La “sfogliatura” che si
propone risale ad un giovedì, il 24 di febbraio dell’anno 2011. Difficile non
cogliere, anche al più disattento osservatore d’oggi della vita sociale nel bel
paese, come a distanza di ben sei anni pieni quella “dittatura degli eventi” permanga spietata sempre di più e le
cose, nel mondo della comunicazione, siano rimaste, se non peggiorate, a quella
condizione ben illustrata dall’Autore in essa – la “sfogliatura” intendo dire –
riportato. Scrivevo allora: Difficile non
concordare con quanto ha scritto Marc Augè nel Suo articolo “Nella società degli eventi non succede mai
niente”, articolo pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” del dicembre 2010, che di seguito trascrivo nella
sua interezza. Scrive infatti l’illustre etnologo ed antropologo francese: “Nella società dei consumi sono sempre di
più coloro che, non potendo consumare per ragioni economiche, si sentono
esclusi da un sistema di cui vorrebbero far parte. Il bisogno di consumo viene
allora soddisfatto almeno in parte dall'illusione prodotta dagli eventi
collettivi, che in questo diventano un surrogato.” Concordo. È che, nella
società dei consumi, nella quale siamo chiamati a vivere, due aspetti, o categorie
dello spirito, si sovrappongono combinandosi in forme caotiche ed indistinte
e/o si contrastano con un mutuo rinforzarsi negli aspetti più negativi, con
alterne fortune, con caratteristiche invero allarmanti; da un lato la “disumanizzazione” dei rapporti umani,
laddove gli ultimi ritrovati tecnologici consentono di dialogare dall’infinito
lontano ed irreale con un “prossimo”
che non ha o ha perso la “corporalità”
necessaria per ogni rapporto che sia considerato umano pienamente; secondo, il
richiamo veramente irresistibile, che come d’incanto si manifesta in tutti gli
agglomerati umani, con il confluire degli umani, come un enorme sciame che
segua i tenui effluvi dei “feromoni” degli
sciami, di qualsivoglia sciame, verso i luoghi di quelle “ammucchiate” oceaniche che hanno lo scopo ultimo ed inconfessato di
riempire il vuoto di un vivere altamente alienato. Un vivere senza la piena
consapevolezza di un sé, di un io. Non trova spazio, nella contemporanea società
dei consumi, la realtà dell’altro che sia anche la realtà fisica del proprio “prossimo”, se non nelle forme di
mercificazione dei corpi femminili o maschili, così come non trova spazio la
conoscenza e la frequentazione della dimensione solitaria dell’io, di ciascuno,
stretti come si è a dialogare freneticamente e senza orizzonti, attraverso
contatti resi impersonali, a consumare eventi mediatici marginali imposti e
propagandati sapientemente come eventi epocali, ignorando in pari l’ascolto vero
e profondo dell’altro ma soprattutto l’ascolto del sé, dell’io deliberatamente
accantonato. È di conseguenza una perdita della ragione del sé, dell’io reso
impersonale nello sciame che accorre al richiamo dei “feromoni” dei media, con il confondersi e l’annullarsi nello
sciame del sé senza ragione alcuna che non sia sfuggire all’ascolto di un io reso
oramai senza voce; ne consegue una perdita collettiva della memoria, con gli sciami
umani resi collettivamente anonimi ed irresponsabili. Nello sciame umano si
eclissa il sé, l’io; nello sciame si eclissa la dignità dell’umano. Mi
sovvengono, a conclusione di queste brevi considerazioni, due ultimi fatti di
cronaca a dimostrazione dell’eclissarsi dell’umano in larghissimi strati della
popolazione, nel ruinare quotidiano degli eventi che sono divenuti un ripetersi
del già troppe volte vissuto; la mancata collettiva risposta d’indignazione a
seguito dell’atroce vicenda dei bimbi rom morti carbonizzati nella città
eterna; ed ultima, macabra, disgustevole oltre ogni limite dell’umano, vista
sulla rete, l’offerta per i bimbi della nuova mascherina per il prossimo
carnascialesco divertimento collettivo, mascherina che rappresenta “zio Michele Misseri”, con tanto di
corda a cappio per la soppressione finale dell’incolpevole nipote. Cercare in
rete per vedere con occhi propri. Ed il Marc Augè ancora:
Oggi assistiamo a una dittatura degli eventi. Tutto deve essere
trasformato in un'occasione unica e irripetibile, ben diversa da quella trama
d' avvenimenti quotidiani, individuali
collettivi, che da sempre tutte le culture hanno messo al centro dei
loro sistemi d'interpretazione. Oggi prevale la dimensione eccezionale. Il
paradosso che questi eventi fuori dal
comune, o che si vuole presentare come tali, sono sempre più frequenti, risultato
di un'inflazione che alla fine appiattisce e banalizza tutto. Da un lato, essa
drammatizza ciò che non avrebbe ragione d'esserlo, dall'altro, svaluta le
occasioni che invece meriterebbero veramente un'attenzione particolare. Così,
un evento ne scaccia un altro, e ciò che oggi è eccezionale, domani non lo sarà
più. Se oggi viviamo in una sorta di presente perpetuo, vale a dire un tempo
bloccato da immagini che si ripetono senza sosta, un tempo immobile che ignora
il passato e nega il futuro, ciò è dovuto anche alla moltiplicazione degli eventi
e al loro culto diffuso. L'unicità dell'evento, infatti, domanda al tempo di
arrestarsi. La sua irripetibilità, indipendentemente dal fatto che sia
vera meno, nega qualsiasi divenire,
rinchiudendo ciò che accade in una parentesi temporale senza memoria e senza
prospettive. La moltiplicazione degli eventi più o meno orchestrata dalla
società dei consumi implica quindi un accumulo che produce una temporalità
senza evoluzione e senza storia. Nello spettacolo come nella politica, nello
sport come nella cultura, il sistema in cui viviamo fabbrica eventi a
ripetizione, focalizzando su di essi tutta l'attenzione del pubblico, che così
dimentica tutto il resto. Da questo punto di vista, potremmo dire che l'evento
è un non luogo temporale, dove si celebra un falso carpe diem imposto dalla
società dei consumi, che, in simbiosi con la scena mediatica, ha continuamente
bisogno di creare nuove occasioni per mobilitare collettivamente i consumatori.
L'impressione d'irripetibilità, se da un lato si contrappone al divenire
storico, dall'altro però può alimentare una memoria individuale. Una traccia
soggettiva che è un elemento di resistenza all'oblio collettivo oggi dominante
e alle debolezze della rappresentazione storica. Se ciò avviene, è anche
perché, seppure in termini molto parziali, l'evento, anche nella sua dimensione
più artificiale, può creare l'impressione che qualcosa di nuovo stia per
cominciare, recuperando così almeno una parte della ritualità tradizionale. L'evento,
soprattutto in alcuni ambiti, come la politica, permette di fabbricarsi ogni
volta l'illusione di un nuovo inizio. Naturalmente, la fascinazione collettiva
per gli eventi è anche legata all'impressione d'impoverimento esistenziale che
ci accomuna. Di fronte a una vita percepita come piatta e banale, abbiamo
bisogno di momenti intensi ed unici che ci permettano di sentirci più vivi. La
dimensione pubblica e collettiva contribuisce al senso di pienezza dell' esperienza,
procurando anche un'impressione di comunione con gli altri. Più si è in tanti e
più si ha l'impressione di essere al centro di una situazione eccezionale.
Nella società dei consumi sono sempre di più coloro che, non potendo consumare
per ragioni economiche, si sentono esclusi da un sistema di cui vorrebbero far
parte. Il bisogno di consumo viene allora soddisfatto almeno in parte dall'illusione
prodotta dagli eventi collettivi, che in questo diventano un surrogato. Il
problema è che oggi, per via delle protesi tecnologiche individuali di cui
siamo dotati, troppo spesso ci ritroviamo a vivere gli eventi da soli davanti a
uno schermo. Non proprio una situazione eccezionale capace di trasmetterci
nuove energie.
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