Scriveva Kahlil Gibran - 6 gennaio 1883/10 aprile
1931, poeta, pittore e aforista libanese di religione cristiano/maronita - ne’ “Il Profeta”: “E un vecchio sacerdote disse:
parlaci della religione. Ed egli rispose: (…). Religione non è forse ogni atto
e ogni riflessione, e ciò che non è né atto, né riflessione, ma una continua
meraviglia e sorpresa che scaturisce nell’anima, persino quando le mani
spaccano la pietra o tendono il telaio? Chi può mai separare la sua fede dalle
azioni, o il suo credo dalle sue occupazioni? Chi può mai distribuire le ore
davanti a sé e dire : “Questa per Dio e questa per me; questa per la mia anima,
e quest’altra per il mio corpo?”. Tutte le vostre ore sono ali che palpitano
attraverso lo spazio da tutt’uno a tutt’uno. (…). È la vostra vita quotidiana
il vostro tempio e la vostra religione. Ogni qualvolta vi entrate portate con
voi il vostro tutto. Portate l’aratro e la fucina e il mazzuolo e il liuto, le
cose che avete fatto per necessità, o per diletto. Poiché nei vostri sogni a
occhi aperti non potrete andare al di là dei vostri conseguimenti, o al di
sotto dei vostri fallimenti. E con voi portate tutti gli uomini. Poiché
nell’adorazione non potrete volare più in alto delle loro speranze, né
avvilirvi oltre la loro disperazione. E se volete conoscere Dio non siate
dunque solutori di enigmi. Piuttosto guardatevi intorno e lo vedrete giocare
coi vostri bambini. E guardate nello spazio; lo vedrete camminare dentro la
nuvola, protendere le braccia nel lampo e scendere con la pioggia. Lo vedrete
sorridere nei fiori, poi alzarsi per agitare le mani fra gli alberi”. Ché
lascia pensare ed immaginare - sol che lo si voglia o lo si possa fare - come
le “religioni” non abbiano bisogno di riti criptici appositamente creati per
obnubilare le menti, paludamenti e paramenti a volte bizzarri ma sempre lussuosi,
palazzi e templi maestosi e sontuosi per sbalordire e catturare l’immaginario
dei più, palazzi e templi ove si radicano prepotentemente poteri e ricchezze ove
la religione non si lascia trascinare nel vivere al di fuori da quei
luoghi che divengono nel tempo, invece, strumenti di partizione tra gli esseri
umani, di persecuzione dell’uno verso altro ché non è poi altro che il “prossimo
tuo” e di oppressione violenta di coloro i quali non aderissero integralmente
al “verbo” di parte proclamato. Titola “La
religione è molto più di un libro di immagini” Umberto Galimberti – o chi
per Lui – l’interessante Suo testo pubblicato sul settimanale “D” del 19 di
dicembre dell’anno 2015:
Ai grandi monoteismi dobbiamo riconoscere il
merito di aver portato l'umanità da uno stato selvaggio a uno "quasi
civile". Oggi (come sempre n.d.r.) incrinato dai fondamentalisti
che confondono il fanatismo con la fede. Le religioni, soprattutto quelle
monoteiste (…), sono nate per recingere, tenendola in sé raccolta (re-legere)
l'area del sacro, onde evitarne l'espansione incontrollata, essendo il sacro
caratterizzato da un regime di massima violenza, di sessualità selvaggia, di
confusione dei codici, dove il bene e il male appaiono indistinguibili, il
piacere si intreccia col dolore, la maledizione con la benedizione, la luce del
giorno con il buio della notte. Come ci ricorda Gerardus Van der Leeuw: «Nella
religione Dio è arrivato con molto ritardo». Conservando del sacro il suo
tratto ambivalente, per cui accanto alla misericordia di Dio la religione
segnala anche il timor di Dio. Per uscire da questo sfondo indifferenziato,
l'umanità è sempre ricorsa a riti che consentissero di distinguere il bene dal
male, il puro dall'impuro, e a sacrifici per tener lontano gli effetti malefici
del sacro e propiziarne quelli benefici. Senza abbandonarli, le religioni
monoteiste sono andate oltre i riti, affidandosi a testi, ritenuti sacri perché
"parola di Dio", che contengono norme etiche di comportamento
osservando le quali c'è la promessa di un'altra vita: paradisiaca per chi li
segue e infernale per chi non li ottempera. In questo modo, per molto tempo
l'etica è stata monopolio delle religioni che, non possiamo nascondercelo,
hanno consentito all'umanità di passare da uno stato selvaggio a una convivenza
regolata da norme, favorendo la nascita di quella che oggi chiamiamo civiltà. Con
l'Illuminismo è iniziato un processo che ha separato l'etica dalla religione,
perché ci si è persuasi che l'etica non è che un sistema di regole per vivere
con la minor conflittualità possibile. Una volta che l'etica è stata
desacralizzata, è nato lo stato laico che ha consentito alla religione di non
intervenire pesantemente sui comportamenti umani, a cui sono stati preposti i
tribunali che sanciscono pene terrene ai trasgressori. Ciò ha consentito a sua
volta alle religioni di spiritualizzarsi e proporsi come pura fede, la cui
caratteristica non può che essere la tolleranza, dal momento che, intorno alle
cose invisibili, che sfuggono a ogni prova e dimostrazione, non può darsi una
verità assoluta, altrimenti non ci sarebbe ragione di chiamare "fede"
la fede. E solo i fondamentalisti confondono la fede con la verità. La fede
promette inoltre un'ulteriorità di senso rispetto a quello offerto dalla vita
presente. Così facendo, va incontro a un bisogno di trascendenza che alberga
nel cuore di ogni uomo, e che poi ogni uomo indirizza nella ricerca, ivi
compresa quella scientifica che non si accontenta mai dei risultati raggiunti.
La fede religiosa, credendo nello sguardo misericordioso di Dio, è anche di
grande aiuto e conforto a quanti si trovano nella precarietà dell'esistenza, o
soffrono d'indigenza, ingiustizie, sopraffazioni, sensi di colpa, consentendo
loro, grazie alla speranza di una vita ultraterrena, di meglio gestire il dolore,
che sarebbe insopportabile se non avesse alcun senso e prima o poi un
riconoscimento o una ricompensa. Qui la fede si àncora al cuore, al sentimento,
alla speranza, che non sono fattori insignificanti per continuare a vivere
quando le circostanze si fanno davvero insopportabili. Leggere i testi definiti
sacri, come grandi opere letterarie o addirittura artistiche per la bellezza
delle loro metafore è possibile, senza però credere, per il solo fatto di
apprezzarle, di appartenere a quella fede, perché la fede chiede, oltre
all'apprezzamento, un assenso incondizionato del cuore, o come dice San Tommaso
della "volontà" (ex voluntate), perché, come ci ricorda San Paolo, di
fronte alla fede, il solo l'intelletto si trova «in uno stato d'infermità e di
grande timore e tremore».
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