Il 26 di febbraio dell’anno 2002
il quotidiano “la Repubblica” pubblicava un articolo di grande interesse a
firma del professor Umberto Galimberti. Titolo dell’articolo, che di seguito
trascrivo in parte: “ Se è in Tv sarà
vero”. Quello stesso giorno si leggeva sulla prima pagina del quotidiano
l’Unità: “Per Berlusconi l’opposizione è una bomba. Alle 4 del mattino un
ordigno esplode accanto al Viminale. Il premier: - Siete voi del Palavobis –“. Quello
stesso giorno, alla pagina sette del quotidiano “Libero”, – libero da chi?
libero da cosa? libero per cosa? non lo si è mai potuto sapere – si poteva
leggere: “E a forza di girotondi ci è scappato l’attentato. Dopo aver aizzato la
piazza, adesso da sinistra si grida alla strategia della tensione. Con deliri
degni degli anni settanta”. Alla data del 26 di febbraio dell’anno 2002
Alice Oxam, nel Suo “Diario di
un’americana a Roma 2001-2006”
annotava: “(…). È inutile. Ho ascoltato a Radio Radicale il dibattito alla Camera
sul conflitto di interessi. La maggioranza fa passare o non può fermare la
legge salva Berlusconi che prevede l’incompatibilità solo per la gestione e non
per la proprietà delle imprese. E così Berlusconi ha raggiunto il suo scopo.
Nel frattempo, come in un film political-horror, il governo Berlusconi tenta di
stabilire che la bomba esplosa ieri in via Palermo, a Roma, è il risultato
della protesta sociale al Palavobis di sabato scorso. E dunque è stata anche
colpa mia, perché io c’ero al Palavobis. Siamo colpevoli in 40 mila, bambini
inclusi. In una folla simile non c’è stato neanche il minimo incidente. Una
folla così pacifica praticamente non esiste: siamo completamente,
straordinariamente innocenti. Ma il gioco è troppo pericoloso per i semplici
cittadini in un paese che ha un governo-gang.” A chi credere? Quale la
realtà? Si era nell’anno del signore 2002. Sembra trascorsa una eternità. Ma il
declino dell’oggi ha quelle radici. Il quotidiano attentato – non ancora
sopito, c’è da crederci - al vivere costituzionale dell’oggi prende l’abbrivio
dalla assoluta certezza che il lavoro fine, condotto con indefessa e
scientifica applicazione dagli anni novanta del secolo ventesimo,
sull’indistinto popolo, avrebbe prodotto i suoi “benefici” effetti. E l’allarmata
ed allarmante scrittura di allora del professor Galimberti avrebbe potuto
cogliere risultati maggiori nella
sensibilità sociale e nella tenuta della legalità nel bel paese, sol che alle
fonti della comunicazione alternativa fossero accorse schiere più nutrite e
consapevoli di “liberi” cittadini. Il piccolo “mostro” domestico, nel
frattempo, divorava, a mo’ di un altro conte Ugolino, i miseri figli:
(…). Non
esiste altro mondo di quello descritto in TV. Religione, politica, mercato,
guerra, gioia, dolore, morte sono descritti lì, e da lì impariamo come si
prega, come si governa, come si vende, come si compra, come si lotta, come si
gode, come si soffre, come si muore, allo stesso modo di come un tempo queste
cose si apprendevano dall’ambiente in cui si viveva. Oggi la televisione è il
nostro ambiente. Anche quando non la vediamo, per il fatto che altri l’avranno
vista, nel loro agire quotidiano sarà leggibile il loro apprendimento.
Interagendo con loro, entreremo in contatto con lo schermo, che dunque è sempre
acceso per la comprensione pubblica del mondo. Oggi c’è ancora qualcuno
convinto che esistano le cose al di là delle parole? Che esista un mondo al di
là della descrizione del mondo? Chiamiamo questa descrizione informazione, ma
l’informazione è una parola che non sta al suo posto, perché nel mondo dei
media, l’informazione è costruzione. Non solo perché i grandi condottieri del
mondo non esisterebbero se i media non ce li proponessero di continuo, ma
perché un enorme numero di azioni non verrebbero compiute se il mezzo televisivo
non ne desse notizia. Oggi il mondo accade perché lo si comunica, e il mondo
comunicato è l’unico che abitiamo. Prima dei piccoli spot che interrompono i
film, c’è quel grande Spot che è l’accadimento del mondo in vista della
comunicazione. Non più un mondo di fatti e poi l’informazione, ma un mondo di
fatti per l’informazione. Solo il silenzio restituirebbe al mondo la sua
genuinità. Ma questo non è più possibile. E in un mondo di fatti che nulla
contano rispetto alla loro comunicazione, non è più possibile discernere il
vero dal falso, non perché la televisione mente, ma perché nulla viene più
fatto se non per essere telecomunicato. Il mondo si risolve nella sua
narrazione. Questo ovviamente comporta dei rischi per la democrazia. Infatti la
democrazia è il gioco dei consensi. Ma se la realtà del mondo non è più
discernibile dal racconto del mondo, il consenso non avviene sulle cose che non
ci sono più, ma sulla descrizione delle cose che ha preso il posto della loro
realtà. Nella democrazia tutti possono dire la loro, cioè fare la loro
descrizione del mondo. Ed è in questo senso che un tempo i partiti
rappresentavano le diverse opinioni della gente, i sindacati rappresentavano i
lavoratori, la confindustria rappresentava gli imprenditori; ora è la televisione
a rappresentare tutte queste rappresentazioni; ed è in questa rappresentazione
di secondo grado che si descrive il mondo e si costruisce il consenso. I fatti
contano infinitamente meno delle loro descrizioni, ma soprattutto i fatti sono
fatti per la descrizione. Se chiamiamo questa descrizione lo spot, si comprende
quanto sia inessenziale discutere se gli attimi allucinatori venduti dagli spot
pubblicitari abbiano il diritto o meno di interrompere la Grande Allucinazione
che è la descrizione televisiva del mondo. (…).
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