Da “Le élite
imparino l'umiltà o il populismo sarà trionfante” di Stephen Hawking,
pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 7 di dicembre dell’anno 2016: (…). …faccio
parte senza dubbio di quelle élite che recentemente, in America e in Gran
Bretagna, sono oggetto di un inequivocabile rigetto. L’elettorato britannico ha
deciso di uscire dall’Unione Europea, i cittadini americani hanno scelto Donald
Trump come prossimo presidente. Qualunque cosa possiamo pensare di queste
decisioni, non c’è alcun dubbio, nella mente dei commentatori, che siamo di
fronte a un grido di rabbia da parte di persone che si sono sentite abbandonate
dai loro leader. Tutti sembrano d’accordo nel dire che è stato il momento in
cui i dimenticati hanno parlato, trovando la voce per rigettare il consiglio e
la guida degli esperti e delle élite di ogni latitudine. Io non faccio
eccezione a questa regola. Prima del voto sulla Brexit ho lanciato l’allarme
sugli effetti negativi che avrebbe avuto per la ricerca scientifica in Gran
Bretagna, ho detto che uscire dall’Unione Europea sarebbe stato un passo
indietro: e l’elettorato - o almeno una parte sufficientemente ampia di esso -
non si è curato del mio parere così come non si è curato del parere di tutti
gli altri leader politici, sindacalisti, artisti, scienziati, imprenditori e
personaggi famosi che hanno dato lo stesso consiglio inascoltato al resto del
Paese. Quello che conta adesso, molto più delle vittorie della Brexit e di
Trump, è come reagiranno le élite. Dovremmo, a nostra volta, rigettare questi
risultati elettorali liquidandoli come sfoghi di un populismo grossolano che
non tiene in considerazione i fatti, e cercare di aggirare o circoscrivere le
scelte che rappresentano? A mio parere sarebbe un terribile errore. Le
inquietudini che sono alla base di questi risultati elettorali e che concernono
le conseguenze economiche della globalizzazione e dell’accelerazione del progresso
tecnologico sono assolutamente comprensibili. L’automatizzazione delle
fabbriche ha già decimato l’occupazione nell’industria tradizionale e l’ascesa
dell’intelligenza artificiale probabilmente allargherà questa distruzione di
posti di lavoro anche alle classi medie, lasciando in vita solo i lavori di
assistenza personale, i ruoli più creativi o le mansioni di supervisione. Tutto
questo a sua volta accelererà la disuguaglianza economica, che già si sta
allargando in tutto il mondo. Internet, e le piattaforme che rende possibili,
consentono a gruppi molto ristretti di persone di ricavare profitti enormi con
un numero di dipendenti ridottissimo. È inevitabile, è il progresso: ma è anche
socialmente distruttivo. Tutto questo va affiancato al crac finanziario, che ha
rivelato a tutti che un numero ristrettissimo di individui che lavorano nel
settore finanziario possono accumulare compensi smisurati, mentre tutti gli
altri fanno da garanti e si accollano i costi quando la loro avidità ci conduce
alla deriva. Complessivamente, quindi, viviamo in un mondo in cui la
disuguaglianza finanziaria si sta allargando invece di ridursi, e in cui molte
persone rischiano di veder scomparire non soltanto il loro tenore di vita, ma
la possibilità stessa di guadagnarsi da vivere. Non c’è da stupirsi che
cerchino un nuovo sistema, e Trump e la Brexit possono dare l’impressione di
offrirlo. C’è da dire anche che un’altra conseguenza indesiderata della
diffusione globale di Internet e dei social media è che la natura nuda e cruda
di queste disuguaglianze è molto più evidente che in passato. Per me la
possibilità di usare la tecnologia per comunicare è stata un’esperienza
liberatoria e positiva. Senza di essa, già da molti anni non sarei più stato in
grado di lavorare. Ma significa anche che le vite delle persone più ricche
nelle parti più prospere del pianeta sono dolorosamente visibili a chiunque,
per quanto povero, abbia accesso a un telefono. E visto che ormai nell’Africa
subsahariana sono più numerose le persone con un telefono che quelle che hanno
accesso ad acqua pulita, fra non molto significherà che quasi nessuno, nel
nostro pianeta sempre più affollato, potrà sfuggire alla disuguaglianza. Le
conseguenze di ciò sono sotto gli occhi di tutti: i poveri delle aree rurali
affluiscono nelle città spinti dalla speranza, ammassandosi nelle baraccopoli.
E poi spesso, quando scoprono che il nirvana promesso da Instagram non è
disponibile là, lo cercano in altri Paesi, andando a ingrossare le fila sempre
più nutrite dei migranti economici in cerca di una vita migliore. Questi
migranti a loro volta mettono sotto pressione le infrastrutture e le economie
dei Paesi in cui arrivano, minando la tolleranza e alimentando ancora di più il
populismo politico. Per me, l’aspetto veramente preoccupante di tutto questo è
che mai come adesso, nella storia, è stato maggiore il bisogno che la nostra
specie lavori insieme. Dobbiamo affrontare sfide ambientali spaventose: i
cambiamenti climatici, la produzione alimentare, il sovrappopolamento, la decimazione
di altre specie, le epidemie, l’acidificazione degli oceani.
Insieme, tutti questi problemi ci ricordano che ci troviamo nel momento più pericoloso nella storia dello sviluppo dell’umanità. Possediamo la tecnologia per distruggere il pianeta su cui viviamo, ma non abbiamo ancora sviluppato la capacità di fuggire da questo pianeta.Forse fra qualche secolo avremo creato colonie umane fra le stelle, ma in questo momento abbiamo un solo pianeta, e dobbiamo lavorare insieme per proteggerlo. Per farlo è necessario abbattere le barriere interne ed esterne alle nazioni, non costruirle. Se vogliamo avere una possibilità di riuscirci, è indispensabile che i leader mondiali riconoscano che hanno fallito e che stanno tradendo le aspettative della maggior parte delle persone. Con le risorse sempre più concentrate nelle mani di pochi, dovremo imparare a condividere molto più di quanto facciamo adesso. Non stanno scomparendo solo posti di lavoro, ma interi settori, e dobbiamo aiutare le persone a riqualificarsi per un nuovo mondo, e sostenerle finanziariamente mentre lo fanno. Se le comunità e le economie non riescono a sopportare gli attuali livelli di immigrazione, dobbiamo fare di più per incoraggiare lo sviluppo globale, perché è l’unico modo per convincere milioni di migranti a cercare un futuro nel loro Paese. Possiamo riuscirci, io sono di un ottimismo sfrenato sulle sorti della mia specie: ma sarà necessario che le élite, da Londra a Harvard, da Cambridge a Hollywood, imparino le lezioni di quest’ultimo anno. Che imparino, soprattutto, una certa umiltà.
Insieme, tutti questi problemi ci ricordano che ci troviamo nel momento più pericoloso nella storia dello sviluppo dell’umanità. Possediamo la tecnologia per distruggere il pianeta su cui viviamo, ma non abbiamo ancora sviluppato la capacità di fuggire da questo pianeta.Forse fra qualche secolo avremo creato colonie umane fra le stelle, ma in questo momento abbiamo un solo pianeta, e dobbiamo lavorare insieme per proteggerlo. Per farlo è necessario abbattere le barriere interne ed esterne alle nazioni, non costruirle. Se vogliamo avere una possibilità di riuscirci, è indispensabile che i leader mondiali riconoscano che hanno fallito e che stanno tradendo le aspettative della maggior parte delle persone. Con le risorse sempre più concentrate nelle mani di pochi, dovremo imparare a condividere molto più di quanto facciamo adesso. Non stanno scomparendo solo posti di lavoro, ma interi settori, e dobbiamo aiutare le persone a riqualificarsi per un nuovo mondo, e sostenerle finanziariamente mentre lo fanno. Se le comunità e le economie non riescono a sopportare gli attuali livelli di immigrazione, dobbiamo fare di più per incoraggiare lo sviluppo globale, perché è l’unico modo per convincere milioni di migranti a cercare un futuro nel loro Paese. Possiamo riuscirci, io sono di un ottimismo sfrenato sulle sorti della mia specie: ma sarà necessario che le élite, da Londra a Harvard, da Cambridge a Hollywood, imparino le lezioni di quest’ultimo anno. Che imparino, soprattutto, una certa umiltà.
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