Tratto da “È
l’età dei neo-cinici”, colloquio di Stefano Vastano con Peter Sloterdijk pubblicato sul settimanale L’Espresso del 25
di novembre dell’anno 2018: (…). Ripartiamo da Diogene di Sinope, il
filosofo più sfrontato della storia. Qual era il messaggio del padre di tutti i
cinici? «Il messaggio di Diogene risale al nucleo più antico del pensiero greco
e cioè a una filosofia della Natura, da una oscura divinità – la Moira, poi secolarizzata
in “physis” – precedente all’Olimpo delle divinità!».
È questa Natura che spinse Diogene a vagare
nudo e solo come un cane per le strade di Atene? «Con il suo comportamento
Diogene riportava alla luce la contrapposizione fra Natura e Nomos, le leggi e
convenzioni umane che altro non sono, ai suoi occhi, che appendici arbitrarie
dell’ “ordine naturale” e di una vita ad esso ispirata».
Con la sua esistenza nomade e animalesca
Diogene ridicolizza le norme sociali? « Sì, lui è una sorta di Charlot, un
meteco o migrante dall’Asia minore che non si piega alle norme della polis e
della democrazia ateniese. Diogene è il primo individualista radicale della
storia che nell’Atene platonica rivendica l’Anarchia della vita semplice. La
maggioranza non ha ragione, ecco il suo urlo».
Anche Socrate urlerà lo stesso principio contro le tradizioni ateniesi, pagando persino con la vita… «Già, ma in Diogene, contrariamente all’arte maieutica socratica e contro l’astrazione platonica, è l’eccesso performativo, la pantomima che conta e non il dialogo filosoico. Nella sua ultima lezione, Michael Foucault analizzò la “parrhesia”, la sfrontata arte di affrontare – con virile franchezza – l’autorità dell’avversario, anche il più potente. Non è un caso se l’incontro tra Diogene ed Alessandro, in cui il filosofo prega l’imperatore di togliersi dal sole, è uno degli aneddoti più famosi dell’antichità».
Anche la filosofia dei Lumi, come il Logos
platonico, si basa sul presupposto per cui ogni sapere è potere. L’attualità
del cinismo sta nel smascherare come pia illusione questa fede illuministica? «Il
cinismo rispunta ogni volta in cui la politica della città entra in crisi e i
valori comuni si sfaldano. In questo senso il primo cinico dell’era moderna è
il “Nipote di Rameau”, lo spudorato adulatore che Denis Diderot mette in scena
nel suo dialogo satirico. Un buffone verace almeno quanto il Mefistofele di
Goethe, altra dissacrante figura nella galleria del moderno cinismo».
Nulla in confronto al radicale cinismo del
Grande Inquisitore, la figura che Dostoevskij racconta nei Karamazov e che
scaccia persino Cristo dalla città… «Il cinismo dell’Inquisitore di Dostoevskij
è così viscerale perché smentisce non solo l’equazione illuminista “Sapere è
Potere”, ma nega la premessa di ogni società liberale e dell’antropologia
occidentale. L’Inquisitore infatti sostiene l’oscura e profondamente russa tesi
secondo cui l’uomo è troppo cattivo per essere libero. Per questo l’uomo non
abbisogna di un Cristo, ma della mano forte di una ascetica élite che
garantisca quella costante repressione senza cui presumibilmente la società non
può sopravvivere. Inutile specificare quanto questa politologia negativa sia la
base su cui oggi si regge il sistema di un Putin».
La sintonia tra il regime autocratico di un
ex spione del Kgb come Putin e le alte sfere della chiesa ortodossa sono la
realizzazione, nella Russia del 21° secolo, della Leggenda di Dostoevskij?
«Esatto, e la leggenda su cui Putin fonda oggi il suo potere non ripete che
l’altra ipercinica massima secondo cui è il mondo stesso che altro non chiede
che di essere ingannato».
Il filo che unisce l’Inquisitore ad ogni
demagogo di turno è il fatto che autocrati come Putin sanno benissimo di
mentire ai sudditi, ma nel loro cinismo continuano beatamente a farlo? «Quando
un oligarca come Putin declama le massime della sua negativa politologia sa
benissimo che sta mentendo. D’altra parte i due assiomi dell’Inganno come base
della politica e della Malvagità umana come negazione d’ogni libertà possono
esser le tesi anche di un dissidente disperato. Cos’è il cinismo o il populismo
di oggi se non la massima depressione al potere? Una radicale depressione
politica che l’astuto populista nasconde dietro un sistema di bugie e una serie
di maschere».
Benché onnipotenti i demagoghi hanno bisogno
di nascondersi dietro sempre nuove bugie e maschere: perché? «Perché nessun
populista, per quanto sadico e istrione, può davvero credere nelle sue
convinzioni o sentirsi in pace con se stesso. Oltre che sulla depressione ogni
suo atto e parola si fonda su uno iato o incoerenza inerente alla sua stessa
posizione. Donald Trump ad esempio è un mefistofelico Maestro del neocinismo
contemporaneo. Ma anche la sua politica, altamente depressiva, si basa sul
fatto che Trump deve mentire quotidianamente, e non dar retta neanche per un
minuto alle verità che sistematicamente nega. Un presidente Usa che incarna
alla massima potenza il dramma dell’assoluta incoerenza del cinismo giunto al
potere».
Ma un potere che come questo si fonda su
Fake News, cioè menzogne spacciate per “fatti“, non è il paradosso assoluto? «Il
collante che dà coerenza ad ogni società è il fluido della fiducia. Da un punto
di vista operativo le società sono connesse dalla circolazione del denaro e
sulla fiducia che una vita in comune esista. Sia il denaro che i valori però
conoscono forme di corruzione: Stato e banche possono accumulare debiti o dare
crediti che creano inflazione e quindi una demoralizzazione collettiva dei
cittadini. Le ondate di inflazione in Germania hanno creato nei tedeschi quel
loro carattere depresso o così moraleggiante quando è in ballo il denaro».
Che c’entra l’inflazione con il populismo al
potere? « Una cosa è la corruzione via inflazione del denaro, un’altra la
corruzione dei valori etici dei cittadini nelle fasi ciniche della storia. In
queste fasi corrosive come quelle che oggi stiamo vivendo sono soprattutto i
più deboli a guardare con totale sfiducia alla “casta”. Da sistemi di fiducia
le società si trasformano in “menzogne organizzate” su due fronti: il
cosiddetto popolo dei populisti da un lato, e l’élite dall’altro. È in questo
bagno acido della sfiducia che nasce e cresce la sfrontatezza del populista».
L’epoca d’oro in cui in Europa esplosero
svalutazioni del denaro e sfiducia massima nelle élite è la Repubblica di
Weimar, la Germania tra il 1918 e l’avvento del nazismo nel ’33… «La Repubblica
di Weimar è nata dalla catastrofe della Grande guerra. Dalle guerre, come la
storia americana insegna, sono nate democrazie solo se erano guerre di
liberazione. Ma il problema di Weimar fu che la sua costituzione non vide il
dramma dei piccoli partiti nazionalisti che minavano le sue fondamenta liberali.
Sono questi partitelli di protesta che fomentano la sfiducia dei cittadini
nelle istituzioni che finisce per portare al potere i populisti».
Sfiducia a parte, qual è il fattore del
successo di tutti i populisti di ultra destra oggi in Europa? «Il sincretismo.
Se c’è un elemento che accomuna l’odierna Alternative für Deutschland alla Nspd
di Hitler è il mix che mischia elementi di sinistra e di destra, veleni
razzisti ed aspetti progressivi, una cruda Real-Politik con una sfrenata
Irreal-Politik. Il populismo è sempre anti-elitismo, e la democrazia per
definizione sempre in crisi. In una fase di crisi acuta, basta una figura un
po’ carismatica ma ipercinica per sbarcare con questo mix sincretico al
potere».
Orbán in Ungheria, Le Pen in Francia, Salvini
in Italia o la Afd in Germania, tutti i populisti di destra vogliono alzare ora
muri in Europa per difenderci da migranti e insicurezze varie. Perché il tema
della sicurezza agita tanto le nostre coscienze? «Nella psicopatologia politica
agiscono due poli opposti, quello della libertà e della sicurezza dall’altro.
La libertà dei consumi, di opinione, dell’emancipazione dei costumi, e
l’imperativo della immunità che tira il freno alle libertà dell’individuo e del
corpo sociale. La sicurezza si fa dominante quando, in una crisi, c’è gente che
ha qualcosa da perdere. I partiti popolari non sono riusciti a togliere queste
paure alla gente ed è su questo tasto che i populisti ripetono, come il Grande
Inquisitore, che l’uomo non è buono abbastanza per essere libero».
Non è una novità se, nel 1576, Etienne de la
Boétie nel suo “Discours de la servitude volontaire” notava che tutti abbiamo
paura della libertà ed altro non vogliamo che esser guidati da un Uomo forte… «Negli
ultimi 250 anni non abbiamo fatto altro che sperimentare due tesi
antropologiche complementari: questa pessimista di la Boétie, ma anche, a
partire da Rousseau, l’assioma ottimista secondo cui l’uomo è buono abbastanza
per esser libero. Non sappiamo come finisca il test: il 20° secolo con le sue
dittature è costellato da conferme delle tesi dell’Inquisitore per cui l’uomo è
uno schiavo ribelle, ma che teme la rivolta. Il profilo dell’Homo sapiens
disegnato da Boétie è ancora più duro, visto che per lui coloro che più
soffrono la miseria sono, contrariamente a ciò che Marx crederà, il veicolo
migliore della diffusione di repressione e violenze».
I populisti sono quindi oggi al potere per
reprimere “l’uomo in rivolta” di Camus… «I nipotini dell’Inquisitore oggi al
potere sono gli studenti peggiori che si rivoltano contro quelli più bravi di
loro, contro gli insegnanti e la scuola stessa. Sono i dilettanti, ma senza
nessun diletto per la cultura né capacità, e per questo amati dai loro fans.
L’entusiasmo nell’era di Internet è sempre orizzontale, non ci sono ideali
superiori da raggiungere o emulare per i fan di Trump o dei demagoghi
populisti».
Joschka Fischer, uno dei fondatore dei Verdi
tedeschi, sognava gli Stati uniti d’Europa. Che ne è di questi slanci nell’era
distopica del cinismo? «Attraversiamo una fase melanconica per quanto concerne
l’entusiasmo. La maggior parte dei Paesi europei sono in uno stato ipnotico di
disinformazione mitologica, ognuno si immagina di esistere da sempre come
Nazione e i populisti pompano miti in queste presunte sfere di egoismi
nazionali. Tutte immagini infondate, visto che l’Europa più che altro è stata
una storia di conglomerati imperiali».
(…). Che ne è del sommo Bene nell’era del
cinismo trionfante? «Goethe nel Faust fa porre a Greta la domanda: “Come stai
tu a religione?” Sei affidabile, cioè sposabile? Anche oggi aspiriamo, come
Greta, a venir sposati, a vivere con Dio in rapporti più stabili. Nel nostro
estremo bisogno di sicurezza, su cui tanto insistono i populisti, Dio ci appare
come una polizza, l’assicurazione metafisica suprema. Certo che questa figura
di un Dio che si presta a transazioni finanziarie non è il massimo dal punto di
vista teologico né da quello politico, ma anche nella nostra epoca Dio resta
“un bisogno metafisico”, come diceva Schopenhauer».
Nietzsche si era sbagliato con il suo letale
annuncio: «Dio è morto»? «La metafora è sbagliata, può morire solo ciò che ha
un organismo. La questione non è tanto se esista o no, quanto se la domanda di
Dio sia importante o meno. E certo oggi la Chiesa non ha più un regno
territoriale, ma la funzione “imperiale” simbolica del pontefice romano a
quanto pare è ancora presente».
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