Propongo alla comune riflessione
l’interessante corrispondenza “Il
bullismo oggi” di Umberto Galimberti, corrispondenza letta – ed amorevolmente
conservata - su di un supplemento del quotidiano “la Repubblica”. Sembra, su questo
fronte, ovvero del bullismo in tutte le sue salse, che sia in corso un momento
di tregua; tregua, suppongo, legata alle recenti defatiganti vicende
elettorali. Concluse le quali non si farà molto attendere il ritorno su tutti i
mass media delle bravate dei bulletti di turno con il conseguente pascersi ed
il rivoltarsi compiaciuto dei mezzi della comunicazione non già sulle notizie
in sé, liquidabili in pochissime battute, quanto sui risvolti più o meno pruriginosi
ed urticanti per la libido del popolo astante. E mi trovo a pensare che “lor
signori” di melloniana memoria , ovvero coloro che dispongono a
piacimento dei mezzi della comunicazione, che comunica ma non informa, abbiano
del popolo del piccolo schermo quel concetto tanto caro a quel signore che
dicesi “unto”, sceso in campo per ispirazione ultraterrena, che molto
candidamente ebbe a dire, osannato forse anche, che il telespettatore in fin
dei conti presenta uno sviluppo cerebro-intellettivo di un dodicenne, di quelli
non proprio svegli. Ed essendo tale la considerazione del popolo astante da
parte di “lor signori”, di un popolo televisivo quasi lobotomizzato,
diviene giocoforza necessario centellinare la comunicazione stessa nei suoi
aspetti tematici: oggi il rumeno – o l’extracomunitario, di colore
preferibilmente - con la sua voglia bavosa di stupro, domani l’uxoricida, e poi
ancora un infanticidio, e perché no, ad un certo punto il ritorno trionfale dei
bulletti e delle loro mirabolanti imprese. Bullismo di sempre verrebbe da dire
col Pasolini migliore, con una grossissima novità dovuta proprio ai moderni
mezzi della comunicazione; ovvero, degli effetti tragicamente pervasivi ed
esasperatamente capaci di sviluppare al massimo il senso più primitivo della
imitazione, al pari degli animali della più bassa scala evolutiva, senso della
imitazione dovuto proprio ai moderni mezzi della comunicazione che accecano le
menti al punto da spingere sino all’inverosimile la caparbietà e
l’irresponsabilità dell’imitazione dei gesti più inconsulti se non folli, pur
di accedere a quel momento veramente esaltante e vivificante che è divenuto
l’essere solamente menzionati. È un pensiero terribilmente tragico appena esplicitato,
solamente tragico. Non già l’essere, con tutto ciò che ne deriva in fatto di
responsabilità e doveri di cittadinanza, quanto solo l’apparire, meglio ancora se
sul piccolo schermo. Annotava il professor Galimberti (13 di marzo dell'anno 2007): Scrive
Pasolini nelle Lettere Luterane (1976): “Sanno raffinatamente come far soffrire
i loro coetanei, meglio degli adulti. La loro volontà di far soffrire è
gratuita”. (…). …anche l'intervento dell'insegnante più dedito all'educazione
dei soggetti più refrattari è scarsamente efficace se non si comprende cosa c'è
alla base del bullismo che, come ci ricorda Pasolini, c'è sempre stato come
eccesso dell'esuberanza giovanile. Oggi il fenomeno ha passato paurosamente il
limite al punto da generare nei genitori angoscia, negli insegnanti impotenza,
e nella società nel suo complesso disorientamento. Le ragioni vanno cercate nel
fatto che siamo passati dalla “società della disciplina” dove ci si dibatteva
nel conflitto tra permesso e proibito, alla “società dell'efficienza e della
performance spinta” dove ci si dibatte tra il possibile e l'impossibile senza
nessun riguardo e forse nessuna percezione del concetto di limite, per cui oggi
siamo a chiederci: qual è il limite tra un atto di esuberanza e una vera e
propria aggressione, tra un atto di insubordinazione e il misconoscimento di
ogni gerarchia, tra le strategie di seduzione troppo spinte e l'abuso sessuale?
E
questo solo per fare degli esempi che dimostrano come le frontiere della
persona e quelle tra le persone siano saltate, determinando un tale stato
d'allarme da non sapere più chi è chi. Questa è la ragione per cui i giovani
non si sentono mai sufficientemente se stessi, mai sufficientemente colmi di
identità, mai sufficientemente attivi se non quando superano se stessi, senza
mai essere se stessi, ma solo una risposta ai modelli o alle performance che la
televisione e Internet a piene mani distribuiscono, con conseguente
inaridimento della vita interiore, desertificazione della vita emozionale,
insubordinazione alle norme sociali. Nel 1887, un anno prima di
scendere nel buio della follia, Nietzsche annunciava profeticamente: - L'avvento
dell'individuo sovrano riscattato dall'eticità dei costumi -.
Oggi, a cento anni dalla morte di Nietzsche, possiamo dire che l'emancipazione ha forse affrancato i nostri giovani dai drammi del senso di colpa e dallo spirito d'obbedienza, ma li ha innegabilmente condannati al parossismo dell'eccesso e dell'oltrepassamento del limite. Per cui genitori e insegnanti non sanno più come far fronte all'indolenza dei loro figli o dei loro alunni, ai processi di demotivazione che li isolano nelle loro stanze a stordirsi le orecchie di musica, all'escalation della violenza, allo stordimento degli spinelli che intercalano ore di ignavia. Tutti questi sintomi sono inscrivibili più come scrive il filosofo francese Miguel Benasayag “nell'oscurarsi del futuro come promessa che nell'affacciarsi di un futuro come minaccia”. La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell'assoluto presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva. O come il sociologo tedesco Falko Blask: - Meglio esagitati ma attivi che sprofondati in un mare di tristezza meditativa, perché se la vita è solo uno stupido scherzo dovremmo almeno poterci ridere sopra -. Questo significa che oggi i nostri ragazzi si trovano ad avere un'emotività carica e sovreccitata che li sposta dove vuole a loro insaputa, senza che un briciolo di riflessione, a cui non sono stati educati, sia in grado di raffreddare l'emozione e non confondere il desiderio con la pratica violenta per soddisfarlo. L'eccesso emozionale e la mancanza di raffreddamento riflessivo li portano a oscillare tra “lo stordimento dell'apparato emotivo”, attraverso quelle pratiche rituali che sono le notti in discoteca, o i percorsi della droga, o “il disinteresse per tutto”, messo in atto per assopire le emozioni attraverso i percorsi dell'ignavia e della non partecipazione che conducono all'atteggiamento opaco dell'indifferenza. Di fronte a questi ragazzi, che inconsciamente avvertono l'incertezza del futuro che li induce ad attardarsi in una sorta di adolescenza infinita, resta solo da dire a genitori e professori: non interrompete mai la comunicazione, buona o cattiva che sia, qualunque cosa i vostri figli o i vostri studenti facciano. A interromperla ci pensano già loro e, come di frequente ci dicono le cronache quotidiane, anche in maniera distruttiva.
Oggi, a cento anni dalla morte di Nietzsche, possiamo dire che l'emancipazione ha forse affrancato i nostri giovani dai drammi del senso di colpa e dallo spirito d'obbedienza, ma li ha innegabilmente condannati al parossismo dell'eccesso e dell'oltrepassamento del limite. Per cui genitori e insegnanti non sanno più come far fronte all'indolenza dei loro figli o dei loro alunni, ai processi di demotivazione che li isolano nelle loro stanze a stordirsi le orecchie di musica, all'escalation della violenza, allo stordimento degli spinelli che intercalano ore di ignavia. Tutti questi sintomi sono inscrivibili più come scrive il filosofo francese Miguel Benasayag “nell'oscurarsi del futuro come promessa che nell'affacciarsi di un futuro come minaccia”. La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell'assoluto presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva. O come il sociologo tedesco Falko Blask: - Meglio esagitati ma attivi che sprofondati in un mare di tristezza meditativa, perché se la vita è solo uno stupido scherzo dovremmo almeno poterci ridere sopra -. Questo significa che oggi i nostri ragazzi si trovano ad avere un'emotività carica e sovreccitata che li sposta dove vuole a loro insaputa, senza che un briciolo di riflessione, a cui non sono stati educati, sia in grado di raffreddare l'emozione e non confondere il desiderio con la pratica violenta per soddisfarlo. L'eccesso emozionale e la mancanza di raffreddamento riflessivo li portano a oscillare tra “lo stordimento dell'apparato emotivo”, attraverso quelle pratiche rituali che sono le notti in discoteca, o i percorsi della droga, o “il disinteresse per tutto”, messo in atto per assopire le emozioni attraverso i percorsi dell'ignavia e della non partecipazione che conducono all'atteggiamento opaco dell'indifferenza. Di fronte a questi ragazzi, che inconsciamente avvertono l'incertezza del futuro che li induce ad attardarsi in una sorta di adolescenza infinita, resta solo da dire a genitori e professori: non interrompete mai la comunicazione, buona o cattiva che sia, qualunque cosa i vostri figli o i vostri studenti facciano. A interromperla ci pensano già loro e, come di frequente ci dicono le cronache quotidiane, anche in maniera distruttiva.
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