Da “Sono
ladri questi Romani” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano”
del 22 di marzo 2018: (…). Il peculato, secondo i migliori
dizionari, è una “appropriazione indebita di denaro o altro bene mobile
appartenente ad altri, commessa da un pubblico ufficiale”. Cioè un furto di
soldi o beni pubblici. Quindi Romani è ladro e bugiardo: due requisiti
essenziali per la seconda carica dello Stato. Lo racconta la sentenza della
Cassazione del 29 maggio 2017. Nel gennaio 2011 Romani è contemporaneamente
consigliere e assessore all’Expo al Comune di Monza, deputato Pdl e ministro
dello Sviluppo. Il Comune gli dà un cellulare per le attività istituzionali.
Lui lo gira alla figlia minore,che lo usa in esclusiva per 13 mesi, anche in un
viaggio negli Usa, accumulando bollette per 12.883 euro. Tanto paga Pantalone. Romani
viene indagato e imputato per peculato. Si difende alla Scajola, col più
classico degli insaputismi: con tutto quel che aveva da fare coi suoi quattro
incarichi, come poteva mai accorgersi che il cellulare comunale lo usava sua
figlia? Poi purtroppo i giudici scoprono che: la figlia lo usava anche per
chiamare il papà;un giorno perse il telefonino e la denuncia di smarrimento la
sporse il genitore; Romani ottenne una nuova Sim con lo stesso numero e la
passò subito alla pargola. Dopodiché, quando fu beccato, si precipitò a
risarcire il Comune. Ma se uno ruba un’auto e poi, quando lo scoprono, la
restituisce al proprietario, non può dire di non averla rubata o lamentarsi se
lo processano per furto. Romani sceglie il rito abbreviato, che prevede una
pena ridotta di un terzo: infatti il gup parte dal minimo di 4 anni e poi, fra
lo sconto di rito e le attenuanti, scende a 1 anno e 4 mesi. Sentenza
confermata in appello e resa definitiva dalla Cassazione, che però rinvia il
processo alla Corte d’appello perché motivi meglio le mancate attenuanti per
tenuità del reato; oppure le conceda limando un altro po’ la pena. Fermo
restando che Romani è ormai condannato con sentenza irrevocabile: “Deve
confermarsi la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente il
reato di peculato”. Motivo: è “dimostrato che l’imputato, dopo aver ricevuto
dal Comune l’assegnazione di una scheda telefonica Sim per le sue funzioni di
consigliere comunale, l’abbia ceduta alla figlia, che l’ha utilizzata in via
pressoché esclusiva e continuativa, con il suo pieno consenso”. Il “pieno
consenso dell’imputato” Romani è provato dalle “numerose telefonate che il
Romani ha ricevuto dalla figlia che utilizzava l’utenza in questione”, ma anche
dalla “denuncia di smarrimento presentata dal Romani” che “ottenne una nuova
scheda col medesimo numero” e subito “la consegnò alla figlia”. Ora che si
candida a presidente del Senato, Romani racconta la storia a modo suo al
Giornale del padrone. E piagnucola, come se non fosse l’autore del reato, ma la
vittima: “Mi scoccia dovermi difendere tanto la vicenda è assurda. Ero ministro
e assessore, ero spesso lontano e mia figlia quindicenne prese il telefonino.
Me ne accorsi quando arrivò una bolletta da 12 mila euro e andai subito a
risarcire la somma”. Povera stella, vedi alle volte la malasorte come si
accanisce su due creature innocenti. Per fortuna, “la vicenda è stata rinviata
dalla Cassazione alla Corte d’appello per la revisione della sentenza in virtù
della tenuità del fatto”. Purtroppo la revisione non riguarda la sentenza,
definitiva, ma l’entità della pena. “È stata una vicenda pesante, a livello
familiare?”, domanda fra le lacrime l’intervistatore domestico. Lui annuisce
con aria grave e occhio umido: “Mia figlia ha incautamente ma inconsapevolmente
usato un dispositivo (sic, ndr) di cui ho dimenticato l’esistenza (anche quando
lei gli telefonava dal dispositivo, anche quando lui ne denunciava lo
smarrimento e poi riconsegnava alla figlia la nuova scheda, sempre a carico del
Comune, ndr). Questo ha comportato per lei trovare nome e foto sui giornali con
tutte le conseguenze immaginabili con amici, conoscenti e social”. Una vera
tragedia, quella di usare un telefono del Comune per i fatti propri, che non
auguriamo al nostro peggiore nemico. “La mia assenza e mancata vigilanza le
hanno causato un danno di cui francamente non mi perdono”. Ma ora sarebbe
ignobile privare il Senato di un presidente come Romani per “una mia mancanza
nel ruolo di padre”, che attiene agli affetti più intimi e andrebbe taciuta per
la privacy. “Se mi fossi chiamato Mario Rossi, non sarebbe successo”. Ma certo:
nessun altro consigliere-assessore-deputato-ministro che fa usare alla figlia
un cellulare pagato dai contribuenti verrebbe mai processato per peculato, a
parte il martire Romani. Ora indovinate: chi mai potrebbe bersi un simile cumulo
di cazzate? Alessandro Sallusti. Il quale scrive, restando serio e anche un po’
commosso, che “Romani ha in corso un processo per peculato” (peraltro già
chiuso) perché un “aggeggio finì nelle mani della figlia minorenne”, insomma
“incidenti che possono capitare nelle migliori famiglie”. Dite la verità, cari
lettori: chi di voi non ha in casa almeno un cellulare comunale in cerca di un
utilizzatore finale? Mi raccomando: passatelo subito a vostra figlia, sennò
niente presidenza del Senato.
Nessun commento:
Posta un commento