“Cahier de doleance” di fine anno tratto da “Perché la malinconia avvolge l’Europa”
di Bernardo Valli, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 31 di dicembre
dell’anno 2016: Nel prossimo novembre Jean Starobinski avrà novantasette anni. Nella
sua ricca vita, oltre che critico (ermeneuta) letterario è stato psichiatra e
storico della medicina. Ha coniugato esperienze e saperi come un intellettuale
del Rinascimento.(…). La passione e la simpatia per Baudelaire hanno condotto
Starobinski ad associare il poeta alla malinconia. Non ne ha fatto un caso
clinico ideale. Non ha definito il poeta dello spleen un malinconico, l’ha
descritto come un ammirevole mimo, con quella che chiama la sua “isteria”,
degli atteggiamenti e dei meccanismi profondi della malinconia. Baudelaire ne
esprime la sofferenza e la riflessività in una forma inedita, si potrebbe dire
gloriosa. In lui si riassumono la concezione antica dell’atrabile, la bile
nera, nera come l’inchiostro e l’inferno, e la declinazione contemporanea dei
sintomi della malinconia. Anche di questo si parla nell’antologia (“La Beauté
du monde”) dedicata a Starobinski, in cui sono raccolti scritti dal 1946 al
2010, curata da Martin Rueff, (…) pubblicata da Gallimard. Nel saggio
“Malinconia di sinistra”, pubblicato da Feltrinelli, lo storico Enzo Traverso
usa la stessa espressione ma riferendosi a un elemento che sembra di altra
natura. Dalla malinconia individuale, intima, si passa alla malinconia
collettiva. In Traverso siamo lontani dallo sguardo malinconico, immobile,
nella Parigi che si trasforma, di cui parla Baudelaire nelle “Fleurs du mal”.
Nella sinistra la malinconia è una tradizione (nascosta), in cui è annidato il
dubbio dell’intelligenza, ed anche l’invincibile, dinamica convinzione che le
macerie delle battaglie perdute siano il cuore da cui nascono nuove idee e
nuovi progetti. La malinconia affligge la nostra Europa. L’avvolge come un
velo. (…). È una malinconia collettiva, simile dunque a quella descritta dallo
storico italiano, ma la sua natura è intima e ricorda quella raccontata nella
monumentale opera del critico e psichiatra ginevrino. In apparenza non c’è
proprio nulla di dinamico nella malinconia europea, dovuta alla frustrante,
spesso inconscia idea del declino. Un’idea che può essere legata alla figura
allegorica del pozzo, dove precipita il malinconico, usata da Starobinski. Il
pozzo non è tuttavia soltanto la profondità quindi la tenebra, è anche dove
zampillano le sorgenti, dunque la speranza. L’arte, la poesia, il romanzo sono
spesso il frutto della difficoltà di vivere. Non siamo tutti artisti, poeti,
romanzieri, ma la malinconia è un pessimismo, uno sconforto da cui possiamo far
scaturire un flusso di energia. La malinconia avvolge l’Europa dopo
settant’anni di pace interna che hanno fatto perdere il senso delle
proporzioni. La sua componente nostalgica porta a rimpiangere quel lungo
periodo alle nostre spalle benché fosse tormentato dalla corsa alle armi
atomiche. I pericoli d’oggi sono più vicini, meno apocalittici. L’europeo
malinconico è inseguito dai lutti provocati dal terrorismo, dall’arrivo in
massa dei migranti, dalla crisi economica. È impigliato nella nevrosi
dell’insicurezza. La parola “guerra” risuona spesso, ma un pensiero al passato
dovrebbe rammentare all’europeo malinconico che le guerre sono dei massacri
(milioni di morti nei due conflitti mondiali del “secolo breve”), sono dei
bombardamenti aerei, anche nucleari, sono delle invasioni, delle occupazioni.
C’è un conflitto caotico in Medio Oriente, in cui si scontrano fanatismi
religiosi ed etnici: è una mischia sanguinosa cristallizzata in quella vicina
regione: da noi arrivano i rigurgiti che fanno decine di morti. Ma le nostre
frontiere non sono minacciate, né ci sono forze in grado di imporci l’abiura
della nostra civiltà. La situazione è più che inquietante, richiede una polizia
esperta e governi con nervi saldi. Nei nostri paesi velati di malinconia non è
tuttavia in corso una terza guerra europea. Se chiamiamo guerra gli atti di
terrorismo diamo ai fanatici che li compiono una dignità che non hanno: quella
del soldato, dell’avversario, con il quale si può firmare un armistizio. E con
loro è impensabile.
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