“(…). Da un quarto di secolo il
giorno di Natale non ricorda più la nascita di Gesù, la civiltà dei consumi ne
ha fatto il giorno in cui ognuno ricorda la nascita dei propri cari: il
borghese ha fatto del Natale una festa endo-famigliare. (…)”. Così
scriveva Ferdinando Camon in una Sua riflessione – “Chi ha rubato il Natale?”, pubblicata sul quotidiano “l’Unità” del
27 di novembre dell’anno 2005, anno non ancora toccato da quella “grande crisi”
che tuttora affligge il mondo già opulento dell’Occidente-; è che il popolo del
bel paese, cattolico sin nelle viscere a
sentire le alte gerarchie ecclesiastiche, non ha solo trasformato il giorno di
natale nel più spregiudicato dei giorni di consumismo duro e puro, ma tutte le domeniche
e le feste che la chiesa annovera e raccomanda, tanto basta andarsene in giro
ed osservare gli immensi parcheggi delle nuove cattedrali, ovvero dei
supermercati e dei centri commerciali, che come ife fungine sorgono ovunque,
maestosi ed accattivanti per le masse dei credenti e dei non credenti,
spingendo alla estinzione il caro negozio di quartiere e di famiglia,
spersonalizzando ancor più la vita degli abitatori del bel paese inurbati. “Chi
ha rubato il natale?”, si chiedeva l’illustre pensatore e scrittore
cattolicissimo, ed una risposta breve breve l’hanno data Giuseppe Oddo e
Giovanni Pons nel loro lavoro “L’intrigo,
banche e risparmiatori nell’era Fazio” – Feltrinelli (2005) -: “(…).
Fiorani (inquisito assieme al governatore Antonio Fazio della Banca d’Italia
n.d.r.) raggiunge l’apice della munificenza nel 2003 indirizzando al
governatore (della Banca d’Italia n.d.r.) una stilografica Cartier e un
apparecchio tv Sony; alla signora Maria Cristina un orologio Baume&Mercier;
al figlio Giovanni un orologio d’oro Cartier; alle figlie Anna Maria, Valeria e
Chiara tre collane d’oro con ciondoli e un braccialetto d’oro all’immancabile
Eugenia. (…).”. Sempre a difesa del risparmiatore e servendo
dovutamente il bel paese, al fine di favorirne il rilancio economico e per … - ah,
ah, ah, ah, ovvero una cosmica risata -. Scriveva oltre Ferdinando Camon:
Quando
trionfava la società dei consumi dicevamo che spendere era una maniera di
comunicare: chi non spendeva non aveva niente da dire. S’avvicina un Natale in
cui gli italiani spenderanno molto meno dell'anno scorso, perché gran parte
della tredicesima è già e amici. Se spendere vuol dire comunicare, nel Natale
che s'avvicina avremo un popolo ammutolito. E allora è importante vedere quali
sono le parole che il popolo taglia via, con chi rinuncia a comunicare, con chi
invece mantiene o aumenta il dialogo. Si risparmierà sui regali e sulle spese
per casa e famiglia, mentre sono in crescita l'acquisto di giocattoli per i
bambini e le spese per i viaggi. Gli italiani compreranno meno strenne. Non
sarebbe un male, se comprassero di più gli altri libri. Le strenne non sono
libri: sono libri col prezzo sproporzionato al loro valore. Libri che hanno il
compito di strappare un grido di meraviglia a chi li riceve nel momento in cui
li riceve, non quando poi li legge, ammesso che mai li legga. Ma non è che
calino le strenne e crescano gli altri libri: molto semplicemente, gli italiani
andranno meno in libreria. Un bel modo per definire chi legge è dire che vuole
impossessarsi delle esperienze altrui, viverle. E dunque: la stretta economica
che attanaglia il paese spegne la voglia di conoscere, obbliga ciascuno a fare
i conti solo con se stesso, o con i suoi figli. Calano i regali che si
consegnano in linea orizzontale, agli amici, ai parenti; crescono i regali che
si consegnano in linea verticale, ai figli, specialmente se piccoli. L'ordine
in cui si fanno i regali segue la gerarchia degli affetti. Una volta, quando si
definiva l'amore che tiene in piedi una famiglia, si diceva che «prima discende
(verso i figli), poi si volge all'altro (al coniuge), e infine torna su se stesso»:
il capofamiglia veniva per ultimo. L'indagine non lo dice, ma viene spontaneo
credere che questa gerarchia valga anche quando si fanno i regali: la prima
direzione in cui si taglia è quella dei regali a se stessi, le
autogratificazioni. Dicembre è il mese in cui si ammassano i debiti: scadono
l'Ici e il canone Rai, di solito si fanno scadere l'assicurazione dell'auto e
le rate dei mutui: questo perché per tutto l'anno si conta sulla tredicesima,
la tredicesima rompe lo schema del bilancio mensile, raddoppia lo stipendio, e
quindi induce le famiglie a ragionare come se le difficoltà di bilancio non ci
fossero più. Le difficoltà di stare nello stipendio durano undici mesi, il
dodicesimo mese spariscono. Quest'anno succede che molti pagamenti obbligatori,
continuamente rimandati, s'insaccano nell'ultima settimana, e fanno di dicembre
un mese faticoso come gli altri o anche di più. Ho visto che un grande
quotidiano nazionale invita i lettori a mandare offerte per «integrare la
tredicesima degli anziani». Se chiedi a Google «tredicesima» salta fuori anche
questo invito a integrarla. Una volta sarebbe stato un controsenso, oggi è una
necessità. Gli italiani non amano le tasse, le sentono come denaro che gli vien
rubato: quando pagano le tasse entrano in lutto. Le tasse che si accumulano a
dicembre rovesciano il significato del Natale. Da un quarto di secolo il giorno
di Natale non ricorda più la nascita di Gesù, la civiltà dei consumi ne ha
fatto il giorno in cui ognuno ricorda la nascita dei propri cari: il borghese
ha fatto del Natale una festa endo-famigliare. Ognuno è felice perché esistono
i suoi cari. Ma se vien caricato di tutte queste spese obbligatorie, col senso
di perdita e di lutto che quelle ingenerano, il Natale perde gran parte della
sua festosità: lo chiamano già Natale povero, ma sarebbe meglio chiamarlo
Natale luttuoso.
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