Tratto da “Le
due piazze del governo” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano la
Repubblica del 5 di dicembre 2018: (…). La tentazione della folla c'è sempre
stata, sotto tutte le latitudini, e qualunque - o quasi - fosse il colore delle
maggioranze che governavano il Paese, perché è una lusinga insopprimibile del
potere, una scorciatoia, una rassicurazione. Soprattutto nei momenti di
debolezza, di confusione e di appannamento identitario, con l'incertezza che ne
deriva. Convocando la prova di forza si cerca in realtà un rilancio, o almeno
una riconferma, uno specchio, qualcosa che trasformi il legittimo consenso dei
vincitori - che in democrazia è sempre per definizione parziale e temporaneo -
in una totalità e in una fissità. Questo avviene trasfigurando i propri seguaci
in popolo (tutto oggi viene fatto in nome e per conto del popolo) come se gli
altri cittadini non lo fossero e non avessero il diritto di essere ugualmente
ascoltati e comunque rappresentati, quasi esistesse un popolo eletto,
selezionato magari tra i follower, e pronto a trasformarsi in folla plaudente. Questa
tendenza è ricorrente. Ma nel caso del populismo e del nazionalismo, per
ragioni intrinseche che puntano sulla mobilitazione permanente della
costituency e sull'emotività costante della base, che deve essere continuamente
sollecitata, la tentazione diventa incredibilmente reale, si materializza, si
fa forma stessa della politica e la domina. (…). Così l'Europa. Tutti oggi la
percepiamo come una grande opportunità, decisiva ma sfuocata e lontana, di cui
sentiamo i vincoli, senza rintracciarne più la legittimità: dunque da riformare
per rilanciarla. Loro la presentano agli italiani come un reame straniero e
ostile, anzi come una potenza occupante, che invece di ampliare i nostri
orizzonti e quelli dei nostri figli, li soffoca. C'è dunque un appello
permanente alla ribellione-emancipazione di un'inter-classe diffusa e
sparpagliata, che non ha coscienza collettiva ma ha un'acuta sensibilità
individuale: il popolo del risentimento e del rancore, quello che pensa che non
gli sia stata data un'occasione, o che gli sia stato tolto qualcosa, gli sia
stato fatto un torto, riducendolo a spettatore del successo altrui, alla
confisca delle decisioni fuori da ogni vero meccanismo di controllo, alla
gestione separata di tutto quel sapere che scorre soltanto nel circuito di
privilegio dei garantiti, come una valuta di riserva di cui non si conosce il
valore di cambio tra la gente comune. Naturalmente la politica è stata
inventata per smontare questa bolla di rabbia e di inganno, separare le buone
ragioni della critica dall'astio improduttivo e dall'invidia sociale,
convertire la protesta in spinta al cambiamento. Ma quella politica è stata
soppiantata dall'antipolitica, che cerca nella bolla proprio l'incandescenza
del rancore, e la porta nel sistema così com'è, senza elaborarlo. Così più che
in passato la piazza diventa necessaria al nuovo potere. Proprio perché fatica
ad accettarsi come potere (e lo è indubbiamente diventato da quando guida il
Paese), ha bisogno di confondersi nella mimetica rivoluzionaria più che nella
tappezzeria del Palazzo. E infatti c'è davvero un balcone - incredibilmente -
nei primi mesi del governo Lega-Cinque Stelle, che pende direttamente sulla
folla, radunata per applaudire la pseudo-vittoria dello sfondamento del
deficit. La comunicazione è l'emozione, è una scintilla, è l'"iskrà"
di Lenin. Il potere decide il messaggio, lo mette in scena, lo recita, poi lo
conclude sigillando il suo significato quando chiude quei vetri sul balcone. La
politica è assente, divorata e sostituita dall'evento, che abbacina come un
fuoco artificiale, senza lasciare un segno come una stella filante. Probabilmente
mai, nella storia repubblicana, il palazzo del governo si era aperto a
sceneggiate di questo genere. Oggi che la trattativa con l'Europa, com'era
inevitabile, fa rivedere le cifre trionfali del deficit dopo settimane che
hanno indebolito il Paese, quella finestra rischia di chiudersi sulle dita di
chi improvvidamente l'ha aperta per mostrarsi come un trofeo alla folla: ed
ecco che nasce il bisogno di altra folla, di un'altra piazza, di una nuova
immersione nel seno costituente del popolo. Che però, si scoprirà sabato, è
doppio. Perché i popoli del governo sono definitivamente due. Nato davanti ad
un notaio, il contratto infatti ha una forza coercitiva, non una capacità di
dottrina e di sapienza: non ha cioè fondato una moderna cultura di governo per
questa destra composita e distinta, che resta doppia nei suoi interessi
disgiunti, nei suoi istinti diversi, nei suoi obiettivi separati, accomunati
soltanto dall'impegno comune a delegittimare, disconoscere e disfare la storia
politica e istituzionale del Paese, in nome di una presunta rivoluzione che in
realtà è soltanto un'occupazione di potere, legittimamente conquistato,
maldestramente gestito. Come testimoniano l'ansia periodica di tornare in
piazza, gli interessi distanti delle due manifestazioni, le basi sociali
divaricate e difficilmente componibili. Anzi, irriducibili. Salvo che su poche
cose essenziali: la ferocia nei confronti dei migranti, la privatizzazione
della sicurezza, l'attacco permanente ai giornali, la polemica con l'Europa, l'atteggiamento
gregario contemporaneamente verso Trump e verso Putin, purché mettano in crisi
la Ue e l'idea di Occidente, il bisogno perpetuo di costituirsi dei nemici e di
additarli ai fedeli, dandoli in pasto al proprio "popolo", come fa
Salvini citando i suoi critici ad anti-testimonial della campagna per la
manifestazione leghista di sabato. Sono i caratteri tipici di una politica di
destra, anzi di neodestra, magari rivoluzionaria, sicuramente illiberale. La
realtà è che questa destra, vecchia e nuova, di piazza e di governo, molto
semplicemente non ha ancora capito la quotidiana fatica della democrazia. Che
purtroppo o per fortuna obbliga ogni mattina a rimettere in palio l'autorità di
quel consenso che si è conquistato con il voto. Si chiama rendiconto, si chiama
democrazia, dove il giudizio è costante, lo scrutinio è perenne. Anche quando
l'opposizione non c'è.
Nessun commento:
Posta un commento