione della direttiva europea del 2004 che, seguendo le indicazioni che la stessa Ocse aveva formulato nel lontano 1997, esclude da successive gare internazionali gli operatori colpevoli in qualche precedente caso di corruzione. «Invece solo a due delle 115 società che avevano pagato tangenti per assegnazioni pubbliche, è stato proibito di fare offerte per successivi appalti». Proprio sulla base delle raccomandazioni dell’Ocse sono state redatte le leggi nazionali anticorruzione, solo che ci sono voluti molti anni: la Gran Bretagna si è dotata di un convincente Bribery Act nel 2010, e l’Italia addirittura nel 2012: è la legge che adesso Renzi vuole emendare nei punti indicati dall’Ocse: dall’allungamento della prescrizione e inasprimento delle pene alla sospirata e tuttora incerta ripenalizzazione del falso in bilancio. (…). «La capacità di attrarre investimenti, la qualità dell’ambiente di business, l’efficacia della decisione politica, è per l’Italia inferiore a tutti i Paesi concorrenti e a livelli comparabili con i Paesi emergenti di crescita come i Bric, che però possono contare su altri fattori di competizione di prezzo, dai bassi salari ai tassi di cambio artificialmente svalutati». Elaborando i parametri economici dei danni della corruzione, si scopre un’infinità di effetti indiretti: «Prendiamo l’incentivo all’emigrazione dei cervelli», spiega Rosa. «Un ambiente a competizione truccata, o percepito come tale, costituisce un formidabile incentivo ad abbandonare il Paese per chi, persona o impresa, intende basare il proprio successo solo sulle capacità, sull’impegno, sul merito, sui titoli acquisiti». Le conseguenze si dipanano in una catena diabolica: «Le imprese sane, non disposte a scendere a bassi compromessi, sono disincentivate dal partecipare alle gare d’appalto finendo per l’uscire dal mercato peggiorando così l’eticità media del tessuto produttivo». L’unico modo per interrompere questa catena, in Italia come nel resto del mondo, è bloccare sul nascere in ogni modo possibile, disincentivando e punendo, le operazioni di corruzione.
Quanto alle cifre globali, c’è da rabbrividire. La Banca Mondiale ha recentemente aggiornato la sua triste contabilità della corruzione, portando il totale globale dei fondi neri ad essa “dedicati” a 2,3 trilioni di dollari, circa 2 trilioni di euro, duemila miliardi. È il 2,3% del Pil mondiale che è di 85 trilioni di dollari. (…). I fondi finiscono nei conti segreti alle Cayman, a Montecarlo, in Svizzera, dei dittatori e dei manutengoli locali. Il think-tank americano Global Financial Integrity ricorda che si parla di 3 miliardi di dollari al giorno in una fascia del mondo in cui muoiono ogni anno per fame e stenti 18 milioni di persone, 50mila al giorno: «Quanti di questi si potrebbero salvare?». (…). L’Ocse, (…), dimostra che nei Paesi che ne fanno parte fra mazzette e ruberie simili se ne va in media il 10,4% del valore di ogni infrastruttura pubblica nonché una media del 30%, con punte superiori al 40, del profitto derivante dall’opera: pedaggi, biglietti, royalty di accesso et similia. Due terzi dei casi di corruzione transnazionale ricadono in quattro settori: estrazione di idrocarburi e altre materie prime (19%), costruzioni (15%), trasporti (15%), informazione e comunicazione (10%). Nel 53% dei casi è direttamente colpevole qualche dirigente dell’azienda corruttrice, e nel 12% il Ceo. «Non vale quindi indicare le “mele marce” di un sistema quando questo è corrotto dal vertice», scrive il rapporto. Ancora nel Bribery report dell’Ocse (datato 3 dicembre 2014) si legge che tre affari viziati su quattro sono condotti attraverso intermediari, ma questi intermediari sono nel 35% dei casi “veicoli” della stessa impresa che corrompe i pubblici ufficiali, come filiazioni in un paradiso fiscale, broker in house, società di marketing in qualche modo collegate con l’azienda. (…). L’Ocse trae le sue conclusioni: troppo pochi casi si sono conclusi con l’arresto dei colpevoli (80), la maggior parte si sono risolti con ammende e qualche confisca. Oltre all’inasprimento delle pene l’Ocse raccomanda una miglior protezione dei “delatori”, e ricorda che ancora incompleta è l’attuazione della direttiva europea del 2004 che, seguendo le indicazioni che la stessa Ocse aveva formulato nel lontano 1997, esclude da successive gare internazionali gli operatori colpevoli in qualche precedente caso di corruzione. «Invece solo a due delle 115 società che avevano pagato tangenti per assegnazioni pubbliche, è stato proibito di fare offerte per successivi appalti». Proprio sulla base delle raccomandazioni dell’Ocse sono state redatte le leggi nazionali anticorruzione, solo che ci sono voluti molti anni: la Gran Bretagna si è dotata di un convincente Bribery Act nel 2010, e l’Italia addirittura nel 2012: è la legge che adesso Renzi vuole emendare nei punti indicati dall’Ocse: dall’allungamento della prescrizione e inasprimento delle pene alla sospirata e tuttora incerta ripenalizzazione del falso in bilancio. (…). «La capacità di attrarre investimenti, la qualità dell’ambiente di business, l’efficacia della decisione politica, è per l’Italia inferiore a tutti i Paesi concorrenti e a livelli comparabili con i Paesi emergenti di crescita come i Bric, che però possono contare su altri fattori di competizione di prezzo, dai bassi salari ai tassi di cambio artificialmente svalutati». Elaborando i parametri economici dei danni della corruzione, si scopre un’infinità di effetti indiretti: «Prendiamo l’incentivo all’emigrazione dei cervelli», spiega Rosa. «Un ambiente a competizione truccata, o percepito come tale, costituisce un formidabile incentivo ad abbandonare il Paese per chi, persona o impresa, intende basare il proprio successo solo sulle capacità, sull’impegno, sul merito, sui titoli acquisiti». Le conseguenze si dipanano in una catena diabolica: «Le imprese sane, non disposte a scendere a bassi compromessi, sono disincentivate dal partecipare alle gare d’appalto finendo per l’uscire dal mercato peggiorando così l’eticità media del tessuto produttivo». L’unico modo per interrompere questa catena, in Italia come nel resto del mondo, è bloccare sul nascere in ogni modo possibile, disincentivando e punendo, le operazioni di corruzione.
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