Da “Urla nel
silenzio” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 20 di
marzo 2018: (…). Nel 1998, in pieno inciucio Bicamerale, fu Nanni Moretti nel film
Aprile: “D’Alema, reagisci, rispondi, di’ qualcosa, non ti far mettere in mezzo
sulla giustizia proprio da Berlusconi! D’Alema, di’ una cosa di sinistra! Di’
una cosa anche non di sinistra, di civiltà! D’Alema, di’ una cosa, di’
qualcosa, reagisci!”. Nel 2002 fu ancora Moretti, stavolta dal vivo su un
palchetto di piazza Navona, davanti agli attoniti Rutelli e Fassino: “Con
questi dirigenti non vinceremo mai!”. Nel 2007 fu Beppe Grillo, dal palco del
primo V-Day a Bologna, poco prima di tentare invano di partecipare alle
primarie per la segreteria Pd: “Copiate il nostro programma, ve lo regaliamo!”.
Nel 2009 fu Debora Serracchiani, all’assemblea dei circoli del Pd, sotto gli
occhi dell’esterrefatto Franceschini: “I compromessi con Berlusconi hanno
costretto molti nostri elettori a votare Di Pietro per disperazione, perché gli
abbiamo fatto fare da solo l’opposizione su temi che ci appartengono, come il
conflitto d’interessi e la questione morale. Basta candidature calate
dall’alto, basta dire che non possiamo tassare i ricchi perché sono troppo
pochi. Abbiamo abbandonato la laicità, i diritti, il testamento biologico,
eppure la Costituzione è chiara, basta quella”. Nel 2013, (…), fu ancora
Grillo, dal suo camper in Friuli: “Se noi e il Pd eleggiamo presidente Rodotà,
poi facciamo un governo completamente diverso, facciamo ripartire l’economia”.
L’altro giorno, all’assemblea della Sinistra Dem cuperliana, è stato Nicholas
Ferrante, 21 anni, da Luogosano (Avellino): “I nostri elettori hanno votato M5S
contro un sistema marcio e clientelare, contro i signori delle tessere che ci
hanno imposto il figlio di De Mita. L’onestà, la moralità, la sovranità
popolare, la democrazia diretta, il lavoro, i diritti, l’acqua pubblica sono
bandiere di sinistra, ma le abbiamo lasciate ai 5Stelle. Dobbiamo scusarci con
gli elettori che hanno votato Di Maio e intercettarli partendo dal basso,
anziché dire che non ci hanno capiti: sono più avanti di noi!”. A ogni urlo, il
politburo centrosinistro ha risposto fingendo comprensione e condivisione,
dicendo che certo, occorre ripartire dal basso, dalla base, dalle radici, dai
territori. Ha cooptato qualche contestatore (vedi la Serracchiani
all’Europarlamento, alla Regione Friuli e infine nel servizio d’ordine
renziano: quindi attento, Nicholas).
E poi ha continuato a perseverare sempre negli stessi errori. Che ormai non sono più errori, ma tare genetiche: altrimenti non si tramanderebbero di padre in figlio da 20 anni, da D’Alema a Veltroni a Franceschini a Letta a Renzi e prossimamente magari a Calenda. Intanto, nell’ultimo decennio, il Pd ha perso 6 milioni di voti su 12 e ora è impegnatissimo a trovare il modo di perdere gli altri 6. Anziché interrogarsi sulle ragioni di quella fuga di massa, o farsele spiegare da Nicholas e dalle altre migliaia di militanti perbene sparsi per l’Italia, giocano al “tanto peggio tanto meglio” nella segreta speranza che nasca un governo Di Maio-Salvini (per lucrarne non si sa bene quali vantaggi) o che i soliti amichetti B.&C. riescano a comprare o a ricattare mezza Lega per offrire loro qualche strapuntino nell’ennesimo governissimo destra-sinistra. Frattanto raccontano che gli elettori li vogliono all’opposizione, non riuscendo nemmeno più a distinguere i propri da quelli altrui. Come se il sistema proporzional-demenziale imposto (da loro) col Rosatellum mettesse qualcuno al governo e qualcuno all’opposizione e non richiedesse invece di costruire in Parlamento una coalizione (purtroppo per loro, diversa da quella che avevano sognato con i loro compari berlusconiani). Con chi coalizzarsi, gliel’ha spiegato Nicholas: con la forza politica più vicina o meno lontana, quella che rubò i loro voti nel 2013, che gliene restituì una parte alle Europee 2014 e che se li è ripresi con gli interessi il 4 marzo. Cioè i 5Stelle. Se due settimane fa 3 milioni di elettori Pd hanno votato Di Maio, è perché pensano che il programma 5Stelle sia più vicino alle idee di centrosinistra delle politiche targate Pd dell’ultimo quinquennio. Quindi, per tentare di recuperarne almeno qualcuno, il Pd non ha che una strada: provare a costruire una maggioranza su un programma di pochi punti molto innovativi con i 5Stelle, come già avrebbe dovuto fare cinque anni fa se avesse eletto Rodotà al Quirinale anziché imbalsamare se stesso e l’Italia con il bis di Napolitano. E poi, visto che in campagna elettorale il Pd aveva escluso intese sia con Di Maio sia con il centrodestra, interpellare la base (il famoso popolo delle primarie, ormai dimenticato) come ha fatto l’Spd tedesca cinque anni fa e due domeniche fa, prima di dar vita alla Grosse Koalition con Angela Merkel: un referendum non pro o contro un’alleanza al buio col M5S; ma pro o contro un programma concordato nei minimi dettagli, magari per un governo di pochi anni e pochi obiettivi. (…). L’unica coalizione ragionevole, per quanto difficile, è fra M5S e quel che resta del centrosinistra. Se Martina (o chi per lui) e Grasso incontreranno mai Di Maio, si portino dietro Nicholas Ferrante e altri giovani militanti come lui. E lo stesso faccia Di Maio con qualche giovane dei suoi Meetup. Di solito le basi si intendono molto meglio dei vertici.
E poi ha continuato a perseverare sempre negli stessi errori. Che ormai non sono più errori, ma tare genetiche: altrimenti non si tramanderebbero di padre in figlio da 20 anni, da D’Alema a Veltroni a Franceschini a Letta a Renzi e prossimamente magari a Calenda. Intanto, nell’ultimo decennio, il Pd ha perso 6 milioni di voti su 12 e ora è impegnatissimo a trovare il modo di perdere gli altri 6. Anziché interrogarsi sulle ragioni di quella fuga di massa, o farsele spiegare da Nicholas e dalle altre migliaia di militanti perbene sparsi per l’Italia, giocano al “tanto peggio tanto meglio” nella segreta speranza che nasca un governo Di Maio-Salvini (per lucrarne non si sa bene quali vantaggi) o che i soliti amichetti B.&C. riescano a comprare o a ricattare mezza Lega per offrire loro qualche strapuntino nell’ennesimo governissimo destra-sinistra. Frattanto raccontano che gli elettori li vogliono all’opposizione, non riuscendo nemmeno più a distinguere i propri da quelli altrui. Come se il sistema proporzional-demenziale imposto (da loro) col Rosatellum mettesse qualcuno al governo e qualcuno all’opposizione e non richiedesse invece di costruire in Parlamento una coalizione (purtroppo per loro, diversa da quella che avevano sognato con i loro compari berlusconiani). Con chi coalizzarsi, gliel’ha spiegato Nicholas: con la forza politica più vicina o meno lontana, quella che rubò i loro voti nel 2013, che gliene restituì una parte alle Europee 2014 e che se li è ripresi con gli interessi il 4 marzo. Cioè i 5Stelle. Se due settimane fa 3 milioni di elettori Pd hanno votato Di Maio, è perché pensano che il programma 5Stelle sia più vicino alle idee di centrosinistra delle politiche targate Pd dell’ultimo quinquennio. Quindi, per tentare di recuperarne almeno qualcuno, il Pd non ha che una strada: provare a costruire una maggioranza su un programma di pochi punti molto innovativi con i 5Stelle, come già avrebbe dovuto fare cinque anni fa se avesse eletto Rodotà al Quirinale anziché imbalsamare se stesso e l’Italia con il bis di Napolitano. E poi, visto che in campagna elettorale il Pd aveva escluso intese sia con Di Maio sia con il centrodestra, interpellare la base (il famoso popolo delle primarie, ormai dimenticato) come ha fatto l’Spd tedesca cinque anni fa e due domeniche fa, prima di dar vita alla Grosse Koalition con Angela Merkel: un referendum non pro o contro un’alleanza al buio col M5S; ma pro o contro un programma concordato nei minimi dettagli, magari per un governo di pochi anni e pochi obiettivi. (…). L’unica coalizione ragionevole, per quanto difficile, è fra M5S e quel che resta del centrosinistra. Se Martina (o chi per lui) e Grasso incontreranno mai Di Maio, si portino dietro Nicholas Ferrante e altri giovani militanti come lui. E lo stesso faccia Di Maio con qualche giovane dei suoi Meetup. Di solito le basi si intendono molto meglio dei vertici.
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