"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 14 novembre 2017

Quodlibet. 32 “L’altro populismo”.

Da “L’altro populismo” di Roberto Esposito, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 14 di novembre dell’anno 2016: (…). Populismo è un nome vuoto, pronto a essere riempito da contenuti anche molto eterogenei e a essere adoperato con intenzioni differenti e contrastanti. Esso, (…), è l’esito di una caduta di mediazioni istituzionali tra politica e vita materiale che era stata colta da tempo dalla riflessione più acuminata. In base a tale caduta, quell’insieme di segmenti differenziati e spesso concorrenti che formano un popolo chiedono una risposta immediata, cioè rapida e diretta, ai loro bisogni, desideri, pulsioni, paure, speranze. Ciò spiega perché in tutto il mondo occidentale quella che si chiama comunemente crisi della politica sia in realtà soprattutto crisi della rappresentanza e degli organi che la incarnano — istituzioni, partiti, sindacati. Anche l’aumento verticale di personalizzazione della politica è l’esito di questa dinamica. Ma, ecco la domanda decisiva: questa crisi della rappresentanza coincide con una crisi della democrazia? La domanda è più che legittima, visto che la democrazia moderna è essenzialmente rappresentativa. Ma la risposta non è scontata. Dal momento che la rappresentanza è una polarità, certo necessaria, dei sistemi democratici, il cui altro polo è pur sempre la sovranità popolare. Ora è evidente che nell’attuale difficoltà degli organismi rappresentativi, il gioco politico si concentra su questo secondo polo. È per esso che passa il discrimine di cui si diceva, all’interno del campo populista. Nel senso che l’implicazione immediata tra politica e vita, rispetto alla quale non è più possibile tornare indietro, può essere orientata in direzioni diverse e anche alternative. Non più riducibili alla dicotomia orizzontale tra destra e sinistra, ma piuttosto relative alla scala verticale tra stratificazioni sociali sovrapposte. È su questo che i populismi si dividono e possono essere divisi. Se, (…), il loro avversario comune è sempre l’establishment politico, finanziario, tecnocratico, diverso è il rapporto che si determina tra gruppi sociali. Come diverso è il rapporto di forza che passa tra essi — quello che un tempo si definiva “egemonia”. In questione è la relazione che si determina tra blocchi socio-culturali diversi e quale tra essi ne governi la saldatura. Da qui anche la relazione, non necessariamente negativa, con il quadro democratico. In un certo tipo di populismo, che possiamo chiamare inclusivo, si può creare un’alleanza tra coloro che più sono stati colpiti dalla crisi economica e ceti sociali intermedi, senza che questo comporti una barriera nei confronti della forza lavoro degli immigrati. Un altro tipo di populismo, di carattere escludente, presente in Europa come in America, si chiude su se stesso, saldando la propria identità alle spinte regressive e xenofobe che provengono da ambienti sociali diversi in direzione letteralmente reazionaria. La partita che oggi si apre, insomma, è in buona parte interna al campo populista. Ed essa va giocata anche in quel campo. La vinceranno coloro che sapranno orientare il mutamento ormai irreversibile in una direzione allo stesso tempo innovativa e compatibile con gli standard e i valori della democrazia moderna.

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