"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 19 dicembre 2017

Quodlibet. 45 “E un vecchio sacerdote disse: parlaci della religione”.



Scriveva Kahlil Gibran - 6 gennaio 1883/10 aprile 1931, poeta, pittore e aforista libanese di religione cristiano/maronita - ne’ “Il Profeta”: “E un vecchio sacerdote disse: parlaci della religione. Ed egli rispose: (…). Religione non è forse ogni atto e ogni riflessione, e ciò che non è né atto, né riflessione, ma una continua meraviglia e sorpresa che scaturisce nell’anima, persino quando le mani spaccano la pietra o tendono il telaio? Chi può mai separare la sua fede dalle azioni, o il suo credo dalle sue occupazioni? Chi può mai distribuire le ore davanti a sé e dire : “Questa per Dio e questa per me; questa per la mia anima, e quest’altra per il mio corpo?”. Tutte le vostre ore sono ali che palpitano attraverso lo spazio da tutt’uno a tutt’uno. (…). È la vostra vita quotidiana il vostro tempio e la vostra religione. Ogni qualvolta vi entrate portate con voi il vostro tutto. Portate l’aratro e la fucina e il mazzuolo e il liuto, le cose che avete fatto per necessità, o per diletto. Poiché nei vostri sogni a occhi aperti non potrete andare al di là dei vostri conseguimenti, o al di sotto dei vostri fallimenti. E con voi portate tutti gli uomini. Poiché nell’adorazione non potrete volare più in alto delle loro speranze, né avvilirvi oltre la loro disperazione. E se volete conoscere Dio non siate dunque solutori di enigmi. Piuttosto guardatevi intorno e lo vedrete giocare coi vostri bambini. E guardate nello spazio; lo vedrete camminare dentro la nuvola, protendere le braccia nel lampo e scendere con la pioggia. Lo vedrete sorridere nei fiori, poi alzarsi per agitare le mani fra gli alberi”. Ché lascia pensare ed immaginare - sol che lo si voglia o lo si possa fare - come le “religioni” non abbiano bisogno di riti criptici appositamente creati per obnubilare le menti, paludamenti e paramenti a volte bizzarri ma sempre lussuosi, palazzi e templi maestosi e sontuosi per sbalordire e catturare l’immaginario dei più, palazzi e templi ove si radicano prepotentemente poteri e ricchezze ove la religione non si lascia trascinare nel vivere al di fuori da quei luoghi che divengono nel tempo, invece, strumenti di partizione tra gli esseri umani, di persecuzione dell’uno verso altro ché non è poi altro che il “prossimo tuo” e di oppressione violenta di coloro i quali non aderissero integralmente al “verbo” di parte proclamato. Titola “La religione è molto più di un libro di immagini” Umberto Galimberti – o chi per Lui – l’interessante Suo testo pubblicato sul settimanale “D” del 19 di dicembre dell’anno 2015:
Ai grandi monoteismi dobbiamo riconoscere il merito di aver portato l'umanità da uno stato selvaggio a uno "quasi civile". Oggi (come sempre n.d.r.) incrinato dai fondamentalisti che confondono il fanatismo con la fede. Le religioni, soprattutto quelle monoteiste (…), sono nate per recingere, tenendola in sé raccolta (re-legere) l'area del sacro, onde evitarne l'espansione incontrollata, essendo il sacro caratterizzato da un regime di massima violenza, di sessualità selvaggia, di confusione dei codici, dove il bene e il male appaiono indistinguibili, il piacere si intreccia col dolore, la maledizione con la benedizione, la luce del giorno con il buio della notte. Come ci ricorda Gerardus Van der Leeuw: «Nella religione Dio è arrivato con molto ritardo». Conservando del sacro il suo tratto ambivalente, per cui accanto alla misericordia di Dio la religione segnala anche il timor di Dio. Per uscire da questo sfondo indifferenziato, l'umanità è sempre ricorsa a riti che consentissero di distinguere il bene dal male, il puro dall'impuro, e a sacrifici per tener lontano gli effetti malefici del sacro e propiziarne quelli benefici. Senza abbandonarli, le religioni monoteiste sono andate oltre i riti, affidandosi a testi, ritenuti sacri perché "parola di Dio", che contengono norme etiche di comportamento osservando le quali c'è la promessa di un'altra vita: paradisiaca per chi li segue e infernale per chi non li ottempera. In questo modo, per molto tempo l'etica è stata monopolio delle religioni che, non possiamo nascondercelo, hanno consentito all'umanità di passare da uno stato selvaggio a una convivenza regolata da norme, favorendo la nascita di quella che oggi chiamiamo civiltà. Con l'Illuminismo è iniziato un processo che ha separato l'etica dalla religione, perché ci si è persuasi che l'etica non è che un sistema di regole per vivere con la minor conflittualità possibile. Una volta che l'etica è stata desacralizzata, è nato lo stato laico che ha consentito alla religione di non intervenire pesantemente sui comportamenti umani, a cui sono stati preposti i tribunali che sanciscono pene terrene ai trasgressori. Ciò ha consentito a sua volta alle religioni di spiritualizzarsi e proporsi come pura fede, la cui caratteristica non può che essere la tolleranza, dal momento che, intorno alle cose invisibili, che sfuggono a ogni prova e dimostrazione, non può darsi una verità assoluta, altrimenti non ci sarebbe ragione di chiamare "fede" la fede. E solo i fondamentalisti confondono la fede con la verità. La fede promette inoltre un'ulteriorità di senso rispetto a quello offerto dalla vita presente. Così facendo, va incontro a un bisogno di trascendenza che alberga nel cuore di ogni uomo, e che poi ogni uomo indirizza nella ricerca, ivi compresa quella scientifica che non si accontenta mai dei risultati raggiunti. La fede religiosa, credendo nello sguardo misericordioso di Dio, è anche di grande aiuto e conforto a quanti si trovano nella precarietà dell'esistenza, o soffrono d'indigenza, ingiustizie, sopraffazioni, sensi di colpa, consentendo loro, grazie alla speranza di una vita ultraterrena, di meglio gestire il dolore, che sarebbe insopportabile se non avesse alcun senso e prima o poi un riconoscimento o una ricompensa. Qui la fede si àncora al cuore, al sentimento, alla speranza, che non sono fattori insignificanti per continuare a vivere quando le circostanze si fanno davvero insopportabili. Leggere i testi definiti sacri, come grandi opere letterarie o addirittura artistiche per la bellezza delle loro metafore è possibile, senza però credere, per il solo fatto di apprezzarle, di appartenere a quella fede, perché la fede chiede, oltre all'apprezzamento, un assenso incondizionato del cuore, o come dice San Tommaso della "volontà" (ex voluntate), perché, come ci ricorda San Paolo, di fronte alla fede, il solo l'intelletto si trova «in uno stato d'infermità e di grande timore e tremore».

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